25 Gennaio 2018, 07.39
Idro Valsabbia
La nostra storia

La Radio Marelli di Vittorio Leone Levi, di Idro

di Guido Assoni

Nel 1938 ha inizio anche in Italia la discriminazione e la persecuzione ebraica che avrà la sua più nefasta espressione più tardi con l’avvento della Repubblica Sociale Italiana e l’occupazione tedesca


La guerra civile spagnola e le sanzioni economiche inflitte all’Italia in seguito alla conquista dell’Etiopia, avevano spinto Mussolini a seguire Hitler anche in materia razziale.
Il re, come al solito, tace e acconsente.
La sua priorità è la stabilità di governo e rafforzare il prestigio di casa Savoia e, questo, Mussolini lo sa benissimo.

Vittorio Emanuele III aveva taciuto quando Mussolini aveva soppresso i partiti politici, quando aveva allineato la categoria dei giornalisti al regime di fatto sopprimendo la libertà di stampa, e quando aveva istituito la pena di morte per reati di natura politica.

Non aveva battuto ciglio quando gli squadristi avevano assassinato il deputato socialista Giacomo Matteotti e quando in Francia vennero eliminati i fratelli Rosselli esponenti del movimento “Giustizia e Libertà”.

Aveva girato la testa dall’altra parte quando gli oppositori al fascismo furono rinchiusi in carcere o mandati al confino in sperdute isole del Mediterraneo.
Figuriamoci quindi se intende ora opporsi alla promulgazione delle leggi razziali.

Nel saggio di Renzo De FeliceStoria degli ebrei italiani sotto il fascismo” viene più volte riproposta la tesi per cui fino al 25 luglio 1943 “fu una persecuzione all’acqua di rose” e che l’antisemitismo fascista fu determinato dalla volontà di facilitare l’avvicinamento tra Germania e Italia.

L’allontanamento dalla scuola, dagli uffici pubblici, dalle professioni, il divieto di contrarre matrimonio con cittadini di razza ariana, il divieto di possedere beni immobili, di esercitare attività economiche e commerciali sono solo alcuni esempi, ammesso che ce ne fosse bisogno, per dimostrare che la tesi del De Felice non regge all’evidenza dei fatti.

Era poi fatto obbligo agli ebrei di denunciare il fatto di appartenere alla razza ebraica, circostanza che doveva essere annotata nei registri dello stato civile e negli schedari dell’anagrafe della popolazione residente.
Nei registri di nascita dei Comuni della Valle Sabbia, per quanto ho potuto constatare, non esistono annotazioni relative all’appartenenza alla razza ebraica.

Nello schedario storico del Comune di Idro, dove sono conservati i cartellini anagrafici individuali eliminati per emigrazione o morte del titolare, esistono quelli intestati a due ebrei sui quali è riportata l’annotazione “di razza ebraica – denuncia unica in data 02 marzo 1939 – XVII”.

Si tratta dei figli di Isacco Salomone di Vincenza Giordano:


-  Levi Leone Vittorio, nato a Vercelli il 10/02/1885, geometra assunto dal 01/04/1934 in qualità di dirigente dell’Ufficio lavori della Società An. Lago d’Idro;
-  Levi Gemma Pia  nata a Vercelli il 16/10/1903, benestante nubile.
Oltre che dai due fratelli ebrei, la famiglia era composta anche dalla moglie di Leone, la cittadina di razza ariana Margherita Maghina (Tina) nata a Brescia il 02/11/1893.
A far tempo dal 06/08/1934, i tre abitavano in un immobile della SLI, sito in Crone, via Vittorio Emanuele, 4.

Nel dopoguerra, è stata cambiata la denominazione della strada, da via Vittorio Emanuele a via San Michele, mentre lo stabile ove erano alloggiati i dirigenti della SLI,  attualmente è sede di un mobilificio.
Sempre nello stesso immobile, ma in diverso appartamento, era residente la famiglia dell’ing. Mario Pascarella, altro dirigente di spicco della Società An. Lago d’Idro.

