20 Ottobre 2020, 06.14
Blog - Circolo Scrittori Instabili

Una vita piena di messaggi (parte seconda)

di Sabrina Angiolilli

Alice mi venne a prendere, puntuale come sempre, e finalmente venni a conoscenza della nostra destinazione: Montenegro, o meglio la Baia di Kotor riconosciuta come l’unico fiordo del Mediterraneo...


Qui la parte prima


  Strana coincidenza con la Norvegia e il nostro recente viaggio. Quando poi mi resi conto della distanza, pensai di impazzire: dieci ore di auto!

“Scusa Alice, quando parlavi di abbigliamento comodo era per dire che avremmo passato una vita intera in auto? Sai che hanno inventato gli aerei per le lunghe distanze?”

“Non preoccuparti Claudia, queste ore saranno preziose per ricevere tutte le informazioni che ti serviranno quando arriverai a destinazione e ti troverai di fronte a Danka”

“Danka? E chi è? Avevo capito che eravamo solo noi due, non so se sono pronta per una vacanza a tre.”

“Sì che lo sei. Non eri tu quella del flusso, delle coincidenze, della sincronicità?”

“Hai ragione. Quindi di cosa parliamo in queste dieci ore?”

“Della mia vita… prima di Claudia. Una vita completamente diversa dal noioso e rigido avvocato penalista di oggi.”

“Sono contenta. Ho sempre sperato che la tua vita non fosse tutta qui… sarebbe stata sprecata.”

“Grazie per la sincerità. Spesso, noi umani, non riusciamo a vivere pienamente le cose che ci accadono e, in preda alla paura, modifichiamo completamente il corso della nostra vita. È più semplice e poi, nel mio caso, c’è Danka.“

“Allora, va bene che abbiamo tanto tempo da trascorrere insieme, ma vuoi essere così gentile da iniziare a spiegarmi qualcosa?”

“Hai ragione. Fin da quando ero molto piccola mi succedevano strane cose, delle volte incontrando certe persone vedevo come in un trailer tutta la loro vita, sopratutto gli eventi negativi, era davvero un incubo. Per preservare la mia salute mentale, passavo dei lunghi periodi chiusa in casa per non incontrare nessuno. Non succedeva sempre e con tutti e, sopratutto, non incontrando più quelle persone non potevo avere nessuna sicurezza sulla veridicità delle mie visioni, fino a… Danka. Posso, però, farti prima una domanda? Perché hai scelto proprio la Norvegia e quel posto in particolare per il nostro viaggio?”

“Ti ricordi cosa ti ripetevo ultimamente? Tutti quei segnali che mi arrivavano erano informazioni che ti riguardavano ed era importante io continuassi a riceverli per chiudere il cerchio. Quella mattina, prima della nostra cena, uscendo da casa mi sono trovata un nido di uccello sulla soglia, proprio quella mattina che ti avevo sognata arrampicata e impaurita su un albero. E proprio quella stessa mattina, aprendo la mia mail, vedo il Juvet che mi comunica che c’è una promozione sulla Bird House, quella che cercavo di prenotare da tempo… e – infine – quell’articolo che parlava di una violenza che si era consumata proprio in Norvegia… mi era rimasta in mente la frase della giornalista che aveva chiuso l’articolo dicendo: ”Il destino non si può cambiare.”

“Claudia, nella mia borsa c’è una cartella con dentro un ritaglio di giornale, puoi dargli un‘occhiata?”

“Certo“

Presi la cartella, tirai fuori il foglio del giornale e lessi l’articolo risalente al 2010, dove si parlava di una donna ridotta in fin di vita nella Baia di Kotor che era riuscita a evitare la morte grazie al suo rifugiarsi per quattro giorni su un albero e grazie a una farfalla.

“Che strana coincidenza… gli alberi, i fiordi, Danka, cosa significa tutto questo? Ancora non riesco a capire?”

