11 Agosto 2019, 09.00
Pertica Alta
Blog - Maestro John

Livemmo: tu chiamale (se vuoi) emozioni

di John Comini

I gavardesi della mia generazione sanno benissimo cosa sia stata la colonia di Livemmo. E hanno nel cuore la bellezza delle Pertiche. Non solo...


Alcuni gavardesi hanno trovato l’amore in quei meravigliosi luoghi. Oggi anche la deliziosa bottega del paese, in piazza della Fontana, è gestita da una gavardese, Daniela, che insieme a Gianni tiene vive le relazioni sociali, oltre a promuovere i gustosi prodotti a km 0 e a fornire informazioni turistiche ai villeggianti.

Bellissima e fuori dai soliti circuiti turistici super affollati, Livemmo è ancora tutta da scoprire. In questi tempi, grazie all’entusiasmo del sindaco Flocchini (anche presidente della Comunità montana) e di tante dinamiche persone, Livemmo è davvero un centro di cultura “vera”!

Un breve elenco? Il nuovo «Centro studi museali interattivo di cultura prealpina», la nuova Guida del forno fusorio, importante sito di archeologia industriale (data alle stampe dal Sistema Museale della Valle Sabbia). E poi la rassegna Famiglie al Museo, con i giochi e i giocattoli di un tempo, con il  laboratorio dedicato alla realizzazione di una bambola con fieno, stoffe e spago.

E ancora la presentazione del libro «Eh già... Sono ancora qua!» in cui Luca Flocchini di Odolo racconta l’incidente stradale capitatogli in Namibia, a causa del quale ha subito una lesione al midollo spinale che lo ha reso tetraplegico: Luca ripercorre il cammino della seconda rinascita, fino a scoprire che c’è qualcosa che è forse più importante della guarigione fisica, ed è il racconto di un cambiamento possibile per tutti. Personalmente ho visitato con la mia attuale moglie ed una bella coppia di amici «C’era una volta Pertica Alta», la mostra curata dal simpatico Matteo Bertoni. Le cartoline e le fotografie raffiguranti gli anni dal primo Dopoguerra agli anni 60 narrano il turismo a cui diede impulso la Sezione bresciana del Club Alpino Italiano e che ebbe come suo epicentro l’albergo Prealpi.

Ho visto anche le testimonianze del duro lavoro di un tempo. Gli uomini delle Pertiche dovevano confrontarsi con un territorio difficile. Davvero interessante la descrizione (fatta dalla viva voce di “nonno Angelo”) della costruzione di rastrelli, che era una tradizione di famiglia. Utilizzava il legno di noce o frassino per la testa, il legno di corniolo stagionato per i denti o spine, il legno di nocciolo per il manico. Davvero una storia commovente di saggezza, di creatività e di passione…

Livemmo, Belprato, Odeno, Lavino, Navono e Noffo: quante bellezze da vedere, quante tradizioni che rimangono vive! Proviamo a volare con la fantasia ed ammiriamole…

C’è il Santuario di Sant’Andrea o dei Morti di Barbaine, restaurato con maestrìa grazie al signor Angelo Turrini, la cui famiglia emigrò verso gli Stati Uniti d’America alla fine dell’Ottocento. Vi sono affreschi pregiati, ex-voto, una commovente Crocifissione e si respira un’aria di intensa spiritualità, Pare che un tempo si dicesse ai bambini capricciosi: "Ti verranno a tirar le gambe i Morti di Barbaine!" A ridosso della chiesa c’è l’abitazione di un sacerdote che vive da “eremita”, ma che è a disposizione di chi vuol riflettere sulla propria vita e sulla propria anima. Il don accoglie tutti con i suoi occhi profondi ed i suoi modi gentili, anche se fuori c’è un grosso cane alla catena (sarà parente del Lupo di Gubbio?).

Accanto alla chiesa è stato eretto nel 1965 il sacrario ai Caduti della Resistenza: nella semplice coreografia di marmoree steli spezzate, il monumento ai caduti partigiani della brigata " Perlasca" è un civile monito contro ogni violenza e ogni guerra civile. Per non dimenticare. Mai.
Mi piace molto pregare davanti alla vicina settecentesca cappella.

E poi c’è il meraviglioso gioiello della Chiesetta di San Rocco, che custodisce stupendi affreschi che sono stati restaurati su iniziativa dell’Associazione Culturale Riflessi di Luce del grande Daniele Meschini, in sinergia con altre associazioni locali e l’encomiabile supporto della Fondazione Cariplo. All’inaugurazione degli affreschi noi del Teatro Gavardo avevamo rappresentato “Lettera a Don Milani”. Ho apprezzato anche la magnifica veduta aerea del paese, il video è caricato sul “canale YouTube” dell’Associazione.

E come posso dimenticare il Carnevale, che presenta maschere originalissime quali "La vècia del val" e l'"omasì del zerlo" e l’"uomo bifronte"? Che meraviglia! 

I pittori Edoardo Togni e di Ottorino Garosio hanno trasfigurato l’incanto delle Pertiche sulle loro tele. Che paesaggio incomparabile: gli ombrosi boschi, i roccoli, il laghetto di Bongi, i verdissimi prati (ma ricordo ancora il duro lavoro delle donne).
Cosa volete farci, io sono innamorato di Livemmo! Penso sia un peccato vedere Livemmo piuttosto "abbandonata" dai turisti, perché è davvero stupenda, e non penso sia solo una questione di nostalgia...

La colonia da bambino mi sembrava grandissima: quelle camerate, quei catini appoggiati sulla panca per lavarci al mattino, quei ciclamini che portavamo a casa a mazzi. Ci venivano anche le mie cugine Annalisa e Rosaria di Salò, oltre a Daniela, Mariagrazia e il mio cugino Bernardo di Desenzano.

