E’ stato presentato sabato sera all’Auditorium di Agnosine, al termine di una giornata bagnata dedicata alle Penne nere e al 75 del Gruppo locale, il volume che Waifro Cavagnini, capogruppo dal 1968, ha dedicato agli alpini.
E’ stato presentato sabato sera all’Auditorium di Agnosine, al termine di una giornata bagnata dedicata alle Penne nere e al 75° del Gruppo locale, il volume che Waifro Cavagnini, capogruppo dal 1968, ha dedicato agli alpini.
”Un libro per non dimenticare”. Del volume, "centonovantadue pagine fitte e bnen scritte", riportiamo quello che il giornalista Carlos Passerini ha fissato sulle colonne del Giornale di Brescia.
«I puncialì co’ la pèna» ha come primo obiettivo quello di «ripercorrere con rapidità e tuttavia con precisione, le tappe fondamentali del divenire alpino - spiega Cavagnini nella premessa -, partendo da quel lontano 15 ottobre 1872, quando il Corpo vide la luce, attraverso le tragiche e gloriose vicende delle due guerre e della ricostituzione dei reparti, fino ai giorni nostri nei quali gli alpini continuano a essere protagonisti in ambito militare».
Ma chi sono i «puncialì co’ la pèna»? Gli alpini agnosinesi. Già, perché il termine «puncialì» è l’antico soprannome con cui venivano definiti gli abitanti di questo Comune della Conca d’Oro. Nella seconda parte del libro l’autore ha infatti scandagliato «la storia e le vicende del gruppo degli alpini di Agnosine, le incerte fasi della sua costituzione, tuttora avvolte in molti misteri, e il progressivo affermarsi come una delle associazioni più attive del paese e fra le migliori dell’intera sezione».
È un libro fatto di documenti, di personaggi, di volti. Di storie che s’intrecciano con la Storia, quella con la esse maiuscola. È un omaggio alle tante penne nere di Agnosine - ma anche di un po’ tutta la Valsabbia - che hanno combattuto sui fronti della Prima e della Seconda Guerra, terre straniere dalle quali molti non sono più tornati.
Cavagnini fa un resoconto preciso, puntuale, completo. Senza retorica. Con coraggio, piuttosto. Come quando, all’inizio del volume, spiega il perché di questo lavoro.
E lo fa alla sua maniera, a testa alta, senza nascondersi, dicendo la sua sull’abolizione del servizio di leva obbligatorio e sugli effetti di questa decisione per le future generazioni.
Sì, i giovani.
Che sono poi i veri destinatari di questo bel libro, che lo stesso autore definisce, a ragione, «una piccola pietra di memoria, che raccolta e cementata con molte altre, può costruire un monumento al ricordo e una diga all’oblio».
Carlos Passerini dal Giornale di Brescia
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