“Non preoccuparti lo scoprirai molto presto.“

Quando arrivammo, in tarda serata, eravamo distrutte. Andammo subito a dormire, consapevoli che quello che ci attendeva il giorno dopo sarebbe stato molto impegnativo. Appena sveglie, Alice mi disse di prepararmi perché avremmo fatto colazione a casa di Danka, che viveva a pochi passi da lì. Bussammo alla porta di una modesta casa, con un piccolo giardino adiacente, ben curato e pieno di fiori, ci venne ad aprire una donna sulla quarantina su una sedia a rotelle che, in un perfetto italiano, ci disse di accomodarci per la colazione e poi aggiunse:

“Grazie Claudia, hai fatto un ottimo lavoro, hai ridato una seconda possibilità ad Alice e a me.”

“Di nulla, ma non capisco… una seconda possibilità? In che senso?”

“Mi sembra che Alice ti abbia fatto vedere l’articolo vero?”

“Sì”

“Bene, mi presento: sono la donna di quell’articolo, sopravvissuta grazie all’albero e alla farfalla. Sono io Danka. È una lunga storia, ma mi sembra di aver capito che tu sia interessata ad ascoltarla…”

“Beh, non ho fatto dieci ore di auto solo per una colazione… nonostante sia deliziosa.”

“Allora inizio il racconto. Dieci anni fa Alice viveva qui ed era la mia migliore amica. Si era appena laureata in giurisprudenza e continuava ad avere quelle visioni che la condizionavano profondamente, tanto che a un certo punto cominciai a pensare che avesse bisogno di aiuto per non diventare matta.
Nello stesso periodo stavo frequentando un uomo, gentile, affidabile e molto sexy, sentivo che piano piano la cosa si stava trasformando in una relazione, ma le visioni di Alice continuavano a essere foriere di brutti auspici. Mi ripeteva in modo quasi ossessivo di allontanarlo affermando, come faceva sempre lei, che non gli piaceva la sua energia, e io quasi sempre per farla infuriare rispondevo:

“Quando l’energia diventerà un parametro ufficialmente quantificabile e visibile ne riparleremo”.

In realtà, da troppo tempo Alice condizionava la mia vita, queste sue intuizioni non mi permettevano di fare esperienze e per me stava davvero diventando un problema, ero come una bambina continuamente tenuta sotto l’ala protettiva della mamma e io volevo crescere… fino a quando arrivò quel weekend.
Ricordo bene come ero felice, un weekend in mezzo al nulla insieme a Goran, alla natura e al nostro amore. Mi guardai bene dal dire qualsiasi cosa ad Alice, non avrebbe approvato ed io non avevo voglia di darle alcuna spiegazione.
Quando arrivammo in quella splendida casa tutta in legno dall’aspetto spartano in mezzo a un bosco di abeti bianchi, vicino a un fiume, mi sentii immensamente felice. Volevo vivere e respirare ogni attimo di quel luogo e delle emozioni che avrei provato, anche perché nessuno sapeva della mia fuga romantica e questo, in un certo senso, avrebbe reso quei giorni unici, solo nostri, un’assenza spazio-tempo senza nessuna possibilità di condivisione.

Goran recuperò la legna per accendere il camino mentre io esploravo i dintorni. Il rumore dell’acqua, il sole e i suoi giochi di luce tra gli alberi, il profumo dell’erba, tutto mi provocava un incredibile stato di quiete.
La serata fu magica, cena all’aperto sotto un cielo stellato con la luna piena, un leggero vento che ci rinfrescava, il rumore dell’acqua che faceva da sottofondo alla sua voce calda e sensuale… a un certo punto mi alzo per raggiungere il fiume, mi stendo su un sasso ad ammirare le stelle e poi… quella mano che con enorme violenza mi spinge in acqua e quel pezzo di legno, serrato nell’altra mano e usato come un bastone, che si abbatte sul mio corpo fino a farmi perdere conoscenza.

