16 Settembre 2018, 09.20
Blog - Maestro John

Libiamo ne' lieti calici

di John Comini

L’estate sta finendo, sulle dolci colline inizia il rito della vendemmia. Molti chiamano parenti e amici, tutti con forbici e stivaloni, tutti a tagliare dai tralci i grappoli maturi, con il carro pieno di secchi e cesti 


I bambini hanno un ruolo speciale, staccare i grappoli dai tralci più bassi, dove i grandi non possono arrivare senza piegare troppo la schiena. E sentono l’odore della terra cotta dal sole d’agosto, respirano l’aria della natura lontani dal traffico e dallo smog.  Finalmente, stanchi e con le mani appiccicose, si mangia seduti a lunghe tavolate piene di cibo, di allegria, di ricordi, di risate e di canti. Anche i moscerini fanno festa, e paiono ubriachi anche loro. 
 
Chi non ricorda la poesia di Carducci che s’impara a scuola: “…ma per le vie del borgo/ dal ribollir de' tini/ va l'aspro odor de i vini/ l’anime a rallegrar.” Lo stesso Carducci ha scritto: “quando morirò seppellitemi in una vigna, acciocché possa ridare alla terra tutto quello che ho bevuto nella mia vita” (ma questo non s’impara a scuola, chissà perché… ).
 
Ah, il mitico vino, cantato dai poeti fin dall’antichità! Perché il vino è poesia della terra e nettare degli dei. Come il buonissimo vino offerto da Ulisse a Polifemo per farlo ubriacare nella grotta. La Bibbia in un Salmo dice che “il vino rallegri il cuore dell’uomo”. Del resto, se il Signore non voleva che bevessimo, perché ha fatto il vino così buono?
 
Il grande Socrate dice che se beviamo con temperanza e in piccoli sorsi il vino stilla nei nostri polmoni come la più dolce rugiada del mattino (peccato che poi abbia bevuto la cicuta). E il grande Orazio declama “Nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus”: ora bisogna bere, ora bisogna far risuonare la terra con libero piede.
 
Goethe sostiene che la vita è troppo breve per bere vini mediocri. E Molière scrive che grande è la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia, un buon libro, un buon amico. Il grande Leopardi proclama che il vino è il più certo, e (senza paragone) il più efficace consolatore. Una bottiglia di vino contiene più filosofia che tutti i libri del mondo, perché il vino è segno di civiltà, è il canto della terra verso il cielo. Il vino è identità, bellezza, cultura, piacere e sogno.
 
La bella locandiera Mirandolina dice suadente al Cavaliere: “Faccio un brindisi, e me ne vado subito. Un brindisi che mi ha insegnato mia nonna.

Viva Bacco, e viva Amore:
l’uno e l’altro ci consola;
uno passa per la gola,
l'altro va dagli occhi al cuore.
Bevo il vin, cogli occhi poi...
faccio quel che fate voi.”
 
Attenzione al vino! In vino veritas. Spesso si beve per dimenticare le inquietudini e i problemi. Come ha scritto l’amico Deni Giustacchini nel bellissimo spettacolo “Buli”: “Beviamo, amici. All’amore che fa passare il tempo. Al tempo che fa passare l’amore. Al vino che li fa passare tutti e due.”
 
Mario Rigoni Stern scrive che i ricordi sono come il vino che decanta dentro la bottiglia: rimangono limpidi e il torbido resta sul fondo. Non bisogna agitarla, la bottiglia. E Oscar Wilde ci ricorda di bere responsabilmente: Per apprezzare la qualità di un vino e sapere in quale vendemmia venne fatto, non occorre berne tutto un barile.” Perché, si sa, Bacco, tabacco e Venere riducono l’uomo in cenere.
 
La mia amica Antonella Pialorsi da Vestone, grande attrice comica, racconta…
 
“Certo che preferese el vì a l’acqua! L’acqua fa male… il vino fa cantare!

