29 Agosto 2020, 06.30
Blog - Circolo Scrittori Instabili

Davanti a lei

di Alessandro Tondini

L’amavo alla follia, come in una canzone vecchio stile. Avrei fatto qualsiasi cosa per lei, mi sarei anche ucciso, forse. Lei mi amava, può darsi, ma non era pazza di me...


«Ti voglio bene, ma non sei un tipo dinamico come vorrei. Sei troppo immobile, sei una certezza, ma non sei quello che cerco», diceva la tr…, diceva Annalisa.

È finita dopo due mesi o poco più e io non mi sono più ripreso.

Prima il trauma, poi l’ossessione. La seguivo, la pedinavo, le telefonavo solo per sentirla rispondere, poi mettevo giù. Stavo diventando uno stalker, la mia vita non aveva più senso e tutto ruotava attorno al mio amore perduto. Forse è perché sono un uomo buono o solo pavido o, più o meno, civilizzato, ma non ho mai pensato di ucciderla e poi uccidermi come va molto di moda. Ma non ce la facevo più. Era finita, finita, finita.

Dimagrivo, piangevo, bevevo, niente droga perché non conoscevo un pusher simpatico. Ero ridotto maluccio, ma non ancora ai minimi termini e a quel punto della storia si riesce a svoltare oppure si cade nell’abisso. Io trovai una terza via.

Lei abitava in una villetta a schiera lungo un viale alberato. Davanti al cancello d’ingresso si ergeva un maestoso tiglio dal tronco rugoso e possente che con le sue fronde faceva ombra al nero asfalto e pure a un pezzo del tetto della sua casa. Era un albero gentile: la proteggeva dal feroce sole estivo e d’inverno si metteva a nudo per permetterle di osservare tutto il viale.

In una notte di luna piena mi avvicinai alla sua abitazione. Mi appoggiai con la schiena al tiglio e rimasi fermo a guardare la luce che usciva dalla finestra della sua stanza. Poco prima di mezzanotte la tapparella venne abbassata. La notte era ventosa e io rimanevo lì, appiccicato a quel tronco conficcato nella terra, inamovibile. Pensai che per sradicare una pianta simile sarebbe servito un uragano oppure un uomo dalla forza erculea, tipo Obelix. Risi.

Dato che dalle nostre parti gli uragani sono un evento alquanto improbabile e Obelix è un personaggio di fantasia, realizzai che quel tiglio sarebbe durato a lungo, molto a lungo. Ecco, l’idea che quell’albero potesse stare lì davanti ad Annalisa ogni santo giorno mi sconquassò dentro. La luna diventava sempre più grande e luminosa e il vento aumentava la sua irruenza. L’aria, violenta e fresca, mi sussurrava: «Svegliati, riprenditi, torna sui tuoi passi e ricomincia a vivere». Io non ne volevo sapere, volevo lei, solo lei, nient’altro che lei e, benché fossi consapevole del mio pietoso stato melodrammatico, presi una decisione: non mi sarei più mosso da lì!

Accadde qualcosa: mi sentii sprofondare nel legno del tronco, ruvide scariche elettriche lacerarono la mia pelle, le mie ossa vennero frantumate fino a essere ridotte in polvere, una centrifuga furiosa risucchiò e triturò i miei organi interni. Rimaneva di me solo una parte della mia mente. Non sentivo dolore, solo stordimento, finché persi conoscenza. Mi risvegliai con i primi vagiti dell’alba. Nei miei capelli si era insinuato un uccelletto nero che emetteva monotoni richiami, le mie gambe non rispondevano più, erano pietrificate. Eppure, dentro di me, sentivo una forza inaudita, un’energia incredibile. Avrei voluto urlare, ma non riuscivo a emettere alcun tipo di suono. Percepivo ogni vibrazione, ogni minima variazione di temperatura e di umidità. Mi sentivo come una stazione meteorologica, ma non ero diventato un androide. Ero stato inglobato dall’albero, ero diventato io stesso l’albero. Ero attonito, frastornato, ma felice. Ero lì dove volevo essere, davanti alla sua casa, davanti a lei.

