02 Maggio 2021, 09.14
Blog - Maestro John

Un addio, Bustù & CBO e nozze d'oro

di John Comini

Vorrei ricordare Battista Grumi, che ieri ci ha lasciato. Poi raccontare il lavoro al Lanificio e al Cotonificio con i bei ricordi dell’amica Ceci Cattaneo ed infine far “festa” alla mia amica Mary Festa per le nozze d’oro con il suo Dino


Battista Grumi era un esempio di impegno politico e sociale per la comunità gavardese. Operatore sindacale presso l’ospedale, è stato assessore ai servizi sociali per 5 anni con il sindaco Gian Battista Tonni. È stato tra i fondatori dell’Associazione Volontari Gavardesi O.D.V. e ne è stato anche il presidente.

Si è sempre prodigato con generosità nell’assistere gli anziani, migliorandone le relazioni umane e la qualità della vita. Persona corretta e profonda, lascia la moglie Orsola ed i figli Margherita e Filippo. Quest’ultimo ha seguito l’esempio del papà, impegnandosi nel Comitato Spontaneo di Cittadini GAIA, che si batte per la salvaguardia del territorio e del fiume Chiese.

Battista aveva un altro figlio, Luciano, strappato alla vita in giovane età. Ora lo potrà riabbracciare, nell’eterna luce dell’amore.

“È una regola che cambia tutto l'universo
perché chi lotta per qualcosa non sarà mai perso
e in questa lacrima infinita
c'è tutto il senso della vita.”
(Fiorella Mannoia)

In occasione della festa del lavoro, vorrei rendere omaggio a tutti i lavoratori, in particolare alle molte operaie ed agli operai del Lanificio e del Cotonificio, che in gioventù hanno lavorato permettendo a sé e alla propria famiglia di vivere in modo dignitoso. Si diceva: “Se non lavoravi al Lanificio nessuna ragazza ti guardava e non potevi sperare di trovare la morosa…”.

Una donna racconta: “Il giorno in cui sono entrata nello stabilimento è stato il giorno più bello della mia vita, più ancora del giorno della Prima Comunione: l’ho desiderato tanto… ”. Un’altra: “Per farsi assumere bisognava andare alla portineria: qui, a un certo orario, passavano i capi a fare la selezione.” Ma non tutte erano felici: “Il primo giorno ho pianto tanto, che brutto è stato: non mi è mai piaciuto lavorare allo stabilimento, io lavoravo i campi e mi piaceva stare all’aria aperta.”

Il tempo era scandito dalle sirene. Il primo fischio diceva “devi prepararti”. Al secondo fischio si doveva partire e al terzo bisognava già aver timbrato il cartellino. Chi timbrava dopo il terzo fischio veniva segnato in rosso: prendeva la multa che veniva trattenuta dalla busta paga. Quando si usciva si ascoltava la sirena che era sia interna sia esterna: e così le mamme sapevano che il figlio tornava per mangiare.

Tutti andavano al lavoro a piedi. Per chi abitava vicino era relativamente semplice, a parte i disagi del freddo inverno. Ma per chi proveniva da Calvagese, Paitone, Prevalle, Serle, Vallio era necessario mettersi in cammino per tempo. C’era chi partiva da casa alle quattro del mattino! Qualcuno poteva concedersi il lusso di una bicicletta. “Eravamo in tante, tutte assieme a fare il tragitto da Gavardo al Bostone. Ci si faceva compagnia, alcune volte si cantava.” Al Cotonificio convergevano lavoratori di Villanuova, Soprazocco, Moniga, Cunettone, Raffa, Tormini e Polpenazze. Spesso arrivavano bagnati fradici per la pioggia.

Quando si entrava alla mattina si mettevano i padellini della colazione e del pranzo in una grande vasca di acqua che veniva riscaldata: all’ora stabilita ci si fermava e si trovava il cibo caldo. “In inverno facevo la giornata e andavo a mangiare dal Bendotti: faceva il riso molto buono ed era bravissimo a cucinare”.

A Natale la direzione regalava mezzo chilo di lana alle maestranze. C’era uno spaccio gestito da una cooperativa, che riforniva gli operai del necessario per mangiare e per vestirsi a prezzi accessibili.
Il Lanificio prestava i soldi per la casa, trattenendoli dalla busta paga. Chi andava in pensione ‘segnava’ il posto per la figlia o il figlio. A Gavardo e Villanuova vennero costruite molte abitazioni per gli operai e gli impiegati; per chi proveniva da paesi lontani venne costruito un convitto che poteva ospitare più di 200 operaie, gestito dalle suore.

