13 Marzo 2021, 10.15
In Tv

Patetico tramonto per Montalbano

di Marisa Viviani

L'ultimo episodio della serie TV “Il commissario Montalbano” ha segnato il tramonto del personaggio che ha tenuto banco per vent'anni sui teleschermi italici


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E se l'episodio trasmesso lunedì 8 marzo, “Il metodo Catalanotti”, malauguratamente non chiudesse davvero la saga di Montalbano (altri due racconti potrebbero essere ancora sceneggiati), l'immagine del commissario resterebbe comunque irrimediabilmente compromessa.

Non solo per il crollo di stima nei confronti dell'uomo Montalbano, da sempre presentato come una persona sostanzialmente retta ed equilibrata, pur con i difetti connessi all'imperfettibilità umana, ma anche per la caduta di credibilità nel poliziotto Montalbano, aspetto sottovalutato dalla critica dello spettacolo.

E anche per altri elementi non considerati; dai quali è il caso di iniziare la stroncatura di quest'ultima puntata, a partire dalla stessa paradossale vicenda delittuosa, che appare uscita dalla penna di uno scrittore di telenovelas più che dalla penna di un grande scrittore come Andrea Camilleri: l'espediente narrativo del pupazzo di cera, centrale nel fatto di sangue, appare infatti come l'estremizzazione scenica di chi ha esaurito le sue risorse romanzesche basate sulla realtà e ricorre a cervellotiche invenzioni ad effetto per levarsi dalle pétole (e dopo ben 37 racconti, più i 2 non ancora sceneggiati, è anche comprensibile, ma se succede, si può anche decorosamente chiudere bottega).

Sarebbe opportuno quindi non disturbare i grandi miti letterari e drammaturgici (dai tragici greci a Pirandello), evocativi di un parallelismo tra rappresentazione e vissuto reale, come qualcuno ha ipotizzato; cercare ad esempio nel pupazzo di cera significati simbolici che ne nobilitassero la figura, si configurerebbe come un esercizio acrobatico da saltimbanchi, in quanto l'unico simbolismo giustificabile sarebbe l'identificazione con il personaggio stesso di Montalbano, che nella fiction appare come l'ombra di sé stesso.

Un pupazzo insomma. Sotto ogni aspetto.

Il più eclatante dei quali ha scatenato le proteste di moltissimi telespettatori, prevalentemente donne, per le modalità con cui il Salvo nazionale ha interrotto la relazione con Livia, la storica compagna di vita, lasciata senza una parola, una spiegazione, un confronto decente, nel corso di una telefonata demenziale, pressoché muta da parte del commissario, inebetito dalla propria codardia oltre che da altre pulsioni. Con un minimo di immaginazione si può capire a che tipo di pulsioni si fa riferimento, sapendo che la causa dell'improvvisa decisione era una donna più giovane dell'ex fidanzata (esilarante la battuta della nuova fiamma, che si chiede “Che centro io?” con i rapporti tra i due).

E poi, dopo la telefonata, quell'inquadratura di spalle che cancella la stessa immagine di Livia, il suo ricordo, rendendola anonima, privata del suo viso, della sua identità, della specificità delle sue emozioni, del suo dolore/delusione, annullata con un definitivo colpo di telefono, scomparsa, annullata, mai esistita: altra caduta di stile, oltre che del commissario, anche da parte della regia proponendo una scena che suona come un vero insulto alla persona e alla dignità della donna in generale, assommando all' insulto la noncuranza, se non la strafottenza di una programmazione che mette la fiction in palinsesto nella giornata dell' 8 Marzo.

Che dire poi se il regista è lo stesso attore pluridecorato Luca Zingaretti, che ricopre il ruolo lasciato dal regista storico della serie, Alberto Sironi, dirigendo una puntata sostanzialmente monotona, senza ritmo scenico, pur se costellata da inaspettati eventi o comportamenti imprevedibili, che stravolgono la figura del commissario proponendo un nuovo Montalbano imbolsito, barba lunga e borse sotto gli occhi, stralunato come uno zombie strafatto di babà al rhum, incapace di autentica emotività se non di origine ormonale.

Oltre all'indegno comportamento con l'ex compagna, lo stravolto commissario riesce a peggiorare la sua nuova immagine escludendo anche i suoi fidati collaboratori financo dalle indagini, oltre che dai rapporti d'amicizia (tristemente comica la scena in cui sbatte fuori casa Mimì Augello e Fazio col boccone in gola e la forchetta a mezz'aria mentre stanno cenando, perché deve rispondere ad una telefonata della nuova fiamma).

Il culmine della balordaggine di questa ultima puntata è rappresentato infine dal miserevole crollo di credibilità del commissario, che perdendo completamente la brocca se ne va a futtiri e a brindare con la giovane conquista, che è peraltro una collega, in casa altrui e addirittura sulla scena del presunto delitto. Alla faccia della professionalità dell'integerrimo commissario! Si era mai visto ridurre a brandelli uno stimato personaggio in quattro e quattr'otto per una tempesta senile di testosterone, dopo averlo eretto a modello umano, morale e istituzionale per ben 22 anni, punto di forza della programmazione RAI e business consolidato?

Beh, come si dice, c'è sempre una prima volta; anche per assistere alla patetica dipartita del celebre Montalbano.

E mentre la reputazione e il prestigio dell'uomo e del commissario si squagliavano in un crescendo di paradossali contraddizioni, luoghi comuni e sconcerto del pubblico, ecco apparire durante una pausa pubblicitaria Luca Zingaretti nelle vesti di sé stesso e consorte, felici e contenti a fare la reclame della pastasciutta: l'unico momento di vera comicità della serata. Mancava soltanto il fratello Nicola, che da solo avrebbe conferito al contesto il tocco dell'autentica drammaticità, che “Il metodo Catalanotti”non ha mai espresso.

Insomma, per dirla in siciliano accademico, una vera minchiata.



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