Avevo tutto il tempo del mondo per poterla aspettare, per vedere cosa faceva, quando usciva, quando rientrava, come si vestiva, come stava. Io ero lì e nulla poteva sfuggire al mio controllo. La nuova situazione comportava dei vantaggi e qualche fastidio. La possibilità di stare lì giorno e notte e aspettare il momento propizio per scorgerla era, ahimè, l’unico vantaggio. I fastidi erano di vario tipo: ero esposto al tempo atmosferico, dovevo sopportare le suppliche per il cibo dei pargoli di una merla che aveva nidificato in mezzo ai miei rami e, infine, ogni mattina e sera il mio bel tronco veniva oltraggiato dalle minzioni di Oliver, il simpaticissimo cane bastardo dei vicini di Annalisa. Purtroppo un bastardo di altra fattura divenne ben presto il mio unico problema. Una grossa Audi nera aveva iniziato a fermarsi davanti al cancello di Annalisa. Neri erano anche i vetri e così non riuscivo a vedere chi fosse alla guida. Lei usciva di casa tutta ben vestita e si precipitava all’interno della vettura emettendo graziosi versetti di contentezza. Avrei voluto estirparmi e crollare su quell’auto tamarra riducendola in miseri brandelli di lamiera, ma ero un albero e non potevo fare un bel niente.

Passai tutta l’estate, definita dai cronisti la più calda e siccitosa del secolo, a tentare di scagliare qualcosa contro quella macchina, ma a parte far svolazzare una manciata di foglie ed espellere micro-goccioline di liquido appiccicoso non riuscii a combinare un bel niente. Dopo l’estate dovetti affrontare l’autunno più piovoso degli ultimi trent’anni in cui le mie lacrime si confondevano con la pioggia battente. Il Natale mi regalò la dipartita dell’Audi nera. Annalisa, invece, non se n’era andata e quando usciva non si metteva più in ghingheri. In compenso iniziarono picchi di gelo da record che culminarono in una nevicata epocale. I primi giorni di marzo portarono un poco di tepore e una Porsche Cayenne color canna di fucile che si sistemava proprio al mio fianco. Da questa fuoriusciva un tipo alto, muscoloso, abbronzato e sempre vestito con camicia bianca attillata e jeans sdruciti ancor più aderenti.

«Ecco la mia meraviglia!», sbraitava il ganzo tutte le volte che Annalisa faceva capolino.

Mi sentivo umiliato, frustrato e letteralmente schiaffeggiato, complice la primavera più ventosa di sempre. Dopo un anno ero ancora lì, davanti a lei, ma non ce la facevo più. Era stato un anno difficile, per il morale e… per il meteo. Quando sorse la luna piena, grandiosa e splendente come quella di un anno prima, la supplicai di farmi tornare quello che ero.

Il mattino dopo mi ritrovai ai piedi del tiglio. Accovacciato in posizione fetale, con i vestiti logori, sporco, la barba lunga e i capelli tutti appiccicati. Mi sollevai a fatica e tentai qualche passo sghembo, ma perdetti l’equilibrio e dovetti appoggiarmi al cancello. Annalisa uscì proprio in quel mentre.

Con un misto di stupore, ribrezzo e paura mi guardò e, dopo alcuni istanti, disse: «Oddio, ma Gianfranco, sei tu?»

Guardandola in faccia ringhiai deciso: «No, mai più». Mi voltai e mossi i primi passi sicuri. Non ero più davanti a lei, ma avevo tutta la vita davanti.

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Per gentile concessione del Circolo Scrittori Instabili, blog sul quale si sperimentano gli appassionati che hanno frequentato i corsi di scrittura creativa tenuti da Barbara Favaro.




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