07 Settembre 2008, 00.00
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Libri

«Chi ha paura muore ogni giorno»

di Alberto Zanetti

Giuseppe Maria Ayala è uno dei personaggi più nobili della magistratura italiana, che ha fatto parte del pool antimafia di Palermo per tutta la sua durata. Ecco la sua esperienza raccontata in questo libro che ha per titolo una citazione di Borsellino.

Giuseppe Maria Ayala è uno dei personaggi più nobili della magistratura italiana, che ha fatto parte del pool antimafia di Palermo per tutta la sua durata.

L’attività del gruppo di lavoro iniziò nel 1983 per volontà di Antonio Caponnetto, come risposta all’omicidio del Generale Dalla Chiesa, ed ebbe il suo culmine nel cosiddetto “maxiprocessoâ€; nato dalle testimoniante del pentito per eccellenza: Tommaso Buscetta, un “perdente†della guerra di mafia. Il maxiprocesso riguardava più di 200 imputati e si concluse con il giudizio della Cassazione del Gennaio 1992 con numeri che rimangono ancora oggi impressionanti: 19 ergastoli, 2665 anni complessivamente inflitti agli uomini di cosa nostra, il colpo più duro mai inferto all’associazione mafiosa siciliana.

Questo libro è pieno di vita: Ayala  non si limita alla semplice cronaca. Racconta del clima di quegli anni, del duro lavoro di quel pool antimafia strepitoso, delle difficoltà quotidiane, ma anche del  tempo libero trascorso con i due grandi magistrati, con i quali l’autore aveva tanta affezionata e intima conoscenza.

L’autore si sofferma soprattutto sulla novità introdotta da Caponnetto: la forte appartenenza al gruppo. Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta, Peppino Di Lello, Gioacchino Natoli, Ignazio De Francisci e Giacomo Conte, “tutti firmavano tutto†ricorda Ayala, per non lasciare nessun uomo dello Stato isolato e per non fare lo stesso errore commesso dallo Stato stesso con il Generale Dalla Chiesa, perché un uomo solo è un bersaglio estremamente facile per la mafia. Rimane formidabile il capitolo in cui Ayala riporta il discorso da Lui pronunciato l’11 Aprile 1987, quando, per la prima volta in Italia, a nome di Falcone, svelò la struttura e il funzionamento di cosa nostra in faccia ai principali boss.

Dopo il maxi-processo, nonostante gli storici risultati ottenuti, lo Stato decise di relegare quei protagonisti in secondo piano e fu lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura, con le sue decisioni, a non riconoscere Loro i meriti, tanto è vero che Ayala fu relegato a risolvere casi di “ladri di polli†e Falcone venne svuotato del suo ruolo. Non ci credevano nemmeno i mafiosi! In un momento di sfogo Ayala confessò di passare più tempo a difendersi davanti ai giudici del Csm che nel suo ufficio a lavorare. Proprio ai problemi del Csm e della Giustizia nel suo complesso che Ayala dedica la seconda parte della sua opera. 

Il libro è denso di argomenti che sono tutt’oggi attuali: l’autore narra dell’ostilità proveniente dai quotidiani locali e da ambienti della magistratura nei confronti di Falcone, accusato più volte; prima di possedere manìe di protagonismo, successivamente di “tenere le prove contro i mafiosi nel cassettoâ€; prima di essere comunista, e successivamente di essersi venduto ai socialisti. Ayala considerava queste calunnie a Giovanni e a tutto il pool una vera e propria beffa,  oltre al danno che più soffrì: obbligare la propria famiglia a vivere i migliori anni scortata dai carabinieri può allontanare la morte ma toglie la piena libertà di esercitare le cose più banali e più belle, per la durata di ben diciotto anni.

Il 5 Novembre 1988 Falcone disse: «Se i valori dell’autonomia e dell’indipendenza sono in crisi, ciò dipende, a mio avviso, in misura non marginale, dalla crisi che investe l’Anm, rendendola sempre più un organismo diretto alla tutela di interessi corporativi e sempre meno il luogo di difesa dei valori della giurisdizione»;  Falcone, inoltre, non era contrario ad un’eventuale separazione delle carriere dei pm e dei magistrati perché:«diverse sono le funzioni, le attitudini, l’habitus mentale, le capacità professionali richieste […] Continuare a considerare la magistratura unitariamente , equivale paradossalmente , a garantire meno la stessa indipendenza ed autonomia della magistratura». 

La lettura di questo libro non è solo un piacere, ma è un vero e proprio omaggio agli uomini che diedero dignità al nostro Stato e che il nostro Stato non riuscì a difendere ed a valorizzare. La memoria di Giovanni Falcone e le Sue Idee, oggi, vengono utilizzate in modo strumentale per sostenere la bontà dei propri interessi a corrente alternata, ovvero solo quando interessa. Ciò è aberrante, perché non riconosce dignità a quei servitori dello Stato come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che non avrebbero mai nemmeno pensato che lo Stato dovesse convivere con la mafia … e non avrebbero mai considerato Vittorio Mangano un eroe.   

«È bello morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola» - Paolo Borsellino.



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