10 Novembre 2020, 16.21
Blog - Circolo Scrittori Instabili

Ascolta, cosa provi?

di Rossana Mazza

“Una stanza a cielo aperto, le tre mura formavano virtualmente una U. Lungo tutto il perimetro una fila di grossi bidoni in alluminio, alcuni straripanti di immondezza e altri chiusi dal coperchio...


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... Tutt’intorno carte sporche, pezzi di verdura, sacchetti pieni legati e buttati là. La puzza pungeva le narici. La bimba immobile, dritta come un soldatino e con il suo sacchetto in mano, scrutava cercando il coraggio per entrare nel campo di battaglia. Le ombre nascondevano chiamando la paura.”

Enny salì in macchina, impostò l’indirizzo sul navigatore, sistemò la sua schiena dolorante e partì. Un insieme di sensazioni contrastanti l’avvolgeva. La sua mente analitica cercò di indagare per capire meglio, ma poi lasciò andare tutto, consegnandosi al paesaggio di viti e ulivi – seminati da mano sapienti – che si alternavano ai prati arati e agli altri, verde clorofilla, donandole una sensazione di benessere.

Chissà come sarà Gaia di persona… pensò.

Si erano conosciute durante il lockdown, entrambe iscritte al corso on-line: “Costruiamo una fiaba”. Il gruppo eterogeneo si rivelò ben assortito e quella naturale sintonia fece dell’appuntamento del mercoledì un momento di gioia e fantasia oltre che di lavoro intenso di scrittura.

Gaia le era piaciuta subito. I suoi racconti parlavano sempre di viaggi e culture diverse, frutto delle sue esperienze di vita. Il viso aperto e sempre sorridente emanava calma e tranquillità – forse aiutata dalla sua inseparabile tazza fumante e dal catino di acqua calda ai piedi!

Sorrise ripensando a quei momenti e fu proprio durante una di quelle lezioni che uscì allo scoperto il problema di Enny. Tra risolini e commenti vari, succede sempre così, solo Gaia sembrò capire veramente.

“Quando sarà finito tutto, e ci si potrà muovere e vedere anche se a debita distanza, vieni a trovarmi”, le aveva detto.

Visto che il 2020 aveva stravolto il mondo e il modo di vivere di ognuno, segnando una linea netta tra il prima e il dopo, Enny decise che era arrivato il momento di affrontare una volta per tutte le sue paure o almeno di provarci.

“La destinazione si trova alla tua sinistra”, annunciò la voce impersonale del navigatore.

Parcheggiò dove le aveva indicato Gaia e scese mentre il suo sguardo scivolava qua e là in perlustrazione:

“Ciao, che bello vederti!”, l’accolse il sorriso che ben conosceva.

“Ciao! Peccato non potersi abbracciare!”

Chiacchierando entrarono in casa. Rispecchiava appieno la personalità di Gaia: pennellate di altri mondi, ricordi di un tempo che fu, una parete di libri. Una scultura in legno appena abbozzata colpì l’immaginazione di Enny, le ricordava tanto un bimbo che poggiato su un tavolino la osservava.

“Accomodati”, le disse Gaia indicando una poltrona stile bergère rivestita con un tessuto a fiori di mille colori.

Enny sprofondò in quel campo fiorito mentre Gaia si accomodò sul divano di fronte. Per un attimo furono ricordi e risate, poi spiegò che era un avvocato per i diritti dei rifugiati e che presto a Brescia avrebbe aperto insieme a dei colleghi un servizio, il primo in Italia, per aiutare chi ha subito traumi utilizzando il metodo t.i.r. (riduzione dell’incidente traumatico), poi la guardò dritto negli occhi e disse:

“Te la senti di raccontarmi gli episodi che ti sono capitati, partendo dal più recente a quello più lontano che riesci a ricordare?”

Enny annuì e cominciò a raccontare in tono scherzoso, ridendoci su per sdrammatizzare, alcuni degli episodi che l’avevano emotivamente parlando più scossa, lasciando un segno indelebile. Gaia l’ascoltava in silenzio:

“OK, ora chiudi gli occhi e riprendiamoli insieme uno a uno, raccontami ogni particolare che ti sembra importante, non soffermarti in superficie cerca di capire cosa c’è sotto, vai in profondità, ascoltati.”

