Partite entrambe con roster di tutto rispetto, sponsor ricchi (Torino è targata addirittura Fiat) e proclami agguerriti, alla fine non arrivano neppure nelle prime otto. Per Torino, l’impressione dall’esterno è che la coppia di presidenti padre e figlio vorrebbero essere anche allenatori, GM, DS, massaggiatori e, se potessero, giocatori di prima squadra e anche giovanili; se un signor coach come Luca Banchi se n’è andato insalutato ospite con la squadra che veleggiava nelle zone altissime della classifica, un motivo ci sarà.
Se poi un altro principe della panchina come Carlo Recalcati (uno che ha un palmares di vittorie lungo come la fame) è durato un paio di settimane, ecco un altro indizio. Per fortuna dei piemontesi a febbraio è arrivata almeno la vittoria della Coppa Italia, che mitiga la delusione di una stagione per altri versi da dimenticare.
Bologna sembra invece la solita storia di troppi galletti nello stesso pollaio con i fratelli Gentile (e padre Nando e procuratore Sbezzi) da un lato e Aradori dall’altro a voler fare i “chicchirichì” più forti. Il fallimento della Virtus è stato decretato dalle troppe partite perse di pochi punti e al fotofinish. Il tecnico Ramagli, preparatissimo tecnicamente, ma poco avvezzo a gestire campioni di tale levatura sul palcoscenico della massima serie, non sembra esente da responsabilità.
Anche a Sassari devono leccarsi le ferite: dopo lo splendido ciclo culminato nel titolo di campione d’Italia nel 2015 con Romeo Sacchetti, ora coach a Cremona e della Nazionale, a guidare una squadra eccezionale, la Dinamo ha imboccato una china irrimediabilmente discendente, culminata con la conclusione anticipata della stagione senza partecipare alla fase più importante. I Dyson, Logan, Diener, Sanders non si trovano a ogni angolo di strada e obiettivamente, a parte Bamforth e forse Pierre, i loro sostituti ne sono una copia alquanto slavata.
Guardando agli accoppiamenti dei playoff di quest’anno, il tabellone propone una parte sinistra che è un piccolo “Trofeo Lombardia”, con l’Olimpia Milano che se la vede con Cantù e la nostra Leonessa che si trova la gatta da pelare Varese. A destra i campioni d’Italia di Venezia sono accoppiati con Cremona, mentre Avellino e Trento saranno impegnati nella sfida forse più incerta di questa tornata.
I pronostici
Reyer Venezia-Vanoli Cremona
La Reyer, con un roster profondo e di altissima qualità, è di gran lunga favorita: tutti i ruoli sono ben coperti e l’infortunio di Orelik - che sembrava una sciagura, dato il valore del giocatore - è stato più che compensato dall’arrivo di Austin Daye, un signorino da 2.10 m con i numeri e la velocità da guardia. Contro questa corazzata, che tra l’altro coach Walter De Raffaele ha dotato di un gioco bello e tremendamente efficace, Cremona può pensare di fare bella figura: certamente Meo Sacchetti le studierà tutte, ma la potenza di fuoco di cui gli amici cremonesi dispongono, per quanto ragguardevole, non è lontanamente paragonabile a quella dei lagunari. Johnson Odom, Martin, Sims e il Professor Drake Diener sono un gran bel vedere, ma quando le partite sono ogni due giorni, diventa difficile tenere il ritmo anche per dei pirati come loro.
Venezia 3-1
Sidigas Avellino – Dolomiti Energia Trento
È il quarto più intrigante di tutti e con il pronostico più difficile. Potrebbe essere decisivo il fattore campo a favore di Avellino, dove si disputerebbe l’eventuale gara 5. Da una parte (Avellino), abbiamo un playmaking di prim’ordine con Filloy e Fitipaldo che imbeccano due centri di valore assoluto, Big Man Fesenko e Shane Lawal.