Non so precisamente quanto tempo io sia rimasta in quello stato, so solo che nel momento in cui ho riaperto gli occhi ero sdraiata vicino al camino e Goran mi era accanto. Dormiva, sembrava stremato. Completamente dolorante, e con una profonda ferita in testa, cercai di mettermi in piedi per allontanarmi da lui subito. Senza far rumore, aprii la porta, era molto buio ed era difficile orientarsi, i sentieri sembravano tutti uguali, non riuscivo a ricordare da dove fossimo arrivati, ma sopratutto ero molto debole ed ero terrorizzata, non comprendevo cosa stesse succedendo, ma ero sicura che dovevo fuggire il più lontano possibile. Presi il primo sentiero davanti a me e cominciai a correre addentrandomi nel bosco di abeti. Mi ero allontanata da soli cinque minuti, quando mi raggiunse la voce di Goran che sadicamente ripeteva:

“Ci sono, amore mio, mi senti? Avevi voglia di guardare le stelle, dai che ti porto al fiume, vieni con me, non avere paura”.

Ormai ero in gabbia non potevo tornare indietro, avrei potuto continuare a correre, ma ero stanca e priva di forze, Goran mi avrebbe raggiunto in un attimo.
Non vidi altra soluzione che nascondermi dentro la chioma di un albero. In preda a non so quale strano demone, ho cominciato a salire sull’abete, trasformandomi in una sorta di scimmia, fino ad arrivare sulla cima. Io che non riuscivo neanche a scavalcare un semplice muretto, stavo trovando rifugio tra la chioma di un albero. Il tempo passato sull’abete mi sembrò infinito, solo più tardi seppi che furono quattro interminabili giorni, giorni in cui non muovevo neanche il più piccolo muscolo del piede, giorni in cui il mio cuore aveva abbassato la frequenza cardiaca e il mio respiro era diventato un soffio lieve, giorni in cui Goran continuava a presiedere l’area, come un carceriere in perlustrazione in attesa di ritrovare il detenuto fuggito.
Lo guardavo dall’alto e non potevo fare a meno di pensare alle parole di Alice: ”Stai attenta, non è un uomo stabile, nasconde molta rabbia e un giorno potrebbe usarla contro di te”.

E purtroppo, io ero su un albero e nessuno sapeva dove fossi e Goran era lì pronto, aspettando solo un mio passo falso per potere terminare la sua opera. Purtroppo quel momento arrivò, ricordo perfettamente quando la forza cominciò piano piano ad abbandonarmi, una sensazione dal basso, che dalle gambe raggiunse tutto il mio corpo, fino ad arrivare a ogni singolo dito della mano, la presa che si affievolisce progressivamente, la mano che piano piano si apre, io che perdo l’equilibrio e cado a terra e subito quella sensazione strana di non riuscire a muovere le gambe, mentre la mia testa continuava a spronarmi e a dirmi di fuggire il corpo continuava a non ascoltare. Intanto Goran dopo aver sentito tutto, mi stava raggiungendo, ma le mie gambe non reagivano e quei passi si avvicinavano accompagnati da quell’odore di animale in cerca della preda.
Quando fu di fronte a me, Goran capì subito la gravità della cosa, capì che non mi potevo muovere, e con uno sguardo fisso perso nel vuoto si sedette di fronte a me in silenzio. Passammo cosi diverse ore, Goran non alzò mai lo sguardo, io cercavo con i miei occhi di creare un dialogo amorevole, ma in realtà l’unica cosa che riuscii a produrre fu un leggero ghigno di sfida, era come se volesse essere certo che io vivessi le ultime ore della mia vita lentamente, con consapevolezza, amplificandone il dolore.
A un certo punto si alzo come un felino, mi prese per un braccio e mi trascinò di nuovo fino al fiume, io ormai sentivo tutto il corpo paralizzato dalla paura e la fine della mia vita molto vicina. Mentre mi trascinava, accompagnata dal rumore del tappeto di foglie secche che il mio corpo al suo passaggio spostava, vidi una bellissima farfalla bianca che continuava a volteggiare dietro di lui e fu proprio in quel momento che ricordai quella furibonda lite. L’unica lite avvenuta tra noi due mesi prima, dove fui inondata dalla sua rabbia che esplose all’improvviso senza un reale motivo e poi con la stessa rapidità scemò, facendolo ritornare a uno stato di quiete solo perché aveva visto una farfalla bianca entrare nella stanza. E in quel momento una farfalla si trovava proprio dietro di lui, quindi valeva la pena provare. Con le ultime forze rimastemi urlai:

“Goran! Guarda che magnifica farfalla!”

Come quella volta, Goran girò lo sguardo, vide la farfalla e cambiò subito espressione del viso, ogni tensione sparì, la sua voce tornò calda e accogliente e soprattutto, come se fosse uscito da uno stato di trance, si girò verso di me, mi accolse tra le sue braccia e, sollevandomi, si diresse verso la casa in legno. Mentre mi teneva stretta con cura, come si fa con le cose preziose, iniziò a farmi un sacco di domande:

“Amore mio, ma mi sono allontanato solo pochi minuti, chi ti ha ridotto così? Chiamo subito l’autoambulanza, corro a vedere se quel bastardo è ancora nei dintorni e lo riduco in fin di vita”.

Io seppi solo dire, con un filo di voce: “Non preoccuparti, portami in ospedale”.

La diagnosi fu: rottura del midollo spinale. Sarei rimasta a vita su una sedia a rotelle.

Alice non mi venne mai a trovare in ospedale, molte settimane dopo rientrando a casa la vidi sull’uscio, dimagrita e pallida, non riuscii a sostenere il suo sguardo, c’era nei suoi occhi molta rabbia mista a tristezza e percepii come se qualcosa dentro di lei fosse morta in quel weekend per sempre insieme a me. Entrammo in casa, non volle sapere nulla di quello che era successo in quei quattro giorni, cercai di rassicurarla, alla fine ero ancora viva e questo era importante, ma lei cominciò a singhiozzare e a vomitarmi addosso tutta la sua verità.”

“Quel venerdì in cui sei partita avevo una strana agitazione, ho provato a chiamarti diverse volte, ma senza risposta. Volevo avvisarti di una cosa che mi era accaduta nel pomeriggio che non mi faceva stare tranquilla. Ero al supermercato in cassa, avevo incontrato Goran e all’improvviso quelle visioni: un fiume, un bambino violentato, una donna massacrata di botte, ridotta in fin di vita, e a pelo d’acqua una farfalla, una meravigliosa farfalla bianca. Non riuscivo a capire la connessione di tutti quegli eventi, non capivo se fossero avvenimenti già accaduti, se riguardassero lui o qualcun altro, sapevo solo che quello che avevo visto mi aveva lasciato una profonda angoscia, ero consapevole che non volevi più essere condizionata dalle mie visioni, però avevo bisogno di sentirti, di essere rassicurata, ti ho chiamato ripetutamente, senza mai riuscire a comunicare con te”

“Ti devo chiedere scusa…”

“No, sono io che non ho capito la gravità della cosa, dovevo insistere e dare credito alle mie visioni, sono stata io a ridurti in questo stato.”

“No, mia cara amica, ognuno ha il suo destino e questo purtroppo non si può cambiare.”

“Dov’è finito Goran?”

