11 Maggio 2017, 15.00
Terza pagina

Sotto il segno dell'incertezza

di LoStraniero

L’incertezza della certezza o la certezza dell’incertezza? L’incertezza ha a che fare col mondo delle decisioni.
Decidere nell’incertezza è un problema molto serio e va affrontato con la massima attenzione


Lorenzo di Piero de’ Medici detto Lorenzo il Magnifico (1449-1492) nella “Canzona di Bacco” scrisse:

“Quant’è bella giovinezza
 che si fugge tuttavia!
 Chi vuol esser lieto, sia,
 di doman non c’è certezza”

Nessuno forse più di lui ebbe tanta ragione. Infatti morì a soli 43 anni.
A proposito di morte c’è anche il famoso detto: “L’unica cosa certa è la morte”.

Se fosse vero significherebbe che tutto ciò che non è morte è incerto, perciò tutti gli esseri viventi avrebbero a che fare, per tutta la loro vita, solo con l’incertezza.

Ma che cos’è l’incertezza?

Secondo Doug Hubbard è la mancanza di certezza, uno stato di conoscenza limitata in cui è impossibile descrivere esattamente lo stato esistente, i risultati futuri o più di un risultato possibile.

Secondo Zygmunt Bauman l’incertezza è l'habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane. Sfuggire all'incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine, composita della felicità.
È per questo che una felicità autentica, adeguata e totale sembra rimanere costantemente ad una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso.

Costatato dunque (e questo lo dico io) che l’incertezza è una condizione insopprimibile dell’essere, tutto quello che possiamo fare noi miseri è cercare di ridurla.

Per poterla ridurre occorre però misurarla.

Per poterla misurare è necessario munirsi di strumenti adeguati.
Poiché l’incertezza, come sopra detto, è uno stato di conoscenza limitata, aumentando la conoscenza diminuisce l’incertezza.
Se così stanno le cose allora lo strumento più adeguato per misurare l’incertezza è la probabilità.

E qui, solo a pronunciare questa parola, molti sono assaliti da forte perplessità, sgomento e senso di smarrimento, soprattutto se si trovano davanti a formule mostruose e incomprensibili per cui o voltano pagina o chiudono il libro.

Però sentite cosa diceva Laplace:

“La théorie des probabilités n’est, au fond, que le bon sens réduit au calcul”
          Théorie analytique des probabilités, 1821. Pierre-Simon. Marquis de Laplace

Comunque, non voglio sottoporvi a nessuna tortura, ma vorrei solo raccontarvi, se avete un po’ di pazienza, quello che è successo in questi ultimi anni sul tema.
Praticamente, il problema dell’aumento della conoscenza circa un determinato fenomeno e perciò il problema della riduzione dell’incertezza, è stata trasferita dall’uomo alla macchina. 

Dal matrimonio tra informatica, probabilità e statistica è nata una nuova scienza che si chiama Machine learning. 
E’ la macchina che impara e imparando aumenta la conoscenza e aumentando la conoscenza riduce l’incertezza.
Ma può una macchina imparare? E se può come fa? Questo è il busillis!

Per cercare di spiegare questo fenomeno devo risalire all’insegnamento dei padri.

Nel 1761 moriva a Royal Tunbridge Wells, Regno Unito, Thomas Bayes (1702-1761), un matematico e ministro presbiteriano britannico. Lasciava un manoscritto pubblicato in un articolo postumo nel 1763 dal suo amico Richard Price col titolo “An essay toward solving a problem in the doctrine of chances”.

Questo articolo contiene un ragionamento originale:

1. Esprime una credenza soggettiva (tecnicamente chiamata prior) su un determinato fenomeno (o su un suo parametro) in forma probabilistica (un numero compreso tra 0 e 1).

2. Questa credenza viene poi aggiornata dall’osservazione dei dati relativi a quel fenomeno (tecnicamente chiamata likelihood)

3. Ogni volta che sono disponibili nuovi dati sul fenomeno in parola la credenza viene aggiornata e migliorata (tecnicamente chiamata posterior).

