06 Giugno 2021, 08.00
Gavardo
Blog - Maestro John

La mia naja

di John Comini

Forse non tutti i ragazzi sanno cosa sia la naja. Forse ne hanno sentito parlare dai nonni o dai padri. Naja era il servizio militare di leva, sospeso nel 2005. Ognuno ha la sua naja da raccontare, questa è la mia. E alla fine un invito all’Isolo


Mio papà, classe 1913
, era nel Genio militare, aveva vissuto la tragedia della guerra ed era stato fatto prigioniero dai tedeschi, sopravvivendo in un campo polacco.

Poi per fortuna è giunta la pace. Mio fratello Franco, classe 1941, lavorando alla Falck di Vobarno è stato in Marina per 2 anni. Dopo due mesi a La Spezia, è stato trasferito a Taranto per un Corso di specializzazione anti-sommergibile, poi ad Augusta (SR). È stato imbarcato fino al congedo sulla Corvetta Sfinge e poi sulla Fregata Aldebaran.

Mio fratello Dino, classe 1942, era negli alpini ed ha fatto il CAR (Centro Addestramento Reclute) a Montorio Veronese (dove poi sarà ufficiale il mio amico Mauro Abastanotti), poi è stato trasferito a Merano, in fureria.

Anch’io sono alpino. Avevo fatto la famosa visita a Brescia ed un medico militare, dopo avermi controllato vista, “paesi bassi”, spalle e schiena, mi aveva certificato abile ed arruolato.

Non c’erano guerre, ma avevo paura degli scherzi. Mi giungevano alle orecchie storie di nonnismo, scherzi che facevano i soldati più ‘anziani’ alle reclute. Come il ‘canto del cucù’, con i nuovi arrivati costretti a salire sulle mensole e ad intonare il ‘canto al nonno’: «Buonanotte nonnino, per te è finita, per me c’è una vita.» O il ‘jukebox’: uno chiuso in un armadietto doveva cantare a richiesta. O il classico ‘sacco’, con le lenzuola piegate in modo che il malcapitato non riusciva ad infilarsi nel letto. Oppure il gavettone rovesciato in piena notte nei letti delle reclute. O peggio, le ‘comunioni’, spuntini poco invitanti a base di ‘patate e pissa di asino’.

Giunse la fatidica cartolina: destinazione il CAR di Cuneo (come Totò!). Mi recai dal Santino Galante a farmi tagliare la zazzera. Diedi l’addio: l’unica femmina che pianse fu mia nipote Donata Franceschetti: aveva 2 anni.

Il 6 giugno di 49 anni fa partii: pullman SIA fino a Brescia, poi in treno verso Cuneo. Volti tristissimi, qualcuno rideva per farsi coraggio.
Pensavo ingenuamente di aver fregato il barbiere, ma non immaginavo che quello militare mi avrebbe realmente rasato a zero.
Consegnai le mie poche cose da borghese e mi diedero il vestiario grigioverde, con il cappello alpino, ago e filo per cucire, una gavetta. Per fortuna conservai le mie mutande fantozziane. Sulla branda si doveva imparare il “cubo”, piegare in tre il materasso e sopra mettere, ben stese, coperte e lenzuola: “Lancerò sopra al cubo una moneta: se non rimbalza, vi beccate una punizione!” Venne l’ora della mensa, cioè del rancio, in grandi vassoi metallici. Si raccontava che i sergenti si imboscassero il meglio delle cucine e che ai poveri soldatini dessero lo scarto. Ma non mi son mai lamentato, tra gli amici ero celebre come “büs del sicér”.

In cortile un caporale urlava: “Att-ti” (attenti) e “Ri-so!” (riposo). All’ordine “Soldato, presentati!” dovevo urlare: “Soldato Comini Giovanni, I° plotone III° compagnia II° Reggimento comandi!” La prima sera, in camerata, fui assalito da una nera tristezza. Era passato il primo giorno di 15 mesi: mi sembravano un’eternità. Vidi molti compagni che piangevano o scrivevano lettere alle morose. Ero ignaro che la mia attuale moglie fosse innamorata di me!  Mi ha poi raccontato che piangeva giorno e notte. Ma poi, al ritorno, mi ha sposato…e ha fatto piangere me, eh eh eh!

