10 Gennaio 2007, 00.00
Valsabbia - C
Intervista a Rigoni Stern

Il sergente ci parla delle sue «stagioni»

Mario Rigoni Stern ha compiuto 85 anni, ma la sua mente e le sue gambe sono ancora quelle di un giovane che scorrazza nei boschi dell’Altipiano di Asiago, immerso nei silenzi profondi di una vita operosa e improntata al rispetto della natura.

Mario Rigoni Stern ha compiuto 85 anni il 1° novembre scorso, ma la sua mente e le sue gambe sono ancora quelle di un giovane che scorrazza nei boschi dell’Altipiano di Asiago, immerso nei silenzi profondi di una vita operosa e improntata a un rispetto della natura che per lui è quasi una religione.

Anche con il suo ultimo libro, Stagioni (Einaudi, 139 pagine, 10,80 euro), conferma l’attaccamento alla sua terra, dalla quale il destino lo strappò a soli 24 anni, per scaraventarlo fra gli orrori della guerra, combattuta come alpino in Francia, Grecia, Albania e Russia, e poi, come prigioniero, in Lituania, Slesia e Stiria. L’esperienza raccontata nel celebre «Il sergente nella neve», a cui è ispirato lo spettacolo di Marco Paolini «Il sergente», che sarà in scena il prossimo 22 gennaio al Teatro Odeon di Lumezzane.

Dal giorno in cui tornò a casa, gli alberi e gli animali del paesaggio sono i suoi compagni, e sono essi i protagonisti del recente libro, che racconta i prodigi di un «universo minimo», dove caprioli, tordi, pernici, boschi autunnali, colori e profumi signoreggiano.

C’è tanta poesia in questi racconti, e tanta umanità, percorsa talvolta da un rivolo di malinconia: vi si coglie anche un richiamo alla fratellanza, a rendersi conto della perfezione della natura, a vivere in simbiosi totale con essa, aderendo al ritmo delle stagioni: stagioni dell’anno, ma anche della vita.

«Ogni esistenza ha le sue stagioni - mi dice Rigoni Stern, come sempre disponibile e cortese, - proprio come le stagioni che si susseguono nell’arco di un anno. Il succedersi delle stagioni scandisce i miei ricordi fin da quando ero bambino. Ricordo quando si andava nei prati a chiamare la primavera. Era un’antica tradizione, un rito che noi bambini ripetevamo ogni anno correndo nei prati a piedi nudi. Dell’estate, invece, ho molti ricordi di quand’ero ragazzo e le mie vacanze consistevano nell’andare in montagna, nelle malghe, con mio padre, a fare provvista di burro e formaggio. Ora l’estate per me è la stagione più insipida. Tutti vanno in vacanza e vogliono divertirsi, magari in maniera sbagliata. Delle quattro stagioni, per me l’estate è la più scialba».

- Preferisce «i singhiozzi lunghi dei violini dell’autunno», come dice un verso di Paul Verlaine?

«Sì. Per me l’autunno è la stagione più vivace, più carica di memorie, la più profumata. Ed è anche la stagione che più ci dà il senso del rinnovarci e del trascorrere della vita. L’autunno scandisce il passo lento del tempo, ci fa intravedere ciò che ci rimane ancora da vivere. Le foglie che ingialliscono e cadono rispecchiano la mutazione che priva anche noi delle vesti festose della giovinezza».

- E l’inverno?

«L’inverno è la riflessione sul tempo che abbiamo vissuto e su quello che viviamo».

- La sua riflessione sul presente a quali conclusioni la porta?

«Il presente non lo vedo in una luce molto rosea. L’umanità ha lasciato perdere molte cose importanti e rincorre troppi miraggi fasulli. Il vecchio Giuseppe Ungaretti diceva che avevamo ottenuto il progresso, ma non avevamo più la civiltà, e aveva ragione. Abbiamo tanto progresso materiale, ma le cose non ci lasciano più il tempo per riflettere. Invece sarebbe assai utile soffermarsi proprio su questa fretta che sta guastando ogni rapporto umano duraturo».

- Come si è creata questa situazione, secondo lei?

«Guardando qualche volta la televisione, ho capito che molta responsabilità ce l’hanno i mass media che influenzano le scelte delle persone e ne limitano la crescita».

- Il materialismo oggi imperante dipende anche dal fatto che l’uomo si è allontanato dalla natura, perdendo così la propria autenticità?

«Certamente. Quando manca un contatto diretto con la natura, si vede tutto con occhio diverso. Molti vanno in cerca della natura, ma non sanno nemmeno com’è fatta, non sanno distinguere una conifera da una latifoglia, confondono i nomi degli animali e non sanno più leggere le stelle perché l’eccessiva illuminazione terrestre le oscura. Hanno perso il senso della natura, e l’uomo senza natura non può vivere».

- Cosa si potrebbe fare per fermare questa deriva?

«Io sono un semplicista, e spesso dico ai ragazzi delle scuole di leggere di più e di guardare meno televisione. L’ideale sarebbe spegnerla, perché niente più di un buon libro può appassionare, divertire e arricchire la mente e la vita. Se si riuscisse a far avverare questo prodigio, sarebbe un primo passo nella giusta direzione. Ma soprattutto, riprendiamo a scrivere per comunicare».

- Non pensa che oggi manchino figure di valore, che possano fare da modelli per i giovani?

«Sì. E oltre a questo, c’è tanta superficialità, e ci lasciamo abbagliare da tante cose inutili. Dovremmo ricominciare ad andare a piedi e a pensare. Inoltre mi stupisce veder fare dimostrazioni e scioperare delle persone che stanno bene, che hanno buoni stipendi, ma che non si accontentano e chiedono di più. Dove vogliamo arrivare?»

- Anche lei è dell’idea, come molti, che stia per scoppiare uno scontro di civiltà?

«Mi piacerebbe sapere quale civiltà sarebbe in guerra con quale altra. A me sembra che facciamo tutti parte di un mondo globale. Ho compiuto da poco 85 anni, ma ho ancora il vizio di leggere. Questa mattina ho sfogliato una decina di giornali che non avevo ancora avuto il tempo di leggere, e ho strappato le pagine con gli articoli sui quali desidero meditare con più calma. Certo che, dopo essermi fatto un panorama degli avvenimenti della settimana trascorsa, la mia reazione immediata è stata quella di andare a fare una passeggiata nel bosco, di tuffarmi nella natura. Nel mondo succedono troppe cose terribili».

- Che cosa sta leggendo in questi giorni?

«Un’edizione Einaudi molto bella dei quattro Vangeli con i commenti, una lettura molto utile per ricordarsi che ci sono tanti poveri fra noi, tanta gente che viene nel nostro Paese in cerca di una vita migliore, ma che spesso non ha nemmeno un focolare. Bisogna leggere i Vangeli alla luce del nostro tempo, per risvegliare la nostra coscienza».

- Come avventurarci con responsabilità nel 2007?

«Non esagerare mai, essere parchi e leggere il più possibile. E non sciupare i beni della natura, che un giorno dovremo consegnare ai nostri eredi».

Francesco Mannoni
Da Giornale di Brescia


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