Nel 1774 lo stesso principio venne formulato in forma moderna da Pierre Simon de Laplace che non conosceva il lavoro di Bayes.
È interessante notare che Laplace, quando ha appreso delle pubblicazioni postume di Bayes, ha riconosciuto Bayes essere stato il primo a descrivere il principio di questo induttivo sistema di ragionamento.

L’applicazione pratica di questo modo di pensare è stata in passato limitata dalla scarsa disponibilità dei dati e dalla difficoltà dei calcoli.
Su questi due punti è avvenuta però, in questi ultimi anni, una vera e propria rivoluzione.
Di tutte le previsioni che sono state fatte per questi anni, la più stupefacente è quella che avremmo raccolto una quantità incredibile di dati su tutto, tutti i giorni, e in tutto il mondo.

La tecnologia di memorizzazione dei dati
è talmente aumentata che oggi possiamo conservare anni di dati in un volume molto piccolo che può stare nel palmo di una mano.
La raccolta di dati, se certamente è informazione, non è però conoscenza.

Analogamente sul secondo punto cui si accennava sopra e cioè sulla difficoltà dei calcoli i computer moderni hanno acquisito una velocità sempre maggiore.
Oggi sono più di 20 volte più veloci di quelli di pochi anni fa.

E qui entra in scena l’attore principale di questa incredibile storia: l’algoritmo.
Attraverso l'uso di algoritmi, il computer rappresenta con le probabilità la sua convinzione circa alcuni fatti ed eventi.

Fondamentalmente l’algoritmo è ciclico, cioè al suo interno contiene un circolo (loop) che partendo da una prior iniziale acquisisce nuove informazioni dai dati e formula una posterior, quindi sostituisce la prior con la posterior ottenendo così una nuova prior (vi ricordo che la prior rappresenta la credenza soggettiva circa un fenomeno).

A questo punto,
se vi sono nuovi dati ripete l’operazione.
Siccome i nuovi dati ci sono e sono tanti, il computer ha molto da lavorare anche perché generalmente opera contemporaneamente su distribuzioni di probabilità congiunte con migliaia o anche milioni di variabili.

E’ un lavoro che un essere umano non riuscirebbe a fare in tutto il corso della sua vita e che il computer fa in pochissimo tempo.
Arriverà il giorno in cui ci diranno di non pensare più? 

LoStraniero
 


Commenti:
ID72024 - 11/05/2017 17:01:22 - (Dru) - "se fosse vero significherebbe che tutto ciò che non è morte è incerto"..dici

e io ti domando e se ti mostrassi che certo e incerto sono lo stesso? come diventerebbe la tua sopra? "se fosse vero significherebbe che tutto ciò che non è morte è vero. potresti ribattere che manca un incomodo a "certo"="incerto"diverso da vero e diverso da nulla.ma Certo e incerto è ciò che appare della fede o dubbio, la loro verità dunque, ciò che non appare e non può apparire è il loro contenuto, difatti tutto ciò che non è morte è dunque vero.

ID72025 - 11/05/2017 17:14:06 - (Dru) - DOug Hubbard

parla di conoscenza limitata perché presume una realtà alla conoscenza e dice che è impossibile la sua descrizione in quanto la realtà non è la conoscenza perché se lo fosse allora sarebbe necessario conoscerla, ma una conoscenza impossibile non è incerte è impossibile. riflettici. infatti dici, o più di un risultato, contraddicendo quel impossibile descrizione dell'esistente: è impossibile la descrizione o un risultato è possibile?

ID72026 - 11/05/2017 17:22:15 - (Dru) - Zygmunt Bauman

l'attività riduce l'incertezza: ma qui Bauman presume, diversamente da Hubbard, la speranza, dunque l'incertezza è disperazione che se limitata conduce alla felicità. E' per questo che la felicità resta lontana, perché la si spera, cioè non la si può conoscere. DIrei che c'è molto da guarire e da spiegare sul tema dell'incertezza a questi due signori.

ID72027 - 11/05/2017 17:23:09 - (Dru) - misurare l'incertezza

significa legare la conoscenza alla realtà, cioè significa sperare che lo si possa fare, cioè significa presupporre che siano slegate.