“È stato portato in un luogo dove possono aiutarlo per curare i suoi disturbi mentali. Aveva tanta rabbia e dolore dentro”

“Nei mesi a seguire la vita riprese il suo corso, ma io e Alice da quel giorno non riuscimmo mai più ad essere amiche, qualcosa si era rotto definitivamente, un muro era stato alzato tra di noi fino al giorno in cui mi comunicò che si trasferiva in Italia perché voleva lasciarsi tutto alle spalle, ricominciare una nuova vita, avere una nuova identità. Cosi fu per dieci anni, dieci lunghissimi anni dove tra di noi non ci fu nessun contatto, fino a quella sera di un mese fa, quando mi arrivò una telefonata, ricordo molto bene le sue parole:

“Ciao Danka come stai? Sono in Norvegia con un’amica, ti ricordi delle mie visioni? Erano sparite da quel giorno al supermercato, anzi ho cercato fermamente di recidere qualsiasi collegamento con la mia vita passata e con tutte le sofferenze che mi aveva creato fino a stasera, dove è successo di nuovo e io sento di aver bisogno della tua presenza qui, mi potresti raggiungere? È molto importante.”

Senza pensarci un attimo, ho preso il primo volo e sono partita. Quando sono arrivata, Alice mi ha detto che una mattina, in quel luogo, vicina al fiume aveva avuto delle visioni e aveva visto in maniera chiara ogni momento di quel mio terribile weekend, ma non come spettatrice, era come se facessimo parte dello stesso corpo, distinte ma unite, e aveva pensato di ripetere ogni singolo passaggio di quella esperienza lì in quel preciso momento. Io che non gli avevo mai raccontato nulla, la lasciai fare, sentivo che il ripetere ciò che era accaduto, seppure nella sua straziante sofferenza, sarebbe stato liberatorio per entrambe e così fu.

Alice mi prese, mi adagiò sull’acqua, sostenendomi dolcemente per tenermi a galla e cullandomi, chiedendomi di lasciare andare tutte quelle memorie di dolore ancora profondamente radicate, poi con molta cura mi adagiò su un albero e li siamo rimaste insieme per diverse ore, in silenzio, in protezione come dentro un ventre materno per poi lasciarci andare sul terreno, coperte dalla coltre di foglie secche, abbracciate fino a sentirci parte di un unico corpo, per ricordare a noi stesse che niente di quello che era successo poteva avere un esito diverso, il destino non si può cambiare, ma noi potevamo concederci una seconda possibilità. Ecco Claudia questa è la storia.”

“Sono senza parole, ora è tutto chiaro: i miei alberi, il nido, il Juvet e il… destino, questa strana entità superiore che ci conduce inesorabilmente verso un’unica possibilità di scelta. Però mi resta un dubbio: come ha potuto una farfalla con la sua leggerezza bloccare Goran, la sua forza, la sua rabbia, la sua violenza?”

“Vero, ho dimenticato di dirti che tutta quella rabbia e quel dolore dentro Goran, provenivano dalla sua infanzia, un’infanzia molto triste che lo ha fortemente provato. Goran è un orfano, è vissuto in un orfanotrofio fino a diciotto anni, e da bambino ha subito ripetute violenze, dai ragazzi più grandi di lui veniva condotto nei campi e violentato.
Una volta mentre era dentro quel vortice di sofferenza, che continuava a condurre la morte nel suo corpo e nella sua anima, la sua attenzione fu attirata da una farfalla bianca che volteggiava in mezzo ai campi.
Fu rapito dalla sua bellezza, dalla sua leggerezza, dalla sua eterea essenza e cominciò a pensare di poter volare lontano insieme a lei, quella leggerezza entrava nella sua testa e nel suo cuore rendendo quei momenti meno densi, meno materici. Riusciva a vedere il suo corpo come un involucro, quasi una corazza vuota, mentre il suo cuore aleggiava tra prati fioriti e cieli tersi.
Era l’unico modo per sopravvivere. Quindi la farfalla è stata l’unica cosa che ha dato un senso alla sua vita e che ha salvato la mia.”
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Per gentile concessione del Circolo Scrittori Instabili, blog sul quale si sperimentano gli appassionati che hanno frequentato i corsi di scrittura creativa tenuti da Barbara Favaro.




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