È da un po’ di tempo, ormai, che si sente continuamente parlare delle mobilitazioni degli studenti contro la “nuova maturità”, che in realtà si propone come un “ritorno alla normalità”, e chiunque abbia aperto un giornale o acceso la TV ne avrà certamente sentite di tutte i colori: si è passati dall’inneggiare queste manifestazioni come l’inizio di un’era in cui i giovani fossero finalmente protagonisti attivi della politica italiana, allo screditarle, definendole un mero tentativo di saltare qualche ora di lezione e allo stesso tempo garantirsi un esame facile e senza pretese (“due piccioni con una fava”, insomma), fino al promuovere l’immagine altamente generalizzata e disfunzionale degli studenti italiani come un branco di ragazzi svogliati e vittimisti che stanno tentando di sfruttare la condizione imposta dal Covid-19 come scusante per le proprie incompetenze.
In molti si sono espressi in quest’ultima maniera, sottolineando come i giovani d’oggi “
sappiano di meno”, in particolar modo nello scrivere, e come essi si mostrino spesso molto più superficiali e meno maturi rispetto a quelli di ieri, sfociando abbastanza spesso in sciocchi comportamenti di stampo narcisistico a causa dell’enorme risonanza che i social (parte integrante delle loro vite) danno loro.
Tuttavia, a chiunque abbia ricevuto un’educazione anche solo basilare, sarà ben noto che le generalizzazioni non portano quasi mai a nulla di buono, soprattutto quando si trattano temi sociali:
“
La gioventù di oggi è corrotta nell’anima, è malvagia, empia, infingarda.
Non potrà mai essere ciò che era la gioventù di una volta e non potrà mai conservare la nostra cultura”, scrivevano i babilonesi circa 3000 anni fa sulle loro tavolette di argilla e ad oggi le cose non sembrano cambiate molto.
La realtà è che è comprovato che a una determinata generazione la successiva apparirà sempre peggiore della propria, ma all’orgoglio bisognerebbe affiancare i fatti.
I ragazzi hanno meno conoscenze? Falso, il principale problema che attanaglia la scuola italiana da anni (e che continua periodicamente a venire sollevato e prontamente ignorato) consiste proprio nel fatto che le modalità della didattica e i programmi scolastici sono rimasti gli stessi di sempre, divenendo obsoleti per la realtà
“ad alta velocità” in cui oggi viviamo, perciò i giovani non hanno una preparazione più scarsa, ma meno efficiente.
I giovani non sanno più scrivere? Falso, questa percezione distorta è dovuta al fatto che con l’avvento di Internet e dei social oggi tutti scrivono molto di più, seppure in linguaggio meno formale, quindi è inevitabile non notare gli errori della gente meno istruita, ma se pensiamo a pochi anni fa allora ci renderemo subito conto che una volta c’erano decisamente più analfabeti, i quali non scrivevano affatto e dunque è logico non commettessero errori.
Ma se oggi si scrive di più perché si fanno così tanti errori? Perché per i nativi digitali il linguaggio scritto degli SMS equivale a quello parlato, perciò è molto informale e spesso non si pone cura alla costruzione del periodo, come del resto accade quando si dialoga con i propri amici (chi non ha mai sbagliato un congiuntivo o usa sistematicamente e indistintamente il passato prossimo anziché il passato remoto?).
Quindi la colpa è dei social network? No, essi non creano nuovi problemi, bensì amplificano quelli già presenti.
La verità dei fatti è che in troppi non sembrano prendere in considerazione che gli adolescenti, sebbene siano certamente stati i meno colpiti dalle conseguenze sanitarie del virus, sono stati coloro che hanno risentito di più dei disagi psicologici portati dalla pandemia: la maggior parte di essi sono studenti che hanno dovuto affrontare l’“incubo” della DAD (già questo modo di riferirsi alla Didattica A Distanza dovrebbe far sorgere qualche domanda), che di certo ha permesso alla scuola italiana di non rimanere in stallo, ma siccome si è evitato il peggio (ossia la sospensione del diritto allo studio) non si può affermare di avere avuto il meglio.
Non si possono certamente accusare il governo o il Ministero per la resa dei provvedimenti atti ad affrontare una situazione tanto difficile come quella presentatasi a marzo 2020 e a mente fredda risulta assai complicato pensare ad un’alternativa migliore alla DAD, che in realtà risulta essere uno strumento estremamente utile per la didattica; strumento, però, per il quale la scuola italiana non era probabilmente pronta: i docenti in particolare si sono rivelati assai incompetenti sotto un’ottica digitale nell’utilizzo delle piattaforme messe a disposizione per le lezioni a distanza e ciò ha reso quelle frontali inefficaci.
Inoltre molte scuole non disponevano (e tutt’ora non dispongono) di connessioni a Internet efficienti e di dispositivi funzionanti o a sufficienza (molti professori e studenti hanno dovuto infatti acquistare computer e tavolette grafiche di tasca propria), e coloro che hanno dovuto trovare una soluzione a queste mancanze sono ovviamente gli studenti stessi, recuperando più o meno da soli, a seconda dei singoli casi, parti consistenti del programma di un anno e mezzo di scuola, perché anche la discontinuità tra le lezioni in presenza e quelle in DAD si è rivelata massacrante sia per gli alunni che per il personale scolastico.
Insomma, mentre prima della pandemia il carico di studio aumentava gradualmente di anno in anno proporzionalmente all’avvicinarsi dell’esame di maturità, questi ragazzi hanno dovuto sostenere un ritmo e una mole di lavoro da quinta superiore anche in terza e in quarta: gli studenti che stanno scendendo in piazza a protestare in questi giorni non sono ignoranti e nemmeno vittimisti, sono semplicemente esausti!
Pare dunque inevitabile e comprensibile che la notizia di un cambio delle “
carte in tavola” a soli quattro mesi dall’esame sia stata percepita in maniera estremamente negativa, se poi teniamo in conto altre spiacevoli consapevolezze tra cui l’iniziale negazione del bonus psicologico e la precaria condizione lavorativa che affligge i giovani lavoratori ormai da anni.
Più che capire chi ha torto e chi no, probabilmente occorrerebbe ascoltare seriamente questi ragazzi in piazza anche semplicemente per far emergere il punto di vista di un’intera fetta di popolazione che troppo spesso viene ignorata a causa della giovane età, ma anche se la maggior parte degli studenti non possiede ancora il diritto di voto, questo non vuol dire che la loro opinione debba essere messa costantemente in secondo piano: anche loro sono persone e fanno parte del nostro Paese.
Forse siamo ancora in tempo per rassicurarli e investire sul loro benessere, soprattutto psicologico, prima di assistere a una nuova migrazione di massa tra qualche anno, quando il Covid (si spera) rappresenterà un problema superato, perché ricordiamo che i ragazzi ignorati di oggi potrebbero essere gli adulti insoddisfatti di domani.
Elena Tonolini