23 Settembre 2018, 10.30
Gavardo
Blog - Maestro John

Sembra quand'ero all'oratorio

di John Comini

C’è un posto bellissimo che si potrebbe chiamare la città dei bambini e dei ragazzi. È un posto dove fare comunità, incontrarsi, giocare, fare amicizia, costruire legami basati sulla bontà, la semplicità, la gioia, la gratuità ed il servizio agli altri.


Un posto dove si possono costruire relazioni sincere, conoscere persone buone, sacerdoti e catechisti che segnano il percorso umano e cristiano. Un posto dove si può davvero scoprire il bello del vivere, la bellezza dell’incontro tra tante diversità.
Si chiama Oratorio.

Generazioni di italiani sono stati all’oratorio. Hanno imparato a pregare e a tirare calci ad un pallone, a pensare e a ridere, a confidarsi e a cantare insieme. Hanno imparato le parabole di Gesù e a giocare a pincanello. Perché è questo l’oratorio: un luogo dove la vita, tutta la vita, la vita intera viene accolta. Un luogo di integrazione sociale, un laboratorio di armonia dove, assieme all’abc della fede, si apprende l’abc dello stare insieme.

Anche una partitella di calcio ben giocata è, a suo modo, “evangelizzazione”, se dentro il gioco si respirano quei valori preziosi umani e cristiani, oggi rarissimi, che si chiamano gratuità, lealtà, generosità, altruismo, collaborazione.

Ha scritto Giacomo Poretti, il comico del trio Aldo-Giovanni-Giacomo: “Che meraviglia l’oratorio! Il mio Oratorio si chiamava S. Giovanni Bosco e S. Chiara. Fino alla quarta elementare sono stato convinto che S. Chiara fosse la moglie del signor S. Giovanni Bosco…C’era di tutto: il calcio balilla, il ping pong, e quando ti veniva sete c’era anche un bar. Solo che l’unica bevanda disponibile era la gazzosa, c’era qualche bambino che ne beveva tre o quattro ogni pomeriggio e verso le 17 si sfidavano con una gara di rutti. La cosa straordinaria era il campo da calcio in erba da 11 giocatori! L’unico problema è che li sopra ci giocavamo in 280, ossia tutti i bambini dai 6 ai 13 anni del paese. Le porte erano fatte con i maglioni o i cappotti ammonticchiati; quando alla sera si andava a casa spesso si ritornava con gli indumenti di un altro. E l’arbitro non poteva che essere don Giancarlo, che alle ore 17 fischiava la fine delle competizioni e ci trascinava tutti e 280 nella cappella. Il don era la tata di tutti i ragazzi del paese. Non ce n’erano di juventini nel nostro oratorio, il don diceva che andavano tutti all’inferno…” Questa dovrei cancellarla…

In questi giorni
presso l’Oratorio di Gavardo si sono sfidati i borghi del "Có del Burg", del "Quadrel", del "San Peder", del "Mulì" e della "Faita" (el mé!). E poi tutti a gustare il favoloso spiedo… la sera ci sarà lo spettacolo pirotecnico (ma io guardo la Juve…)

L’Oratorio è dedicato a San Filippo Neri, per il suo carattere allegro e burlone fu chiamato il santo della gioia. Radunò attorno a sé un gruppo di ragazzi di strada, avvicinandoli alle celebrazioni liturgiche e facendoli divertire, cantando e giocando senza distinzioni tra maschi e femmine. Diceva: «Fratelli, state allegri, ridete pure, scherzate finché volete, ma non fate peccato!». In tempi nei quali la pedagogia era autoritaria e spesso manesca, Neri si rivolgeva ai suoi "ragazzi di strada" con pazienza e benevolenza: ancora oggi si ricorda la sua esortazione in romanesco: «State bboni (se potete...)!».

