15 Luglio 2018, 09.17
Blog - Maestro John

Ave, Cesare!

di John Comini

Grande festa oggi pomeriggio (domenica) per monsignor Cesare Polvara. Sarà accolto dalla comunità di Rovato, dove celebrerà la sua prima Messa “rovatese” nella chiesa parrocchiale 


“Don Cece” (per gli amici gavardesi) è stato fino a qualche giorno fa provicario generale, e penso che sarà contento di ritornare “in trincea” in mezzo alla gente. Peccato che l’entrata del caro don Cece sarà alle ore 17, inizio della finale dei mondiali di calcio! Sì, lo so che una Messa è più importante, lo so che poi ci sarà un rinfresco all’oratorio, lo so che ci saranno autorità, banda e allegria… Ma ci pensate se fosse stata l’Italia a giocare la finale?! 

A parte che nella diocesi sta succedendo (con licenza parlando) come nel calciomercato, perché nel periodo estivo ci sono molti cambi di destinazione dei sacerdoti. Nella Diocesi ci sono oltre 400 parrocchie con 772 presbiteri, di cui 186 hanno più di 75 anni. 
 
Sì, va beh, un sacerdote lo è per sempre, e mi commuovo a partecipare alle Messe in Casa San Giuseppe, dove sacerdoti non più giovani celebrano con fede intatta e cuore sincero. Pare che il calo delle vocazioni (solo 122 preti hanno meno di 45 anni) rischi di far perdere la figura del curato a molte realtà, abituate ad avere un prete scattante in oratorio. Forse è un segno dei tempi, è un invito ai cristiani ad essere parte attiva nella propria comunità: lo dice uno che sta sempre alla sua casina, della serie “armiamoci e partite”! 
 
Ho avuto la fortuna di conoscere i genitori di monsignor Cesare Polvara. Il padre era un vero artista del mandolino, la mamma Pierina Antonelli è andata in cielo a 87 anni. Cesare è sempre stato un ciclista eccezionale, lo vedevo confrontarsi nelle gare di ciclocross alla Festa di San Luigi con Ivano Maioli ed il compianto Gianni Zanassi. 
 
Quando con don Flavio Saleri era partito per l’Uruguay, nel 1981 con un gruppo di giovani avevamo dedicato loro “I racconti di un Pellegrino Russo”, tratto da un classico della spiritualità e rappresentato nelle chiese. Al grande don Cece avevo dedicato una filastrocca durante la festa organizzata dai suoi coscritti del ’51 per il suo 40° di sacerdozio…
 
“Narra la leggenda che sin da bambino
mentre tuo padre con maestria suonava il mandolino
tu scorrazzavi per i prati con la bici
sempre circondato dall’affetto dei tuoi e degli amici.
Quando sulla strada sfrecciavi per Gavardo
la gente si diceva con ammirato sguardo:
“Ma chi è quel corridore che fila così veloce?”
“Ma come, non lo sai? È il Polvara Cece!”

Pianure e caedagne ti erano amiche
ma non disdegnavi discese e risalite.
All’oratorio avevi una parola buona con tutti
ogni incontro era un’occasione che dava frutti.
A scuola tra un compito ed un’interrogazione
trovavi sempre il tempo per la tua passione
allora salivi in sella e pedalando in tutta fretta
ripassavi la lezione più veloce di una motoretta.
Come un novello Bartali eri sempre contento
mai un’arrabbiatura, mai un brontolamento
e quando i tuoi ti chiesero “Da grande che vuoi fare?”
dicesti “Sacerdote voglio diventare!”

Già da ragazzino avesti la vocazione
e per diventar prete fremevi di passione
ma per la famiglia dovevi maturare
e le scuole medie gavardesi dovetti frequentare.  
Narrano le cronache, e non l’ho inventato,
che alle festine da Mora Aristide eri invitato
alla taverna si ballavano musiche più o meno caste
ma tu non ballavi e portavi le paste.
Finita la terza media, Cesare annuncia che intende andare in seminario, 
non in quello diocesano, ma in quello del PIME missionario.

E finalmente per la Toscana sei partito 
e un grande vuoto in tutti hai lasciato.
Venivi  a casa solo a Natale, a Pasqua e d’estate sotto il solleone
arrivavi all’oratorio pimpantissimo e volevi giocare a pallone… 
E così il caro Cesare teologia per anni ha studiato
ed nel giugno del ‘76 prete è stato ordinato.
All’inizio il Vescovo ti ordinò di fare
a Fiumicello il vice cooperatore
e subito dall’affetto della gente fosti circondato
e da tutto il popolo eri apprezzato.

Ma come si sa tutto il mondo ha bisogno d’amore
e un grande desiderio covavi nel tuo cuore
Gesù aveva detto ai suoi di andar fra la gente
a vivere il Vangelo con il cuore e con la mente.
Allora con sorpresa di tutti l’aereo prendesti
e con don Flavio per l’Uruguay partisti.
Furono anno intensi e tra mille difficoltà
vivesti con cuore puro e con generosità
e spiegavi agli indios un nuovo modo di pregare
passando in bici nei villaggi al grido di “Vangelo e pedalare!” 