I più anziani di Idro ricordano la sua autovettura Bianchi a ruote con cerchi a raggi e con le robuste sospensioni tanto è vero che l’acquirente, il costruttore Alberto Bertini, nel dopoguerra la trasformò in furgoncino per l’accesso ai cantieri edili.
Da sottolineare il fatto che tale impresario, padre dell’ing. Marco Bertini, vera e propria memoria storica del Comune di Idro, dovette cambiare il nome originario di “Abramo” in “Alberto” per non avere problemi durante il periodo di vigenza dei provvedimenti razziali.

Andiamo con ordine.

Eravamo rimasti all’emanazione delle leggi razziali.
Per aderire ad analoga richiesta da parte del sottosegretario agli Interni, Guido Buffarini Guidi, il Prefetto di Brescia Edoardo Salerno con telegramma del 29/04/1939, prot. n. 816, invitava tutti i podestà della provincia a comunicare con stesso mezzo, il numero delle denuncie di appartenenza alla razza ebraica pervenute in Municipio.

Da tutti i Comuni, con grande solerzia e tempestività, pervennero le risposte, in massima parte negative, tranne che per i Comuni che ospitavano ebrei, tredici enti in tutto compreso il capoluogo e tra i quali i Comuni di Idro e di Salò.
Da tale rilevazione è emerso come, in provincia di Brescia,  gli ebrei che si erano autodenunciati fossero in numero di centodiciotto di cui ottanta di nazionalità italiana.

Il podestà di Idro, capitano Giovanni Lumini, persona per altro benvoluta e perfettamente integrata nel tessuto sociale del paese, anche per il fatto di avere sposato la cittadina di Idro Bonardi Alice, non potè esimersi dal segnalare la presenza ebraica con un telegramma del 30/04/1939 del seguente tenore: “Risposta telegramma 816 denuncie ebrei qui presentate numero una persone risultanti razza ebraica 2 nazionalità italiana- podestà Idro”.

Qualche giorno dopo, esattamente il 04/05/1939, su sollecitazione prefettizia, con nota-espresso prot. N. 900, lo stesso podestà comunicava le generalità dei due fratelli Levi, specificando altresì che nessuna contravvenzione era stata rilevata e nessuna sanzione applicata per omesse o tardive denucie.

Giusto un anno dopo, il 05/06/1940, quando le truppe naziste avevano invaso mezza europa e Mussolini aspettava il momento propizio per l’infausta dichiarazione di guerra alla Francia e all’Inghilterra, la Società An. Lago d’Idro, con nota prot. n. 721, darà il benservito al geom. Leone Vittorio Levi con decorrenza 20/06/1940.

“Mi duole dovervi comunicare che in conformità alle disposizioni impartitemi dalle superiori competenti Autorità in riferimento alle direttive vigenti in materia di difesa della razza, devo rinunciare ad ogni Vs/ulteriore prestazione d’opera e di conseguenza con la presente Vi do regolare avviso di licenziamento dalla nostra società.
Dalla Vs/direzione riceverete opportune disposizioni per la regolare consegna delle pratiche e di quanto altro di pertinenza della Società in Vs/possesso, nonché per il ritiro della liquidazione che vi compete.
Vi prego di voler disporre affinchè i locali di abitazione in Crone da Voi occupati, siano lasciati liberi con cortese sollecitudine.
Ringraziandovi per l’opera prestata, distintamente Vi saluto. Soc. Lago d’Idro Il Presidente f.to Dugnani.”.


Questa firma rivestirà grande importanza perché Innocente Dugnani, dopo essere stato nominato podestà della città di Brescia, sarà investito dal 11/05/1944 fino alla liberazione, della carica di Capo della Provincia di Brescia subentrando a Gaspero Barbera.

Il 27/07/1940 la famiglia Levi (marito, moglie e sorella), sfrattata da Crone, si trasferì a Brescia prendendo residenza in uno stabile di via Carducci, 3.
Nel dicembre 1943 a Brescia ebbe inizio la caccia all’ebreo pianificata in ogni particolare dallo zelante questore Manlio Candrilli che attivò tutte le diramazioni periferiche dell’apparato repressivo ovvero stazioni locali dei Carabinieri, della Polizia, della Guardia Nazionale Repubblicana, i podestà, i commissari prefettizi, i fiduciari del fascio, i funzionari degli uffici imposte, del Tesoro e delle banche, i segretari comunali, aziende private, ma anche semplici delatori prezzolati.