La mé nona paterna quando la livava sù la matina, prima la se petenava ala finestra i cavei bianchi candidi e la se faa un bel sigolot per tignii ensema. Po’ la mitia söl föch el cafe’ de ors, che, dopo la mesiava al vino, chèl negher, con un po’ de botér e sùcher (oter fà che integratore vitaminico) per cumincià bé la giurnada… A olte el tastae anche mé.

La me zia Domenica invece quando sire pùtina de merenda la me dava pane vino e zucchero e la me mama quando stùdiae dele olte la me preparava el sabaglione col vi’ per migliorare il rendimento nello studio. Quando en autunno facevamo il vino in casa biiem el mosto. A l’era bù! e po’ l’aidava l’intestino nel suo lavoro di transito… El me fradel el disia: Proprietà terapeutiche del mosto El purifica, el molifica, el fa pisar chiaro, el fa scapà el cataro, l’è tanto emolliente che el fa andar di corpo sensa puciar niente.

Ensomag’ho ait una specie di inisiasione al vì… ma bisogna mia biin tat, apena un bicier al dè né, al mesdé. Bisogna mantegner la tradisiù che el vi’ biit puchì, puchì el ghà dele proprietà medicamentose.” Grande Anto, mitica Teresa!
 
“E un’altra volta è notte e suono,
non so nemmeno io per che motivo, forse perché son vivo
e voglio in questo modo dire “sono”
o forse perché è un modo pure questo per non andare a letto
o forse perché ancora c’è da bere
e mi riempio il bicchiere.
 
E l’eco si è smorzato appena
delle risate fatte con gli amici, dei brindisi felici
in cui ciascuno chiude la sua pena,
in cui ciascuno non è come adesso da solo con sé stesso
a dir “Dove ho mancato, dov’è stato?”,
a dir “Dove ho sbagliato?”
 
Eppure fa piacere a sera
andarsene per strade ed osterie, vino e malinconie,
e due canzoni fatte alla leggera
in cui gridando celi il desiderio che sian presi sul serio
il fatto che sei triste o che t’annoi
e tutti i dubbi tuoi…
 
O forse non è qui il problema
e ognuno vive dentro ai suoi egoismi vestiti di sofismi
e ognuno costruisce il suo sistema
di piccoli rancori irrazionali, di cosmi personali,
scordando che poi infine tutti avremo
due metri di terreno…” 
 
Così canta Guccini, frequentatore della mitica Osteria Delle Dame di Bologna. 
 
“Il bicchiere? Un compagno di ogni giorno. Si beveva vino, solo vino, nient’altro che vino. Lì, all’oratorio della sinistra, tra un bicchiere, uno slogan e un sogno sono nate L' avvelenata, La locomotiva, Dio è morto. 
 
Ai concerti portavo sempre una bottiglia. Il vino è come un compagno di vita, un amico che non tradisce. Adesso l’osteria delle Dame l’hanno chiusa, ma il cuore no. Le canzoni sono ancora quelle e così le idee e il modo di guardare il mondo. Che con un bicchiere di vino si capisce ancora meglio... 
 
Io il vino lo bevo da italiano. Basta che sia buono e che ce ne sia. Ho cominciato a frequentare la bottiglia da bambino, vengo dalla civiltà contadina e il vino era un alimento, parava dal freddo, dava forza. E lo davano anche ai bambini piccoli, poco, ma ce lo facevano bere. Siccome mi piace berlo è un piacere, ma io associo il bere vino allo stare con gli altri. Serve per cantar meglio, per discutere, mette insieme la gente. È un’occasione di socializzazione". 
 
Il poeta Canossi parla del Ràsega, il popolano che rappresenta il cosciente portavoce di una cultura subalterna e “diversa”, il filosofo-bevitore, l’oppositore non-violento del potere. Quando riferisce la conferenza del dottor Beanda sui pericoli dell’alcolismo, il ridicolo si scarica tutto sull’oratore, messo in burla già dal nome e dal naso a peperone:

“Fiöi dę cani!
- ęl predicàa - Ma voi non siete i dani
del bere? È ’n’abitudine nefanda!
e voi bevete, o porchi di Bressiani,
come i maiali i beve la lavanda…”
 
I risultati del virtuoso dissuasore saranno fallimentari: per riprendersi dallo choc provocato da quell’apocalittica conferenza, Ràsega trangugerà dieci “quintini” all’osteria del Cantinone (che anch’io frequentavo quando andavo in bici a trovare la mia morosa Emi a Brescia… e al ritorno facevo la strada a zigozago).
 
