24 Ottobre 2020, 06.19
Blog - Circolo Scrittori Instabili

Fantasmi a luci rosse - seconda parte

di Alessandro Tondini

Tutto taceva, non si udiva il minimo suono, nemmeno il lontano mormorio della strada lontana...


Qui la parte prima

2 – La ragazza ungherese

Paolo provò a uscire sul pianerottolo per intuire qualche movimento, ma niente. Le urla di qualche istante prima erano cessate, come se nulla fosse accaduto.

Possibile? Prima un gran casino e adesso niente?, non si raccapezzava e la sua inquietudine, anziché placarsi, cresceva. Si sarà fatto male qualcuno? Se sì dove? Non si sente più nulla.

Rientrò nel suo appartamento e rimase affacciato alla finestra che dava sul parcheggio per almeno un’ora. Non accadde granché: vide passeggiare un gatto e assistette all’inseguimento di due pezzi di carta sbatacchiati dal venticello notturno. Piano piano la sua agitazione si allontanò e la stanchezza ne prese il posto. Tornò a letto e cadde assopito.

I tenui vagiti dell’alba bastarono per risvegliarlo. Era intontito, ricordava di aver sognato qualcosa di strano: un rogo, invocazioni d’aiuto, figure di donne poco vestite, streghe. Si destò del tutto: Cosa sarà successo stanotte? Nessuno ha chiamato aiuto, nessuna ambulanza, nessuna auto della polizia. Se ci fosse un cadavere in uno degli appartamenti? Non resterebbe che aspettare di sentire l’odore della putrefazione. È tutto così assurdo.

La sua testa, piena di pensieri affastellati, gli doleva. Si rifugiò nella doccia. Il getto di acqua fredda gli provocò uno shock termico. Rischiò di svenire, ma si riprese in fretta, aveva bisogno di essere lucido. Doveva capire. Dopo essersi asciugato si mise addosso una tuta da jogging e uscì di casa. Erano le sette e mezza di un sabato di ottobre. Il cielo era quello splendente delle mattine frizzanti. Il sole, già sorto, indugiava seminascosto dai tetti delle case. Paolo si mise a passeggiare intorno al condominio, un normale edificio costruito negli anni novanta, non brutto, ma nemmeno troppo bello. Il piano terra non era abitato, c’erano degli spazi commerciali vuoti e un paio di attività: una parrucchiera e un negozio di telefonia.

Potrei aprire anch’io qualcosa. Magari un noleggio di e-bike, perché no?, pensò seriamente.

Lo stabile aveva due ingressi, chiusi da ampie vetrate, con le scale che portavano agli appartamenti: sei nella sua ala, sei nell’altra. Si avvicinò a osservare i campanelli della scala opposta alla sua: Gerosa e Facchetti al primo, Brighi al secondo.

Tre appartamenti senza nome, ma è mezzo vuoto ‘sto posto.

Mentre meditava sulla scarsa densità dell’immobile sentì lo scatto della grande porta a vetri. Dopo qualche istante uscì una ragazza snella, piuttosto alta, con capelli biondo rossi e, soprattutto, un sorriso ammaliante.

«Buongiorno, cerca qualcuno?», gli chiese con voce allegra.

La domanda e l’aspetto della fanciulla lo avevano messo in crisi. Si sentiva imbarazzato come un bambino colto con le mani nella marmellata.

«No… veramente… io… abito qui, proprio da oggi», rispose quasi balbettando.

«Ah che bello! Anch’io mi sono appena trasferita. Piacere io sono Brigitta Szabo, è un nome ungherese, chiamami Gitta», la ragazza gli porse la mano destra.

Paolo, rigido come uno stoccafisso e incantato dagli occhi verdi di Gitta, solo dopo qualche istante riusci a stringerle la mano: «Piacere Paolo, Paolo Berto».

«Io faccio colazione con queste, ne vuoi una?», Gitta aveva nella mano sinistra un sacchetto ricolmo di fragole.

«Sì grazie, ma… poi non potrai rifiutare che ti offra un caffè», Paolo riuscì a risponderle con un discreto smalto, scrollandosi di dosso l’impaccio di qualche secondo prima.

Gitta rise e annuì. I propositi d’indagine di Paolo si erano dissolti nel volto radioso della ragazza e la sua notte tormentata era ormai solo un vago ricordo. Passarono mezza mattinata a chiacchierare senza sosta finché il loro idillio venne interrotto dalla suoneria del cellulare di Paolo.

Rispose di malavoglia: «Pronto?»

«Pronto, Berto? Sono Savoldi, quello del negozio di elettrodomestici, il mio collega mi ha lasciato un appunto che non si capisce niente, mi puoi dare l’indirizzo?»

Paolo mise una mano sul microfono e sussurrò a Gitta: «Oddio mi son scordato che devono venire a portarmi la lavatrice».