In fila, a petto nudo, un infermiere con un’enorme siringa ci fece la puntura contro tetano e tifo. I giorni passavano, tra marce e contromarce.
Mi diedero una scheda da compilare, alla voce ‘professione’ scrissi ‘attore’. Mi cercarono per uno spettacolo da recitare davanti ai commilitoni, così saltai qualche marcia. E’ lì che feci il primo monologo, davanti a centinaia di soldati plaudenti. Inventai la comica storia di un alpino di guardia, venni subissato di applausi e mi presi  i complimenti dal capitano. Avremmo dovuto replicare lo spettacolo nelle varie caserme, ma in un paese vicino una recluta tragicamente si gettò dalla finestra e tutto fu sospeso.

Fui trasferito a San Giorgio a Cremano di Napoli, dove è nato Massimo Trioisi! E venne il fatidico giorno del giuramento. ‘Lo giurate voi?’ Molti dissero di aver gridato, nell’urlo generale “L’ho duro!”, ma in realtà tutti urlarono commossi “Lo giuro!”. Quel giorno venne a trovarmi il mio grande amico Deni. Mentre tutti si recavano con i familiari nelle trattorie strapiene, io e Deni rimanemmo in caserma, dove i cuochi-soldato ci fecero gustare un rancio da chef!
Il Capitano mi invitò nel suo ufficio e mi scrisse una lettera di encomio, come raccomandazione al comandante di Napoli. Ma non l’ho mai mostrata…

Il 28 luglio arrivai in treno a Napoli preso la Scuola Speciale Trasmissioni. Passai tre mesi stupendi. A colazione distribuivano squisite tortine, ed io passavo da un posto all’altro e me ne tenevo alcune come dolce per pranzo e cena. Dovevo imparare l’alfabeto Morse, come per la F: punto-punto-linea-punto ‘di-di-daaa-di” (non vi scrivo la battuta che si faceva). A letto stavo sotto una bella persona. Alt! Cosa avete capito? C’erano i letti a castello, e sopra di me c’era uno che giocava in serie C, alto ed atletico: era una persona corretta, lo sentivo amico.

Feci la guardia nella garitta all’ingresso della caserma, ma non mi pesava, potevo vedere la vita della gente. Alcune volte montai la guardia notturna alla polveriera, con vari cani che mi seguivano, erano buoni ma io avevo fifa di loro, poveri cani. In libera uscita girai per Napoli, assaggiai la vera pizza napoletana e assistetti (gratis, come militare) ad una partita allo stadio San Paolo, ora Maradona. La domenica mi veniva a prendere in spider rossa l’amico Salvatore, conosciuto in un campo scuola dei Padri Scalabriniani a Villabassa. Mi offriva il pranzo, insieme alle due belle sorelle, e mi faceva conoscere le meraviglie dei quartieri e di Pompei: vidi recitare Eduardo De Filippo grazie a Salvatore. Volete ridere? Quando passai da Napoli in viaggio di nozze, l’ho cercato, ma non rammentavo il suo cognome. Sapevo solo che abitava in Via Orazio, ma è enorme! E poi, cercare un Salvatore a Napoli non è semplice…

Vedi Napoli e poi…Merano. Da radiotelegrafista il 19/11/1972 fui trasferito al 5° Reggimento Alpini, Caserma Rossi, vicino all’Ippodromo. Non ero una “burba” ma con più anzianità, non c’erano episodi di nonnismo, qualche “sbrandata” o un gavettone verso qualcuno che si ribellava. Io cercavo di essere invisibile. Quando diventammo “nonni” noi, impedimmo che si facessero scherzi alle reclute.
Allo spaccio (inteso come bar) sentivo la canzone dei Santo California al jukebox e mi si spaccava il cuore…

“Rivedo ancora il treno allontanarsi e tu
che asciughi quella lacrima - tornerò
com'è possibile un anno senza te.”    (che poi erano 15 mesi…)

Io bevevo la mia gazzosa e piangevo senza farmi vedere. E sull’altana, sotto le stelle fredde, mentre facevo la guardia al buio ed al nulla, con il mio fedele Garand (senza cartucce: fortuna che non c’erano Austriaci ad invaderci…) cantavo tutto il repertorio delle canzoni tristi.
Una domenica vennero a trovarmi in treno Emi, la sua amica Daniela ed il caro Gabriele Rivetta. Mi regalarono una torta, che poi divorai egoisticamente di nascosto nei bagni, per non dividerla fra i componenti della camerata. La fame è fame.
Un giorno un amico addetto alla mensa ufficiali mi fece entrare in cucina e sgraffignai un blocco di burro e marmellata. Li mangiai in un paio di giorni ed ebbi problemi intestinali, chissà perché.

