16 Gennaio 2009, 00.00
Valsabbia - C
Antichi mestieri

E' chiuso il laboratorio del Lino

L’ultimo fabbro artistico di Gavardo ha chiuso dopo 64 anni di attività. E' Paolo Rivetta, detto Lino, classe 1930. Lavorava in un minuscolo laboratorio sotto l’abitazione che si affaccia sul Chiese, vicino alla parrocchiale

Ormai è la polvere la regina nel laboratorio di Paolo Rivetta detto Lino, l’ultimo fabbro artistico di Gavardo, che ha chiuso i battenti dopo 64 anni di onorata carriera. Sua altezza la polvere, che avvolge gli antichi attrezzi, due incudini, un vecchia piegatrice arrugginita, l’enorme banco da lavoro, un tornio, aste ricurve, riccioli di ferro abbandonati qua e là: mille frammenti di opere incompiute.
Già, perché lui, Lino, è stato davvero un artista, disseminando la bassa Valsabbia, Gavardo ed i paesi vicini di suoi piccoli grandi capolavori, una ringhiera, una cancellata, una porta, una serie di lampadari, corrimano, decorazioni, alari per gli spiedi, persino alcuni lavori di carattere sacro: tutto in ferro battuto.

Letteralmente: battuto a mano, sull’incudine a colpi di martello. Classe 1930, Lino aveva iniziato la sua carriera durante la guerra, nel 1943 a Bostone, quando ancora sulle teste dei gavardesi cadevano le bombe e lui si affannava a fare modestissime riparazioni con quel che si poteva. Poi via via il lavoro è aumentato, è arrivato benessere e anche il gusto e la professionalità di Lino sono cresciuti.
«All’inizio - racconta - stavo in bottega al Bostone dove adesso c’è l’Alpino. Ho imparato tanto da Luigi Bianchini detto Gino. Ma specie negli ultimi anni il ferro è cambiato. Niente a che fare con quello di un tempo, una lega diversa, peggiore». A Lino si devono interventi di diverso tipo in tante case di gavardesi e non solo, pezzi per lo più su misura realizzati ad hoc: «Adesso non c’è più futuro per il ferro battuto, lo dicevo sempre anche a mio figlio a cui ho insegnato quello che sapevo: adesso i pezzi sono prodotti in serie a livello industriale. Il fabbro deve solo saldarli insieme».

Un ragazzo del paese continua a fare qualche lavoro sotto la guida di Lino. Sono soprattutto consigli perché l’età e gli acciacchi non gli consentono di fare di più, ma si capisce che il desiderio di trasferire la sua arte è molto forte. Anni fa Lino ha perso il figlio in un incidente stradale E la sua vita per certi versi si è fermata allora. «Avevamo fatto dei lavori insieme - ricorda Lino con grande dolore mostrando una foto con padre e figlio insieme che battono il ferro su un’enorme incudine - ma lui se n’è andato».

Nel minuscolo laboratorio che è proprio sotto l’abitazione e che si affaccia sul Chiese, in via Fontane vicino alla chiesa parrocchiale, tutto racconta il mestiere di un tempo: gli attrezzi antichi, di ognuno dei quali Paolo Rivetta conosce la storia. «Questa incudine per esempio avrà almeno duecento anni, è pesantissima ma la portarono giù a spalle da Storo durante la guerra. Veniva dalla Germania». Quando il martello vi picchia sopra ha ancora un suono cristallino e scintillante. È un rumore basso e cupo, invece, quello emesso da un’altra incudine, più grande, che Lino non ama con altrettanto trasporto.

All’interno del laboratorio un arco in mattoni si staglia nel soffitto. È curiosamente sostenuto da una colonna in marmo bianco, pietra di Botticino martellinata. Si capisce subito che è molto antica: «Questa è romana, è stata portata qui nel 1200 quando hanno costruito la parte più recente della mia casa. Il resto era ancora più vecchio. C’è ancora una scala interna che scende fino al fiume e che le donne utilizzavano per scendere a lavare i panni. Una signora un giorno è venuta e mi ha detto: "Me la venda, le faccio mettere delle putrelle di ferro. La casa sarà più sicura". Voleva comprare la mia colonna per metterla nel suo giardino». E come è finita? «La colonna rimane al suo posto. Finchè campo io, rimane lì dove si trova, da otto secoli».

di Paola Pasini dal Giornale di Brescia


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