18 Aprile 2022, 07.25
Blog - Genitori e figli

Il tempo della solitudine in adolescenza

di Giuseppe Maiolo

In questo periodo è in aumento la solitudine, come condizione di smarrimento e di sconfitta. Alcuni la ritengono la nuova pandemia visto il pericolo che si propaghi a dismisura nell’intera popolazione

 
L’esperienza non ancora conclusa del Covid e ora quella della guerra, ha fatto proliferare la dimensione della solitudine che rischia di compromettere non poco il benessere degli individui e la loro salute mentale.   
Alcune ricerche sviluppate nell’ultimo anno, prima del conflitto bellico, hanno messo in evidenza problematici livelli di solitudine come condizione psicologica dell’individuo che si avverte come soggetto isolato anche quando può far riferimento a relazioni e contatti.

Non riguarda il fenomeno del ritiro sociale che, pur in aumento con la pandemia, spinge gli adolescenti ad allontanarsi dalle connessioni sociali perché impauriti o incapaci di stare dentro le relazioni.
Meno che meno è la solitudine come esperienza transitoria e comune, alle volte benefica se consente di stare con noi stessi ad ascoltare ciò che accade dentro.

Oppure, in certe epoche della vita come in adolescenza, quella particolare esperienza può attivare la socialità e compensare il vuoto che genera la separazione e il distacco dalle sicurezze infantili.
Non a caso durante l’età giovanile, il necessario distanziamento dalla famiglia fa oscillare l’adolescente tra solitudine e adesione totale al gruppo dei pari. Che, peraltro, è condizione fondamentale per lo sviluppo sociale.

La dimensione della solitudine a cui dobbiamo pensare è, invece, un attraversamento negativo dell’esistenza. Non un sentirsi soli ma un essere senza qualcuno con cui condividere il proprio esistere.
Un vissuto intenso di vuoto e mancanza pressoché totale di affetti che scatena sentimenti di angoscia e impotenza capaci, come sappiamo, di sopprimere la speranza e aprire le porte alla disperazione. Del resto si vive solo grazie a connessioni sociali che hanno significato.

Per questo motivo è preoccupante la solitudine come condizione stabile che, secondo gli studi epidemiologici, interessa una persona su 12. Dato peraltro destinato a crescere nella popolazione europea e in particolare tra gli adolescenti, anche a causa della la guerra.
I giovani della I-generation, i nati dopo il 2000, stanno vivendo una sensazione di totale incertezza e di profonda sfiducia nell’esistenza. Prevale in loro la sensazione netta della perdita del futuro e un senso di impotenza totale che sconfina nell’idea di aver subito una sorta di imbroglio da parte degli adulti.
A loro avevamo promesso la felicità e un futuro importante, mentre adesso gli stiamo mostrando uno scenario spaventoso di distruzione che va dalla crisi climatica al pericolo atomico.  

Essere soli, stare soli o sentirsi soli sono certamente condizioni diverse e multidimensionali che hanno però in comune la vulnerabilità psicologica individuale ma anche la fragilità collettiva della società degli adulti.
A questi ultimi, tuttavia, compete il dovere di contenere la condizione della solitudine e riempire il silenzio delle comunicazioni povere e la violenza di quelle conflittuali alimentate sempre più dall’individualismo e dalla competizione.

Scuola e famiglia hanno il compito di costruire progetti di prevenzione e soprattutto educare alla speranza e dare spazio concreto alla solidarietà umana.
Perché nessuno si salva da solo.

Giuseppe Maiolo
psicoanalista
Università di Trento
www.iovivobene.it 





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