Il sabato sera, quando non me ne stavo a cena con i conducenti muli, andavo in libera uscita a mangiare la pizza con l’amico Gianni Facchetti. La pizzeria era stracolma di soldati in divisa (non ci si poteva “cambiare” in borghese). Gianni mi diceva che dopo il militare il tempo vola, ed ora so che è vero. Gianni, ottimo calciatore, la domenica si recava vicino a Merano a giocare nella squadra del Laces.  
Talvolta curiosavo all’ippodromo, prima delle corse puntavo i soldi della decade come un grande scommettitore, ma non vinsi quasi mai. Si sa, sfortunato nel gioco, fortunato in amore (si dice così, no?). Ricordo in armeria il gavardese Franceschini. Una volta sparai al poligono di tiro, mi dissero che avevo fatto numerosi centri. Del resto, con tutte le sparatorie di cowboy da bambino…Feci anche il lancio della bomba a mano, ero un po’ agitato: mi venivano in mente le comiche di Charlot, metti che sbaglio a contare…

Quando per caso vedevo un’auto targata BS, avrei abbracciato il conducente. Talvolta per andare in licenza facevo l’autostop indossando la mia bella divisa: mi raccattavano subito, con mille domande, manco fossi un reduce di guerra.

Talvolta al ritorno l’amico Ivano Maioli mi accompagnava con la sua Mini fino a Trento. Per il tesseramento della sezione Alpini mi diedero una licenza. Sfilai sul ponte di Gavardo, con la gente che festeggiava e la fanfara che suonava “33”.  Insieme a me c’erano il caro Gianni Faini, sergente, e l’amico Gianni Facchetti. Mio papà pieno d’orgoglio uscì dal negozio di scarpe con tutti i clienti, ma ad un tratto si udì il leggendario Doro esclamare: “Comini, al pàs!” Si narra che mio papà sia rientrato ed abbia abbassato le saracinesche per la vergogna…

Come addetto alle comunicazioni radio partecipai al campo invernale in Val Venosta. Il paesaggio delle montagne innevate era fantastico: ero felice, con la mia tuta mimetica e i miei scarponi. Certo, la mia bravura alla radio non era al top, se gli austroungarici ci avessero attaccati temo che avremmo subito una nuova Caporetto…

La sera in caserma mi recavo a vedere il cinema: me ne stavo fuori a gironzolare e poi entravo quando c’era l’intervallo tra il primo ed il secondo tempo, e si poteva scappare dentro senza pagare. Tutti i soldi risparmiati della decade, a naja finita, li ho consegnati a mio papà, che se li è intascati. Anche perché io non ho mai avuto bisogno di niente. Solo di istanti di felicità. La sera, in camerata, guardavo la chiesetta illuminata sulla montagna, e mille pensieri mi affollavano la mente. Poi il tempo, incredibilmente, passava. Trenta all’alba, venti all’alba, dieci. E quando l’ultima sera sentii la tromba che suonava il silenzio, piansi sotto le coperte della mia branda. Un tempo importante della giovinezza se ne andava.

“Buonanotte amore, ti vedrò nei miei sogni…
buonanotte a te che sei lontano” (Nini Rosso)

Il 3 novembre 1973 fui mandato in congedo illimitato per fine ferma. Mia moglie mi dice: ma se eri terzo figlio maschio, dopo 2 fratelli che avevano fatto il militare, perché non sei rimasto a casa? Tre risposte: non lo sapevo, e poi ho potuto riscattare il periodo per la pensione (grazie a Emi, sempre attenta alle faccende burocratiche) e infine: 15 mesi di libertà dal matrimonio valgono tutti i sacrifici del mondo. O no?

E allora brindo alla maniera alpina:
“Alziamo il bicchier, facciamo cin cin, beviam beviam beviam
tutto il mondo fa cin cin sollevando il bicchiere di vin
cin cin evviva gli alpin cin cin!”

Concludo ricordando che anche oggi, domenica, si può visitare la splendida mostra “Il volto storico dell’Isolo”, cartoline della collezione privata di Stefano Susio. È l’occasione per vedere in anteprima il meraviglioso parco pubblico incastonato tra il Naviglio e il Chiese (ah, il Chiese!), ora divenuto un vero giardino, grazie al lavoro instancabile dei tanti simpatici volontari. E ci sono anche le torte!

Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo,
maestro John

Nelle foto:
1) Il sottoscritto a Merano nel 1972
2) Mio fratello Franco in Marina
3) Coscritti gavardesi al CAR di Montorio Veronese (marzo-maggio 1963): in piedi da sinistra Maioli Giuseppe (che ringrazio), Goffi Domenico e Tameni Bruno; accosciati Zambelli Luigi, il caro Filippini Bruno e mio fratello Dino
4) L’inaugurazione della mostra fotografica all’Isolo




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