Raccoglieva tutte le informazioni sugli spostamenti degli ebrei rintracciati e sistematicamente le trasmetteva alle altre questure competenti sollecitandole alla ricerca e alla deportazione, attuando una sorta di controllo incrociato.

Il fiuto da segugio, portò il questore di Brescia sulla tracce della famiglia Levi.
Intanto Gemma si rese irreperibile in quanto, in caso di fermo,  per lei ci sarebbe stato l’internamento a Fossoli e il trasferimento di sola andata ad Auschwitz.

Manlio Candrilli non tralasciò accurati accertamenti per verificare l’eventuale possesso di beni immobili del Levi in provincia di Brescia al fine della loro confisca.
Come rilevato in un suo rapporto al Capo della Provincia, datato 21/02/1944 non gli sfuggì il fatto che Leone fosse comproprietario con la sorella Gemma ed altri fratelli di alcuni stabili ubicati in via Foà, 25 a Vercelli provenienti da atto di successione.
Sempre nello stesso rapporto si duoleva del fatto di non aver potuto procedere all’internamento del Levi in quanto coniugato con cittadina di razza ariana e che la sorella Gemma, nata a Vercelli il 16 ottobre 1903, ebrea, nubile, si fosse allontanata “per ignota direzione per sottrarsi ai noti provvedimenti razziali”.

Il questore Candrilli, non lasciò niente di intentato dal momento che nel successivo mese di aprile provvedette di persona ad inventariare le attività mobililari della famiglia Levi.
Anche in questa circostanza la sua ostinazione non produsse l’effetto sperato in quanto la moglie di Leone, sig.ra Margherita (Tina) Maghina dichiarò essere unica proprietaria dei mobili esibendo copia conforme di una scrittura privata risalente al 1926, regolarmente registrata, comprovante l’acquisto da parte della di lei madre dalla quale li avrebbe poi ricevuti per successione.

Assunse invece i toni della farsa il sequestro della radio Marelli di proprietà di Leone.
A quei tempi, gli apparecchi radio erano temuti dai fascisti, perché formidabili strumenti di conoscenza e dunque di libertà di pensiero, ma pure di resistenza politica.
Ragion per cui, con circolare telegrafica n. 442.12038 del 03/03/1941, ne venne disposto il sequestro immediato agli ebrei qualora ne fossero trovati in possesso.

Il successivo Governo Badoglio adottò invero alcuni blandi provvedimenti a favore degli ebrei quali la revoca del divieto di soggiornare in determinate località turistiche e la restituzione, su richiesta, degli apparecchi radio confiscati in precedenza, ma l’avvento della Repubblica Sociale Italiana rovesciò nuovamente le disposizioni.
Infatti venne emanato in data 04/01/1944 un provvedimento legislativo, approvato dal Consiglio dei Ministri il 16/12/1943, che disponeva il sequestro dei beni agli ebrei.

Osserviamo ora la tempestività con cui il questore Candrilli anticipò i tempi della confisca della radio di Leone Levi.
Il sequestro avvenne il 14/12/1943 come riportato nella segnalazione del medesimo questore al Capo della Provincia.

“Si resta in attesa conoscere la destinazione dell’apparecchio in atto giacente presso questo ufficio” così chiudeva la citata nota n. 05029 Gab. del 31/12/1943, acclarata a protocollo dagli Uffici della Prefettura repubblicana in data 05/01/1944 al n. 32.

A margine di questo documento è ancora ben visibile l’annotazione di pugno da parte del capo della Provincia Barbera “al Capo Gabinetto”.
Tale tempestività nell’avventarsi sui beni degli ebrei era determinata dal timore che i beni venissero nascosti o trafugati e vedersi pertanto soffiato un possibile tornaconto personale.

Il giorno dopo aver ricevuto la segnalazione, ovvero il 06 gennaio 1944, il capo della Provincia dispose per iscritto la destinazione della radio al capo gabinetto, ma poi ci fu un ripensamento e, in data 26 gennaio 1944,  venne avvertito telefonicamente il Commissario Pepe di non dare esecuzione all’ordine.
La cosa rimase in stand by fino al mese di maggio 1944 allorquando Innocente Dugnani subentrò a Gaspero Barbera come capo della Provincia.