Anche il reparto esterni fa paura con Scrubb, Wells, Leunen: e poi, signori e signore, c’è Mr Jason Rich, MVP del campionato e una gioia per gli occhi vederlo giocare. Dall’altra parte c’è una squadra che fa della difesa e dell’atletismo i propri vessilli: se c’è una palla vagante, non preoccupatevi, sarà preda di un giocatore di Trento. Nessuna stella, ma tanta garra e sangue agli occhi che suppliscono alle carenze tecniche e di centimetri.
Avellino 3-2 (ma sarà durissima)
Olimpia Milano – Red October Cantù
Cantù arriva ai playoff con il gioco preferito da chi scrive: tiro in 8-10 secondi, senza ruminare basket al limite dei 24”. Anche qui atletismo a mille e lotta su ogni pallone: ne sa qualcosa la Leonessa, che ha dovuto sputare sangue per avere la meglio in semifinale di Coppa Italia sui canturini, ridotti in 5 e mezzo da falli e infortuni. Randy Culpepper e Jaime Smith sono i giocatori che brillano di più, ma se andiamo a vedere i tabellini Chappell, Thomas e soprattutto Burns (ex Leonessa e promesso sposo Olimpia, nonché colonna della Nazionale) non sono da meno. Ma Milano è Milano: oltre ad abbondanti quarti di nobiltà, ha un roster di quantità e qualità da poter essere avvicinato solo da Venezia, con soluzioni in ogni angolo di campo.
Anche la conduzione tecnica è di prim’ordine, con quel Simone Pianigiani artefice dei successi di Siena negli anni passati. I tifosi Olimpia non sono contenti perché il comportamento della squadra non è all’altezza di tali e tanti nomi, ma dimenticano che per fare un bambino servono nove mesi. Gli unici punti deboli dei milanesi, a mio avviso, sono il ruolo di playmaker con il solo Cinciarini vero play e la scarsa predisposizione a servire sotto Gudaitis e Tarzcewski, immarcabili nel pitturato per molti centri della nostra serie A. I vari Goudelock, Bertans, Kuzminskas, Abass, Pascolo, Micov, Jerrels hanno tutti punti nelle mani e diventano tutti temibili alternative.
Milano 3-0
Leonessa Brescia – Openjobmetis Varese
Eccola qui la nostra Leonessa, arrivata terza in regular season al termine di una stagione da circoletto rosso. Neppure ai tempi gloriosi di Pintinox e Cidneo, di Laimbeer, Iavaroni, Piet, Abernethy, Costa, Palumbo, i fratelli Motta e del compianto Marcone Solfrini si era arrivati così in alto. Merito di un coach, Andrea Diana, che ha saputo assemblare una squadra che offre un mix sapiente di tecnica sopraffina (Landry e Michele Vitali), QI cestistico (Sacchetti e Luca Vitali), atletismo (Hunt e Moore), carisma e difesa (Moss) più il folletto Bryce Cotton, l’ultimo arrivato a Brescia, ma che potrebbe essere l’arma in più per questo finale di campionato. Varese, guidata da coach Attilio Caja, premiato come miglior coach della stagione proprio davanti a Diana, sarà però un bruttissimo cliente (da Varese, circa un mese fa, siamo tornati con un -30 sulla groppa).
I prealpini, sempre secondo il gusto di chi scrive, giocano, dopo Cantù e forse Venezia, il basket migliore di tutti: sono veloci in attacco, con circolazione turbinante della palla, e ringhiosi in difesa. Il trio di perle Okoye, Avramovic e Wells è ben supportato dai compagni che, pur non essendo stelle di prima grandezza, garantiscono un rendimento costante. Giocare tra le gloriose mura del tempio di Masnago è poi difficile per tutti. Come per Avellino, sarà decisivo il fattore campo: peccato che Brescia debba giocare gara 1 a Verona per indisponibilità del PalaGeorge (NdS: quando il nuovo palazzetto sarà pronto sarà sempre troppo tardi…)
Brescia 3-2 (per un capello)