Tra i seminatori di speranza non si può dimenticare Don Bosco. Per avvicinare alla preghiera e all'ascolto della messa i ragazzini del paese, decise di imparare i giochi di prestigio e le acrobazie dei saltimbanchi, attirando così i coetanei e i contadini del luogo grazie a salti e trucchetti di magia, invitandoli però prima a recitare il Rosario e ad ascoltare una lettura tratta dal Vangelo. Don Bosco decise di scendere per le strade della sua città e osservare in quale stato di degrado fossero i giovani del tempo. Fondamenti della sua futura attività erano tre: l’amicizia con i giovani, l’istruzione e l’avvicinamento alla Chiesa. Aiutato da artigiani adulti, insegnò ai ragazzi senza futuro una professione, un mestiere specializzato. Queste iniziative saranno poi il fulcro della futura scuola salesiana. Alla base del suo sistema preventivo ci fu un profondo amore per i giovani, chiave di tutta la sua opera educativa.

Nell’immenso campo dell’umanità semina il tuo sorriso,
semina il desiderio di bene, semina la tua voglia di crescere,
semina la tua voglia di vivere,
semina con fantasia, semina a piene mani,
semina con cuore aperto,
semina senza paura,  semina con amore,
semina con gioia, semina e aspetta…
Crescerà l’albero della speranza,
un albero che si nutre di fiducia e respira simpatia,
sa attendere con pazienza, non cede alle tempeste,
offre accoglienza nel cuore ad ogni straniero,
conforta chi cammina nella tristezza,
fa compagnia ad ogni persona sola,
dà sollievo a chi vive nella malattia.
L’albero della speranza darà i suoi frutti…

È sempre più difficile riconoscere la voce di Dio in mezzo a tanto rumore e a tanta confusione. Ma il messaggio d’amore del Vangelo è sempre più vero, soprattutto oggi. In questo periodo di emergenza educativa, di crisi profonda dei valori cristiani dell’accoglienza, l’oratorio spalanca le braccia a tutti, per vivere giornate di gioco, di riflessione, di preghiera per chi ci sta. Quanto più l’ambiente attorno si fa complesso tanto più si esalta la fantasia, si aggiunge una maglietta e un cappellino per dire anche al più "lontano" che senza di lui non si comincia.

Ricordando che l’accoglienza non può mai comportare disimpegno o svendita dei valori educativi. L’oratorio è una sfida gioiosa, la via privilegiata per educare alla vita buona del Vangelo.

I mali del nostro mondo non devono essere scuse per ridurre l’impegno e la ricerca di un mondo migliore, sono sfide per crescere. Accogliere l’altro è accogliere Cristo, Vangelo significa anche apertura di cuore.
Lo sguardo della fede è capace di riconoscere la luce che si diffonde nell’oscurità, perché “dove abbonda il peccato sovrabbonda la grazia”

Tra pochi giorni il carissimo don Fabrizio
Gobbi partirà per Prevalle (salutami i miei ex alunni!) e anche là –potrete scommetterci- sarà bravo a coinvolgere ragazzi e famiglie, nei momenti di spiritualità e nei pellegrinaggi, nei Grest e nella preghiera.

Lo vedevo quando partivano i pullman davanti alla Chiesa di Santa Maria, lui con il suo megafono che amplificava la voce e la sua grande umanità. Non c’era festa che non terminasse con la sua mitica “pastasciuttissima”.

Ho sempre letto sul “Ponte” le sue riflessioni, bellissime quelle su don Milani. In un’intervista don Fabrizio ha detto: “Il piacere e la bellezza dello stare con i ragazzi. L’essere stato curato per tanti anni mi ha regalato tante emozioni e mi ha sicuramente formato. Essendomi occupato di oratori e di ragazzi non posso che ricordare San Giovanni Bosco e sento molto vicino anche papa Luciani, per la carità e la semplicità che ha saputo esprimere nel proprio magistero. Una persona umile, ma che nelle sue azioni sapeva esprimere fermezza e concretezza. Cammino umilmente insieme a Dio. Sarà Lui che ci condurrà nella giusta direzione, dove dobbiamo andare. Arrivo a Prevalle con gioia per vivere il mio servizio sacerdotale insieme ai parrocchiani, camminando verso e con il Signore. Provo un po’ di rammarico per le comunità che ho lasciato, perché la gente mi ha sempre accolto davvero bene. Guidare due parrocchie di circa 7 mila anime sarà un compito impegnativo. Mi ha chiamato il Vescovo e ho detto sì. Sono sereno, non l’ho deciso e voluto io. Vado dove mi mandano, confidando, come ho sempre fatto, nell’aiuto del Signore e di tutta la comunità parrocchiale.”