In colonia ho conosciuto l’affetto della “zia” Orsolina Avanzi e della Gina Tortelli, oltre alla bravura della cuoca, la brava “Ghita”, nonna della mia attuale moglie (ah che voglia di riassaggiare quelle stupende polpette, altro che MasterChef!). Regista di tutto era il grande don Angelo Calegari…chissà se ci sono ancora quelle immagini che scattava con quella macchina fotografica, che poi inseriva in una custodia marrone…

Tutte le estati si partiva col pullman del Nicolini, con la nostra valigia piena di indumenti con ricamato nome e cognome. Durante il viaggio cantavamo “La Laura l’è troppo giovane, ulta el fé pirla el fé lasel lé a secà fin dumà”…quando l’avevamo cantata tutta eravamo arrivati. Io non sono mai stato male sul pullman, ma avevo sempre il mio sacchetto pronto per ogni evenienza. In compenso erano gli altri che vomitavano addosso a me.

Le mattine ci si lavava con l’acqua gelida, raccolta dentro catini appoggiati su una panca. Dopo la colazione c’era sempre la messa nella bella chiesa parrocchiale dedicata a San Marco Evangelista, unica parrocchiale intitolata a questo santo in Valle Sabbia.
Qualcuno dei miei lettori si stupirà: ma come, la Messa tutti i giorni? Ma non vi stufavate? Macché! A parte che anche a casa, prima di andare a scuola, c’era sempre la Messa, e poi la si viveva come un rito semplice, come una cosa buona, come mangiare burro e marmellata (mi si passi il parallelismo poco teologico). A noi bambini il mondo pareva buono, illuminato dalla Grazia.

E poi via verso la pineta, dopo aver bevuto grandi sorsate di acqua purissima e freschissima. Poi via in pineta, a giocare, nella massima libertà (senza tante “animazioni”…ci pensavamo noi bambini ad animarci da soli). Quanti fortini costruiti con le liane e le frasche, quante battaglie tra indiani e cow boy.

La discussione più grande era chi doveva fare l’indiano, rassegnato alla sconfitta. Le bambine costruivano collane con le foglie e ci osservavano (chissà che pensieri avranno fatto? Ci stavano forse già selezionando?)

E che belle camminate verso mete magiche: Belprato, Pian di Vaghezza, Odeno, Ono Degno, Forno d’Ono, Corna Blacca: altro che Maldive!
La sera l’Orsolina ci mostrava le filmine, attraverso un proiettore a immagini fisse (stipo diapositive, ma su pellicola lunga). Noi, quasi tutti senza televisione, le guardavamo incantati, mentre la zia Orsolina ci raccontava storie edificanti. Ma una sera ricordo una storia sulla massoneria, sui bambini rapiti e noi andavamo a dormire con la testa piena di cose strane, mentre fuori si sentivano quelli dell’osteria che giocavano a morra: “Ses, sic, tutti!”

In refettorio si organizzavano allegre scenette, si cantava “la Santa Caterina”, una piccola farsa (la cantavano anche i famosi Gufi). Il mio amico Zanetti era bravo a cantare “La ballata di Lazy Boy”. Io poi cantavo “Profumi e balocchi”. Quando in un crescendo melodrammatico concludevo con la bambina agonizzante, con la mamma che corre a vuotar tutta la vetrina per la sua figliola malata, l’emozione della colonia era palpabile. E al finale “Piange la mamma pentita stringendola al cuor” l’Orsolina piangeva, la Gina Tortelli piangeva, don Angelo Callegari piangeva, le cuoche piangevano, le signorine piangevano, i bambini piangevano e io in camerata mi addormentavo beato del mio successo.
La domenica i familiari potevano far visita ai propri pargoli, ma guai ad entrare in colonia! I miei qualche volta salivano su per la strada a zigozago, con la Multipla, poi andavamo su un prato e mangiavamo l’anguria.

Finito il turno, si tornava a casa, e la sera prima si cantava: “Anché l’è la vigilia dumà l’è la partensa se fa la riverensa ai asegn che sta ché”. Tra gli asegn più tardi ho scoperto che c’era mia moglie, che si  faceva tre turni di fila, ma il destino ha voluto che ci incontrassimo più tardi,  per fortuna mia…e sua! Sul pullman del ritorno, già a Belprato (ora il paese delle case dipinte) cantavamo “Siamo arrivati ai nostri paesi” come se fossimo degli emigranti reduci dall’America, e a me scendeva una lacrima sul viso, come a Bobby Solo....
Livemmo…se ci penso mi prende la nostalgia canaglia e non mi lascia più. Quando morirò ho chiesto che le mie ceneri siano sparse in quella pineta, dove ho conosciuto la felicità. Ma sono troppo grasso, forse ci sarà bisogno di 3 pinete…

“C’è un’ape che si posa
su un bottone di rosa:
lo succhia e se ne va…
Tutto sommato, la felicità
è una piccola cosa.”
 (Trilussa)

Ah, dimenticavo. Sarò nella “mia” Livemmo martedì, con lo spettacolo della Signora Maria. Che bellezza!
Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo,

maestro John

Nelle foto:
1)Alla “madonnina” sulla strada per Livemmo
2) I “colonialisti”
3) La felicità
4) Presentazione degli affreschi restaurati nella Chiesetta di San Rocco



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Lasciatemi cantare Abbiamo sempre cantato. Quelli della mia generazione, intendo. In chiesa, all’oratorio, a scuola, in colonia, in campeggio, al mare o in montagna, in pullman o camminando. Sarà stato che la guerra era finita da poco, sarà stato che la gente ricominciava a credere nel futuro, che c’era in giro un’aria di speranza.




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