Dopo gli anni in cui volevi far l’americano
sei tornato in Italia parroco di Bargnano e Frontignano
ma dopo 3 anni il Vescovo ti ha chiamato
pastore di anime a San Paolo sei stato nominato.
Ubbidiente Don Cece le valigie preparò
e il portoghese studiò e ristudiò
“Chissà che caldo che in Brasile avrai”
Gli disse la mamma, ma quando tornerai?
prendi su la flanella di lana, o figlio beniamino
perché a San Paolo do Brasil la notte fa freschino.
Ma non era il San Paolo che aveva capito
ma nella bassa bresciana era stato inviato…

Un caldo infernale, campi da arare, mosche da ammazzare,
forse era meglio fare il missionario nella giungla tropicale.
Poi un anno a Scarpizzolo, poi S. Angela Merici in città
e il nostro don Cesare accettava tutto con gran semplicità
finché un bel giorno monsignore fu nominato
e provicario generale del vescovo fu designato.
Ma anche con questo incarico importante
tra mille cose da decidere e le scelte che son tante,
dopo aver celebrato la Messa nella parrocchiale
dopo aver con devozione letto le parole del messale,
ecco il monsignore che corre per le scale
e con un balzo felino sale in sella e via, pedalare!

“Ad multos annos”, ora ti auguriamo
e poiché per miracolo ora un Papa argentino abbiamo
ci è lecito sognare di vederti un giorno eletto
assiso su una bianca bici: Papa Cece Primo Benedetto.
Caro don Cece, siamo stati fortunati ad averti conosciuto
il tuo sorriso il viaggio della vita ha illuminato.
Ti ringraziamo tutti per l’amore che ci hai dato
ed è il tesoro più grande che abbiamo conservato.”
 
E adesso Rovato! In bocca al lupo, caro don Cece (pardòn, monsignor Cesare, so che ci tieni molto ai titoli onorifici, eheheh)
 
Lunedì 16 luglio ricorre la festa della Madonna del Carmelo, una delle devozioni più antiche e amate della cristianità, legata alla storia ed ai valori spirituali dei frati Carmelitani. Venerdì scorso ho avuto la fortuna di partecipare, insieme a mia sorella Rita e alla mia attuale moglie, ad una novena presso lo stupendo Santuario del Carmine di San Felice del Benaco, gestito dai frati carmelitani. 
 
Centinaia di persone hanno cantato le lodi a Maria, hanno recitato il rosario e partecipato alla Santa Messa celebrata da numerosi sacerdoti. C’erano tra gli altri monsignor Italo, don Fabrizio, don Nolli e don Lorenzo Bacchetta (alla fine ha impartito lui la benedizione, ed essendo un novello sacerdote, la sua benedizione vale doppio!).
 
A proposito di rosario, mi viene in mente questo commovente ricordo di uno scrittore. 
 
“Penso a mia nonna Giuseppina, alla sua fede fatta di mitezza, umiltà, operosità, preghiere appena sussurrate, messe la mattina presto nell’angolo più raccolto della chiesa parrocchiale. Teneva due corone del rosario. Quella dei giorni feriali era logora dall’uso. L’altra, che le aveva donato papa Paolo VI, la conservava gelosamente in un astuccio, per paura di spezzarla. Quando è morta, le ho messo in mano il rosario del papa. Sono sicuro riuscirà a levigare anche quello. Al funerale era una giornata di sole. C’era la fiera. Al passaggio si sono fermate le giostre, sono cessate le musiche sgangherate dei baracconi.

M’è parso l’omaggio più significativo per una donna che aveva interpretato la vita come una cosa seria. Su per l’erta che sale alla chiesa, la folla sbuffava. E io pensavo alle migliaia di volte che lei, il mattino presto, magari con la neve, aveva affrontato a passi rapidi quella salita. E’ morta povera. Anche quest’anno andrò diritto a quella tomba. Guarderò alla foto illuminata dal sorriso, il sorriso che sbandierava il giorno delle nozze d’oro. Rimarrò il più a lungo possibile in silenzio. Per ripassare la lezione, le molte lezioni che mi ha dato. Cercherò di trattenere le lacrime. So che non  le approverebbe. Il mio vorrà essere il ricordo gioioso di una donna povera che ti fa memoria che si possiede solo ciò che si dona.”
 
Il parroco di Moniga nell’omelia ha commentato in modo davvero chiaro e profondo l’episodio di Gesù che, a 12 anni, dopo la visita a Gerusalemme, non si fece più vedere e dopo tre giorni (tre giorni!) i suoi pieni di angoscia lo trovarono nel Tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 
 
E scusate, ma a questo proposito mi è venuta in mente una barzelletta che mi raccontava mia mamma. Un bambino sta via di casa tutto il pomeriggio, quando torna la mamma lo sgrida e il bambino: “Ma mamma, anche Gesù da bambino era scappato dai suoi quando erano andati a Gerusalemme e l’hanno cercato per tre giorni!”  E la mamma: “Sé, ma te ghét vist che fine che el ghà fatt!” 
 
Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo
 
Maestro John 
 
Nelle foto: 
- “Don Cece” con padre Ezio Bettini (anche lui del ’51)
- A una festa alle Acli con tanti amici e suo fratello Antonio
- Don Flavio, anche lui andato in Uruguay
- Il piccolo Cesare nelle vesti di tarcisiano, in processione con Monsignor Ferretti. Dietro c'è l'amico Paolo Goffi, ora parroco a San Vito di Bedizzole.
 
Desidero ringraziare l'amico Beppe Leni per la collaborazione fotografica... mi ha dato tante di quelle foto "di una volta" che ne ho finché scampo. E tutte belle! Grande Beppe!
 
 


Commenti:
ID76917 - 15/07/2018 14:08:26 - (Geppo1950) - Buona pedalata

All'amico Cece un sincero augurio di buona pedalata, certamente i Clarensi sapranno aprezzare la tua semplicità e simpatia.a John....incommensurabile !!!!

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