Riccardo Regosa ha scritto questa epigrafe a un amante del vino…
 
“Quànd che gh’è mórt el pòer Gioàn Caràfa
ve làsse ‘mmaginà ‘l padrù del trani
che ràssa dè passiù, che dispiasér!...
 
Èl ghia perdìt èl so client piö car.
Adès èl dorma a l’ombra dèi ciprès
e ‘nsìma a la sò lapide ghè scrìt
n’epigrafe detàda da lüstes:
 
Qui riposa per sempre
gioàn carafa
töcc i parla del vì che ‘l ghà biìt
ma nüssü de la sèt che ‘l ghà patìt”
 
Mi fa ridere il testamento dell’ubriacone: “E quand che möre me... che i ma mète ’n do nà cantina, con la boca sota la spina, una damigiana per cuscino, quattro fiaschi per candele, e i précc che canta per me, oi che i cante la ’n violèta. E chè i quater che porta vià me, oi che i siès ciòch de grègia, el Camposanto ’n do i sotrarà me oi che i siès filù de egne, e quand che möre me… Requiem aeternam dona mei Domine… ”.
 
Da chierichetto osservavo che don Erminio metteva nel calice poche gocce di acqua e molto vin santo. E certi miei amici in sacrestia lo assaggiavano di nascosto, una sorta di svezzamento benedetto dall’alto. Del resto, se il vino non fosse una cosa importante, Gesù Cristo non gli avrebbe dedicato il suo primo miracolo! Come ha scritto un tale, “Gesù trasformava l’acqua in vino, non mi stupisce che dodici discepoli lo seguissero dappertutto.”
 
Mio papà mi raccontava che quando era in guerra in Albania, se i greci bombardavano l’accampamento, mentre tutti scappavano per mettersi al riparo lui correva verso la cucina da campo e si metteva sotto la botte del vino bevendolo a garganella. Morire per morire, meglio morire allegri, non vi pare? E quando mi chiedeva di andare a prendere il vino in cantina, le gambe mi facevano “Giacomo Giacomo” (l’ex parroco di Gavardo non c’entra) e per farmi coraggio in cantina cantavo o fingevo di parlare con qualcuno, poi ansimando tornavo in casa al secondo piano, facendo gli scalini tre alla volta. “Giovanni, hai avuto paura?” “Io papà? Nooo…” “Bravo, un Alpino non ha mai paura di niente!”
Eh sì, mi so un Alpin, me piass el vin! (anche se di solito vado ad acqua e in pizzeria bevo birra). Come diceva quell’Alpino: Il vino è nemico dell'uomo: chi fugge davanti al nemico è un vigliacco. Rosso di sera.... bianco di mattina!
 
Lunedì compie 85 anni il mio caro cognato Giovanni Avanzi. In alto i calici, caro Giovanni, salute e felicità!
 
Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo, 
maestro John
 
Nelle foto:
- Dall’album dell’amico Mario Taraborelli (marito della carissima Claudia): il bambino è suo papà Sergio, in piedi il nonno Alfonso e seduto il signor Zanassi
- Il sottoscritto alla vendemmia del signor Goffi, con gli amici Deni, Gabriella, Cesare (ora fa festa in Paradiso) e con la mia attuale moglie 
- Alcuni nipoti alla vendemmia di nonno Giovanni
- Mio cognato Giovanni, nonno pimpante e sempre in gamba 
 


Commenti:
ID77485 - 16/09/2018 15:31:21 - (Iva) - Sempre bravo

Piacevole la lettura di questo brano

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