Proprio quel Dugnani che, in qualità di Presidente della Soc. An. Lago d’Idro firmò, cinque anni prima, la lettera di licenziamento di Leone Levi.
Il 15 maggio 1944 infatti lo stesso Dugnani volle fare il punto della situazione e chiese al questore Candrilli se la radio risultasse ancora depositata in Questura.
La risposta del 04/06/1944 confermava questo stato di cose.

Il 04 dicembre 1944 partì l’ordine da parte del capo della Provincia Dugnani “dispongo che la radio Marelli sequestrata all’ebreo in oggetto venga subito portata in Prefettura e messa a disposizione del mio capo di Gabinetto per gli usi d’ufficio in attesa del provvedimento di confisca”.
L’ordine venne reiterato il 19/12/1944.

Il 1° gennaio 1945 (giorno festivo) con evidente imbarazzo, il questore Candrilli comunicava alla Prefettura Repubblicana di Brescia e non già come era suo solito indirizzare al capo della Provincia “non posso aderire alla richiesta di cui trattasi essendo la richiesta stessa in contrasto con le disposizioni verbali datemi dal Capo della Provincia.
Non appena sarà sequestrato altro apparecchio radio-ricevente, mi farò premura di inviarlo in Prefettura”.


Evidentemente la radio aveva preso la strada dell’appropriazione privata da parte di qualche funzionario o gerarca.
Non è da escludere l’ipotesi che sia stata trattenuta dallo stesso Dugnani con l’intento di restituirla al legittimo proprietario a guerra finita.
D’altro canto Dugnani aveva un ottimo rapporto con il geom. Levi fin dai tempi in cui entrambi rivestivano cariche importanti in seno alla Soc. An. Lago d’Idro.
La radio comunque, formalmente, con decreto n. 117 del 15/01/1945, venne confiscata a favore dello Stato e trasferita per il realizzo all’Ente di Gestione e Liquidazione Immobiliare (EGELI).

Intervenuta la liberazione del territorio nazionale dal regime nazifascista e cadute con esso tutte le leggi razziali a suo tempo emanate, il 25/06/1945, Leone Levi rivolse al Prefetto della Liberazione Bulloni, al Governo Militare Alleato di Brescia e alla Soc. Lago d’Idro di Brescia, istanza di reintegrazione nell’impiego dal 27/04/1945 con effetto economico dal 21/06/1940 (giorno successivo al licenziamento).

Il 24 luglio 1945 il Presidente della Soc. An. Lago d’Idro comunicava che “il posto già occupato dal Geom. Levi è ora occupato dal Geom. Maccagno, ma la Società ha deciso la soppressione di tale posto per ragioni evidenti di economia.
Difatti la S.L.I. che è praticamente una specie di Consorzio delle Utenze del Chiese per la regolazione del lago serbatoio, non ha altre entrate che quelle provenienti dai contributi fissati con D.M. a carico delle utenze stesse: contributi bloccati mentre le spese, come è ovvio, sono in continuo incremento.
E così la società non ha potuto dare nel decorso esercizio alcun dividendo”.


Leone Levi non venne mai reintegrato e ottenne solamente il conguaglio dell’indennità dal giorno del licenziamento alla data di produzione dell’istanza.
Naturalmente niente a che vedere con gli arretrati stipendiali reclamati.

Il geom. Carlo Maccagno, originario di Mornese (Al) dove era nato il 10/06/1894, uomo di integerrima fede fascista, rimase invece al servizio della SLI fino al pensionamento.
Rimarrà residente a Idro con la moglie Paola Watzek, nata a Bondenbach (Cecoslovacchia) il 13/10/1894, fino alla morte sopraggiunta il 01/04/1971.

Non saprei se a fine guerra Leone Vittorio Levi ritornò in possesso del suo apparecchio radio ricevente Marelli.
Mi auguro di sì anche se lo storico Marino Ruzzenenti che ringrazio per le informazioni, non è dello stesso avviso.

Comunque sia Leone non farà ritorno a Idro.
Morirà a Brescia il 18/05/1961.
La sorella Gemma più giovane di lui di diciott’anni, morì  a Brescia il 28/09/1972.
La moglie Margherita Maghina, meglio conosciuta a Idro con il diminutivo “Tina” sopravvisse a lungo fino al 08/12/1985 quando, ormai novantaduenne, si spense a Bedizzole.

Guido Assoni

. in foto: una RadioMarelli degli Anni Trenta




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