Il reparto di filatura era un posto molto umido per necessità di lavorazione della lana.
Si soffriva l’umidità, il rumore eccessivo e il caldo. Quando si lavorava alle macchine a volte si verificavano incidenti gravi, anche mortali.
Molte comunque amavano il proprio lavoro e lo rimpiangono con nostalgia. Tra i compagni di lavoro erano frequenti gesti di solidarietà e aiuto reciproco. Le operaie, quando erano molto stanche, potevano prendersi una piccola pausa, contando sul fatto che le compagne avrebbero custodito la macchina al posto loro. La nonna Lina, mamma del caro Sergio Franceschetti, raccontava che, quando aveva una crisi di sonno, chiudeva gli occhi in bagno un paio di minuti, e l’assistente battendo sulla porta: “Föra a laurà!”

Fra colleghi c’era grande stima e il caporeparto e i vari assistenti aiutavano gli operai in caso di malfunzionamento delle macchine. C’erano storie d’amore dietro le grandi macchine filatrici, incontri che avrebbero dato poi vita a nuove famiglie. Molte storie nascevano di nascosto: era vietato parlare con i maschi all’interno della fabbrica, così il principe azzurro e la morosa si ritrovavano in bagno per scambiarsi un bacio o semplicemente una carezza, mentre i compagni li coprivano, per poi magari cucirci sopra commenti e pettegolezzi. Altri hanno stretto amicizie durate tutta la vita.

Quando arrivò la crisi ci furono le lotte sindacali, mesi di sciopero e occupazione: gli operai passavano sotto la direzione con i fischietti. Alcuni ex operai venivano a portare caffè caldo e solidarietà. Monsignor Ferretti scrisse una lettera alla Direzione Aziendale facendo presente che l’azienda è sì del capitale, ma anche degli operai che hanno lavorato. Era venuto anche il Vescovo di Brescia Mons. Morstabilini a celebrare la Messa nei reparti e ad offrire il suo sostegno. Ma dopo tanti sforzi, tante battaglie… “Ho visto diverse persone piangere…” Il giorno in cui spensero la sirena fu molto triste per gli operai, fu come uno strappo nella loro anima, come se d’improvviso fosse sparita una parte della loro identità.

Ho chiesto all’amica Ceci (Cesarina) Cattaneo di Villanuova di scrivere alcuni suoi ricordi personali. Eccoli…

“A 15 anni non ancora compiuti ho trovato un posto di lavoro in uno scatolificio artigianale di Gavardo e insieme ad altre ragazze della mia stessa età abbiamo imparato a confezionare scatole per i completi di posate che si fabbricavano a Lumezzane. Lavoravamo per 8/9 ore al giorno e poi la sera alcune di noi frequentavano la scuola serale delle suore Orsoline per un corso di stenodattilo e ragioneria pratica. Ottenuto il diploma di questo corso con ottimi risultati, qual è stato il premio assegnatomi? Lunedì 6 marzo alle ore 8 assunzione al CBO (Cotonificio Bresciano Ottolini). Questo voleva dire allora: addio ai miei sogni di diventare impiegata (il Cotonificio ne contava già parecchi e bisognava essere particolarmente raccomandati, per cui... ) e naturalmente un posto sicuro fino al termine della mia vita lavorativa.

Posso dirmi fortunata perché, a differenza delle altre assunte insieme con me, non sono stata assegnata al reparto dei rings ma in un posticino dove si preparavano le spolette di trama per la tessitura. Mestiere bellissimo perché vario e con delle macchine che mio zio Lorenzo (che faceva il manutentore) dichiarava fossero dei giocattoli industriali. Ero in compagnia con altre due operaie, che pazientemente mi hanno insegnato a destreggiarmi tra rocche, fusetti e cassette.

La bella compagnia è stata la costante della mia avventura in fabbrica, perché lavorare con persone con cui vai d’accordo ti semplifica le otto ore che faticosamente ti devi  fare. Non avere ancora 16 anni e avere qualcuno con cui ti puoi confidare, amiche coetanee con le quali anche giocare tra i carretti delle rocche. Una volta che hai il moroso, fare a gara a chi per prima riceve l’anello di fidanzamento e, non da ultimo, chi per prima portava la data fissata per il fatidico Sì… Una volta poi arrivati i figli, le più mature distribuivano consigli, insomma tutto sommato era un ambiente sereno e tranquillo. Al rientro dalla maternità sono stata destinata a far da jolly in quanto avevo ottenuto un orario ‘centrale’ che mi permetteva di seguire meglio i miei bambini: questo mi ha permesso di acquisire varie conoscenze e di destreggiarmi meglio con tela, ordito, fili da far combaciare, tele da revisionare, telai da far marciare e così via.  