Enny chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e ricominciò d’accapo:

“Eravamo in gruppo, tutti amanti delle auto d’epoca, ci trovavamo nei pressi di Saturnia. Nel grande prato che adornava il residence, ci eravamo suddivisi spontaneamente in piccoli gruppi in attesa della cena mentre il sole scendeva dietro le splendide colline della Maremma. Sebbene il tramonto attirasse la mia attenzione, istintivamente percepivo una presenza. Dopo anni di pratica si può dire che io abbia sviluppato un sesto senso al riguardo. La mia amica se ne accorse e mi disse di non preoccuparmi. Nel frattempo, la cena fu annunciata, entrammo tutti in una grande sala che ospitava tutto il nostro gruppo, una cinquantina di persone. Mi trovai, mio malgrado, seduta a capotavola, in un angolo tra due splendidi finestroni che mi rimandavano, come un quadro dipinto, il paesaggio. Chissà perché quella volta non misi in pratica i miei meccanismi di difesa, forse per la bella serata o forse per le rassicurazioni della mia amica… non so…”

Enny fece una pausa, il fiato leggermente corto, bevve un goccio d’acqua e continuò:

“Portarono il secondo, mi agitai sulla sedia perché di nuovo fui assalita da quella sensazione… presi il calice di vino e ne bevvi un bel sorso – sperando di calmarmi – ma un attimo dopo lo sguardo colse un movimento! Fu questione di un secondo e senza rendermi conto un urlo mi esplose dalla bocca, mi alzai rovesciando la sedia in preda al panico, non potevo fuggire ero bloccata lì nell’angolo… il cuore mi pulsava nelle orecchie ma non mi impediva di sentire il brusio della sala… chi non capiva e chi capiva commentando con un certo fastidio: “Ma si può fare queste scene!”. Mio marito mi accompagnò in camera dove ci misi parecchio per calmarmi e piansi a dirotto.”

Alcuni attimi di silenzio, poi Gaia chiese:

“Cosa provi?”

“Dolore”, rispose senza pensarci troppo.

“Dove lo senti?”

La mano aperta si posò sul petto.

“Vai più in profondità, cosa provi?”

“Vergogna, tradimento…”, disse Enny a mezza voce, più a sé stessa che a Gaia.

“Puoi spiegarmi questi sentimenti? Perché vergogna?

“Per la figuraccia fatta davanti a tutte quelle persone, non mi conoscevano e non potevano sapere, ma mi hanno comunque giudicata. Tradimento… la mia amica mi aveva detto che potevo fidarmi e io ci avevo creduto… ho abbassato la guardia ed è successo. Poi mi ha rincarato la dose dicendomi: CURATI CHE È MEGLIO! Evidentemente nemmeno lei aveva capito fino a che punto fosse un problema per me.”

La poltrona a fiori sembrava essersi trasformata in qualcosa di vivo, Enny si sentiva sprofondare sempre più. Sconcertata da ciò che aveva appena realizzato con le guance in fiamma guardò Gaia.

“Te la senti di continuare? Racconta il primo episodio, la prima volta che ricordi.”

Enny bevve ancora un sorso d’acqua dal bicchiere posato lì accanto, chiuse nuovamente gli occhi e ricominciò con i ricordi:

“Avrò avuto forse sei anni, mia madre mi faceva fare i lavori di casa, ognuno deve fare la sua parte diceva. Quindi andare in cantina a prendere il vino era compito mio, come andare a buttare lo sporco o lavare i piatti. Ricordo che quella notte mi ero svegliata sentendo strani versi – dei sibili simili a gridi di guerra – che non riuscivo a identificare, sapevo solo che mi facevano venire la pelle d’oca. Mi tappai le orecchie cacciandomi sotto le coperte. Il giorno seguente, dopo cena, mia madre mi mandò a buttare la spazzatura. Non dissi di no, tanto sarebbe stato inutile. Presi il sacchetto dello sporco, sembrava pesare una tonnellata, con le spalle curve scesi, percorsi il portico guardandomi in giro, magari sperando di trovare qualcun altro che doveva gettare la spazzatura, ma non c’era nessuno. A quei tempi c’era un posto vicino al condominio – accanto al cortile – dove si buttavano i rifiuti. Tre muri a formare una sorta di stanza a cielo aperto e tanti bidoni in alluminio alti quasi quanto me.
Ero terrorizzata. Mi fermai davanti all’entrata, c’era spazzatura ovunque, dentro e fuori ai bidoni. Nel silenzio della sera i battiti del mio cuore sembravano dei tamburi che cadenzavano la marcia delle truppe. Potrei buttare il sacchetto e scappare, pensai. Un attimo di esitazione alzai il piede ed entrai… mi avvicinai al bidone più vicino, sembrava non essere molto pieno, alzai il coperchio e… Non feci in tempo ad alzare il sacchetto della spazzatura che un gatto balzò fuori lanciando un verso che mi fece accapponare la pelle! Il suo verso si unì al mio urlo, come due guerrieri che si preparano alla battaglia.”

Enny si fermò nuovamente con il cuore che batteva a mille. Il groppo in gola si sciolse in lacrime.

“Perché sto piangendo?”, chiese Enny, “Ho sempre citato questo evento per spiegare perché ho paura dei gatti a chi me lo chiedeva, ma non gli ho mai dato troppa importanza.”

Gaia le chiese di nuovo dove sentiva male e di nuovo la mano aperta coprì il petto.

“Cosa provi?”, le chiese.

Passò qualche minuto, poi Enny confessò:

“Piango per quella bambina, piango perché era sola, piango perché la mamma non l’ha ascoltata”.





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