Tolse la mano e rispose: «Sì certo, abito in via Mazzini 66, sa dov’è? Sotto di me c’è un negozio di parrucchiere e uno di telefoni».

«Eeeh certo che lo so dov’è. È un posto famoso, ahahah»

Ma mi prende per il culo?, non poté non pensare Paolo: «Allora l’aspetto. Guardi che l’ascensore è guasto e io sto al secondo piano, ce la fa lo stesso a portarmela?»

«E bravo che me lo hai detto. Carico il mulettino e parto. Son lì in venti minuti.»

Il mulettino?, si chiese Paolo. Finita la telefonata Paolo dovette per forza abbandonare Gitta, ma non era una tragedia poiché era riuscito a strapparle un invito a cena per la sera stessa.

Un quarto d’ora dopo il Savoldi era già arrivato, col mulettino: un mini cingolato che permetteva di trasportare senza fatica la lavatrice lungo i due piani di scale. Il Savoldi era un tipo allegro, sudava come se stesse trasportando lui la lavatrice e ciarlava in continuazione. Imprecava contro il traffico, i vigili e i lavori in corso, ma sempre col sorriso sulle labbra.

Paolo gli chiese: «Perché via Mazzini è tanto famosa?»

«Ahahah», il Savoldi scoppiò in una risata che sembrava un boato da stadio, «non sei di qui vero?».

Il fatto che gli stesse dando del tu, già dalla telefonata, lo infastidiva: È un cafone, però sembra un brav’uomo.

«I miei sono di qui, ma io son sempre vissuto a Brescia», disse Paolo.

«Aaaaah allora capisco. Non sai niente di ‘sto posto, ahahah»

Ma che ci avrà da ridere? Paolo era scocciato, ma incuriosito: «Cos’è che non so?».

Il Savoldi gli strizzò l’occhio: «’Sto posto prima di diventare un condominio era un cinema. Un cinema di quelli porno. Ci venivano tutti i ragazzi del paese e di quelli vicini, ahahah, era famoso. Pensa che il proprietario gli aveva dato il suo nome: Cinema Rizz, con due zeta, l’aveva chiamato. Perché lui si chiamava Rizzi, ahahah.»

«Ahah», rise per cortesia Paolo, «Peccato l’abbiano chiuso», aggiunse.

«Sì peccato davvero, ahahah. Pensa che proprio l’ultimo giorno di attività è scoppiato un incendio che lo ha quasi bruciato tutto. Era andata a fuoco proprio l’ultima pellicola.»

Paolo rimase colpito: «Si era fatto male qualcuno?»

«No, per fortuna. Solo danni al cinema, però siamo rimasti orfani, ahahah.»

L’incontro col Savoldi riportò Paolo alla notte appena trascorsa: Le grida di donne, il sogno delle streghe, il cinema bruciato. I pensieri su quello che aveva udito qualche ora prima si aggrovigliavano con l’immagine angelica di Gitta, ma la prospettiva della serata con la splendida ragazza ungherese prevaleva sopra ogni cosa.

Alle otto in punto Paolo era davanti alla porta delle scale che portavano all’appartamento di Gitta.

“Szaboâ€, ha messo il nome sul campanello, riflettè.

Non fece in tempo a suonare che, dall’altra parte del vetro, la vide apparire in tutto il suo splendore. Paolo era in estasi, non aveva mai conosciuto una donna così bella e, soprattutto, non era mai riuscito a invitare a cena una creatura del genere. Mangiarono a lume di candela su una terrazza che si affacciava sulla riva del lago. Gitta, oltre ad essere deliziosa, era brillante e arguta. Dopo il caffè e un limoncello Paolo, d’improvviso, ebbe l’impulso di chiederle se, la notte appena trascorsa, avesse sentito delle strane voci. Gli occhi di lei che, fino a qualche istante prima, erano smeraldi luminescenti, si trasformarono in fari che proiettavano una luce penetrante. Il suo volto si fece serio e, dopo una breve pausa silenziosa, disse:

«Tu hai un dono. Non te ne sei mai accorto, ma hai la capacità di sentire cose che non si percepiscono con l’udito. I tuoi sensi sono molti più di cinque…»

Paolo, incredulo, le raccontò con ogni dettaglio tutto quello che aveva sentito. Gitta non ne fu affatto impressionata, anche lei aveva sentito le stesse cose e, in breve, gli rivelò che era una sensitiva, figlia di sensitivi e, soprattutto, bisnipote di una medium potentissima, un tempo famosa in tutta l’Ungheria.

Dopo il ristorante la serata proseguì nell’appartamento di Paolo, sebbene non proprio nel modo in cui lui avrebbe sognato: si sedettero sul divano e rimasero in attesa.

(to be continued)
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Per gentile concessione del Circolo Scrittori Instabili, blog sul quale si sperimentano gli appassionati che hanno frequentato i corsi di scrittura creativa tenuti da Barbara Favaro.






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