Gli eroi son tutti giovani e belli

Già Pasolini lo aveva definito “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo” in tempi non sospetti, e molti altri grandi come Eduardo Galeano, Osvaldo Soriano, Umberto Saba ne hanno consacrato storie e leggende in salsa letteraria oltre che popolare.

Tutto ciò, o una parte di ciò, fa in modo che se in Italia dici Rossi, o stai riferendoti ad un ipotetico signore qualunque (il sig. Rossi), o stai parlando di Paolo Rossi, colui che per ogni italiano nato dagli anni Settanta in avanti, è stato più importante di qualunque ministro o sottosegretario transitato per i palazzi del potere.

Perché se dici Paolo Rossi, rigorosamente pronunciato nome e cognome, stai parlando di un eroe nazionale, di colui che “fece piangere” uno dei Brasile più forti di sempre, e che con sei gol in tre partite nel Mondiale del 1982 ci consegnò una vittoria iridata che nessuno credeva possibile e che mancava dagli anni Trenta.

Attaccante di razza, non esaltante tecnicamente, non certo il classico numero nove, concreto però e letale sotto porta. Tanti gol, molti trofei nazionali ed internazionali, un Pallone d’oro ed un Mondiale; il tutto in poche stagioni di gloria, di sicuro molte meno di quelle che avrebbe potuto avere, ma che gli bastarono per restare nella storia, nel bene e nel male.

Se tra vent’anni capiterà di sentir parlare di Paolo Rossi, in pochi magari si ricorderanno dell’educato e gentile opinionista Rai, dell’uomo intelligente, sorridente e pacato, così descritto da chi lo conosceva bene;

però di certo tutti conserveremo nella mente l’immagine di quel ragazzo di ventisei anni, vestito d’azzurro, che braccia al cielo sta festeggiando i tre gol segnati ad uno dei Brasile più forte di sempre, avvalorando quella gucciniana tesi che vorrebbe “gli eroi tutti giovani e belli”.

E come dargli torto?