Io non ho vissuto il periodo della chiusura della fabbrica poiché mi ero dimessa dopo 18 anni di lavoro, nel 1981. Però posso dire che per Villanuova e i villanovesi che vi lavoravano è stato un brutto colpo. Abituati ad avere il lavoro dietro casa, doversi spostare per maturare gli anni per la pensione e cambiare totalmente lavoro a una certa età non deve essere stato per molti un bel periodo. Però adesso che molta acqua è passata sotto i ponti possiamo essere abbastanza soddisfatti di come è andata a finire.

Dove andavamo a sudare per portare a casa la pagnotta (caldo, polvere, umidità) adesso andiamo al supermercato, a girare tra i negozi, a berci un caffè piuttosto che un bel gelato e tutto con l’aria condizionata e tanti giochi per i bambini. Un ricordo ce l’ho ancora vivo. Quando salgo le scale di grezzo granito mi ricordano le corse per salirle alle 5,55 del mattino, per non timbrare di rosso il cartellino per evitare la multa dietro l’angolo. Com’è cambiato il mondo.” Grazie mille, Ceci! 10 e lode!

Una bella notizia. La settimana scorsa la mia amica Maria Festa ha festeggiato il 50° di matrimonio con il marito Dino, nella Chiesa di San Lorenzo a Sopraponte. Si erano sposati nel 1971 e la Messa era stata celebrata da Mons. Ferretti. Maria Festa, per tutti Mery, è nata a Castrezzone e dal 1960 si è trasferita a Gavardo. Ha lavorato al Lanificio e presta da tempo il proprio aiuto come volontaria nell’Avulss. È una persona solare e simpatica, sempre presente quando serve un aiuto a qualcuno.

Il marito Goffi Bernardo (da tutti chiamato Dino), nato a Muscoline, si è trasferito a Sopraponte nel 1960. Ha lavorato per 3 anni al Lanificio, facendo il turno di notte, poi ha fatto l’autista dei pullman della SIA. Si erano conosciuti durante le cerimonie della Settimana Santa (una vera…passione laica!). Durante il viaggio di nozze sono stati in Liguria, a Cuneo (dove Dino aveva fatto il CAR) e ad Aosta, dove aveva fatto il resto del servizio militare. Dino è un eccellente atleta, è bravissimo a fare lo spiedo e svolge servizio di volontariato presso l’A.V. G. al Centro Sociale di Gavardo (ma pare che faccia volontariato anche per sopportare la mia amica Mery, sebbene lei ovviamente dica l’opposto…)

Hanno una figlia bella e dinamica, Simona, che ha scritto sui social, tra faccine sorridenti e cuori pulsanti: “Festa grande oggi per il 50° anniversario di matrimonio dei miei genitori. Tra le difficoltà della vita non è facile raggiungere un simile traguardo, ma quando ci sono i valori e la salute, questo diventa possibile. Un grosso grazie per l’esempio che continuate a dare.” Durante la cerimonia celebrata da mons. Italo, il parroco ha donato agli sposi un Quadro della Madonna del Malghér e una zia ha fatto pervenire loro la Benedizione del Santo Padre. Felicità!

“Una tovaglia stesa sotto un melo non può ricevere che mele, una tovaglia stesa sotto le stelle non può ricevere che polvere di stelle.” (Antoine de Saint-Exupéry)

Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo,
maestro John

Nelle foto:
1) Battista Grumi, al centro, con i presidenti dell’Associazione Volontari Gavardesi Lanfranco De Agostini e l’amico Ernani Cortini
2) Donne al Lanificio (al centro della foto la cara Paola Tebaldini, che tutti chiamavano Leti, mamma della mia amica Daniela Massolini che ringrazio di cuore)
3) L’amica Ceci Cattaneo accanto all’inseparabile marito Aldo Zambelli
4) I festeggiamenti per le nozze d’oro di Mery e Dino

Grazie all’amico Roby Ortolani. Alcuni brani sono tratti dal bel libro “Il filo e la rocca” scritto da ragazze e ragazzi delle classi terze delle Medie di Villanuova in collaborazione con l’associazione culturale La Rosa e la Spina e dal libro “Fili di… storie di lavoratrici e lavoratori” (CISL di Gavardo)





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