Grazie di tutto, don Fabrizio! Ti vogliamo tutti bene! E poi, sei nato a Fasano, vicino alla mia Salò!

Un po’ di amarcord…
Io sono stato un “gnaro del’oratorio”, appena potevo correvo là, era come la Terra Promessa. C’era il catechismo: “Chi è Dio? Dio è l’essere perfettissimo creatore e Signore del cielo e della terra.” E poi fuori a giocare, a ciche, a football, a cip, a corse, a bici. Quante scivolate, quante croste alle ginocchia, quante magliette sudate, quanta felicità! All’oratorio nel pomeriggio i giochi venivano rotti da un urlo disumano ”Gnari, Rintintin!” e un’orda di bambini in braghe corte si ammassava nel fortino del bar, davanti al Caporare Rusty.

E’ all’oratorio che ho avuto il massimo della mia celebrità, per aver inventato il gioco del “balunsì”. Si usava un palloncino e le due strutture di metallo del basket facevano da porte, e lì ho giocato ore e ore tutti i giorni, con la mia mamma che mi dava la merenda dentro un sacchetto giallo della polenta. “Pasa, tira, dai, lancia, pasa, noo, cori, ciapel, goal!” Se chiedete a qualcuno: chi era el re del balunsì? La risposta non può essere che una sola: “El John Comini, el fiöl de chel dele scarpe.”

D’estate all’oratorio c’era il mitico torneo notturno, un mix di tensione e di violenza, dove sentivi urlare dagli spogliatoi: bisogna ransai so, dai petei, oho voet ciapale, arbitro cornuto! L’altoparlante diffondeva la voce del mitico Piero Tedoldi: “Sportivi gavardesi, è scoppiata la guerra, guerra alla sete al bar dell’oratorio! Aggrappati alla grappa De Luca!” Durante le partite gli arbitri rischiavano la pelle, prendevano ombrellate persino da mamme normodotate, i giocatori se le davano di “santa” ragione mentre l’immagine di Don Bosco subiva una smorfia e la statua della Madonnina piangeva lacrime amare…

Alla Festa di San Luigi c’era la cuccagna con i salami in cima, c’era lo spaccapignatte, c’era la gara di ciclocross. Mio fratello Dino correva nelle campestri, ma arrivava quando stavano smontando il traguardo.

Quando uscivo per andare all’oratorio mia nonna Margherita si preoccupava: “Vè a casa prest, fa pulito, ardì petei che le disgrasie le fa prest a suceder... Ghet mitit le mödande nete?” Il problema più grande era di indossare sempre mutande pulite,  metti se dovevo andare all’ospedale... se no facevamo brutta figura!

Comunque l’oratorio mi ha insegnato male...mi ha insegnato che bisogna prima di tutto voler bene, che prima di se stessi ci sono gli altri, che bisogna essere sinceri, che non bisogna dire le bugie, che bisogna essere buoni… Io da bambino ho vinto anche un premio della bontà (che consisteva in una Bibbia illustrata) e sono cresciuto con queste idee, però non capisco come mai da grande tutti mi dicevano “Ve zò dal fic” e  mi guardavano come fossi un ingenuo o un deficiente. Avranno avuto ragione loro? Come diceva il mio amico: ai poster l’ardua sentenza…

Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo…

maestro John

Nelle foto dell’amico Gioan Lavo, istanti dei giochi di San Luigi degli anni 70 (c’è anche mio fratello Dino che giunge alla campestre in leggero ritardo, accompagnato dal sorriso di don Antonio Bonetta)



Commenti:
ID77546 - 23/09/2018 14:32:54 - (Iva) - Complimenti

SEMPRE BRAVO MAESTRO

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