ID72029 - 11/05/2017 18:16:33 - (LoStraniero) - Caro Dru

potresti interrogare la macchina che risponderà a tutte le tue query. Io stesso ho elaborato un algoritmo che a ogni passo, consultando dati nuovi, sulla via da 0 a 1, acquisisce maggiore conoscenza circa un determinato fenomeno. Di fronte a ciò tutte le tue elucubrazioni prendono vie incerte come foglie secche in balia del vento.

ID72030 - 11/05/2017 18:48:51 - (Dru) -

Ecco, le doglie secche e il vento sono o sono foglie secche?

ID72034 - 12/05/2017 07:25:33 - (Dru) - Ti chiedo (perché tu rifletta)

Si è incerti (dunque certi) di cosa? E ri chiedo cosa è questo "di cosa"?

ID72041 - 12/05/2017 15:14:45 - (Capitano) - Bel pezzo LoStraniero

Anche se vedo ancora una supremazia dell' approccio frequentista sul bayesiano applicato al machine learning. Ma immagino che fra qualche anno sarà un'algoritmo a dirmi anche quale sia l'algoritmo e l'approccio migliore da impiegare per risolvere un determinato problema. E quindi non pensare più come dici tu. :) Tempi duri per noi mortali...

ID72044 - 12/05/2017 19:07:52 - (LoStraniero) - Bravo Capitano

Sai perfettamente di che si parla. Penso che l'approccio frequentista non sia però applicabile perché certi fenomeni non possono ripetersi a piacere

ID72045 - 12/05/2017 19:25:37 - (Dru) - Faccio una domanda

Ma posterior è piú vera di prior? O la credenza che viene aggiornata e migliorata risulta essere una credenza che in nulla è diversa?

ID72046 - 12/05/2017 19:28:14 - (Dru) - Perché nudi dalle nostre convizioni

Non proviamo a capire davvero?

ID72047 - 12/05/2017 19:35:15 - (Dru) - Una metafora..

Prior: siamo alla presenza di una balena. Posterior: intorno c'é il mare e anche tanti pesci e chi riconosce questo é l'umanità intera che vede il fenomeno, tranne uno che dice di essere alla presenza di un uomo non di una balena.... Il mo doclo mette al manicommio perché pisterioro la valanga di dati confermano di essere in presenza di una balena... Basta questo per conoscere la verità? Asta questo per conoscere il fenomeno stesso? O pensare è qualcosa che esula dal conoscere e dall'approvare posterior?

ID72048 - 12/05/2017 22:08:32 - (Dru) -

Prior: siamo alla presenza di una balena. Posterior: intorno c'é il mare e anche tanti pesci e chi riconosce questo é l'umanità intera che vede il fenomeno, tranne uno che dice di essere alla presenza di un uomo non di una balena.... Il mondo, che solo una vista distratta dice essere a posteriori, mette al manicommio la malcapitata verità perché a posteriori la valanga di dati confermano di essere in presenza di una balena... Basta questo per conoscere la verità? BAsta (dove il bastare indica la quantità)questo per conoscere il fenomeno stesso? O pensare è qualcosa che esula dal conoscere e dall'approvare (a) posterior?

ID72049 - 12/05/2017 22:30:16 - (Dru) - Emanuele Severino

Il concetto di tolleranza è un concetto sociale, non c’è tolleranza verso se stessi, se non in un senso molto diverso da quello che qui stiamo usando. Ma allora, l’obiezione che normalmente si fa alle filosofie «che sono tante e in contrapposizione» è profondamente scorretta perché, specialmente da parte dell’uomo della strada, si considera assodata un’affermazione tutta da problematizzare, ovvero che esista una societas, un’affermazione problematica e quindi da fondare (che i miei scritti risolvono con La Gloria, Adelphi 2001, e Oltrepassare, Adelphi 2007). Per questo ho sostenuto che il concetto di tolleranza è di tipo sociale e richiede che esistano molteplici individui, uomini, e che in base ai loro comportamenti essi vengano interpretati in un certo modo da sé e dagli altri.

ID72050 - 12/05/2017 22:32:42 - (Dru) - Emanuele Severino

Quando dico che esistono molte filosofie intendo che esistono molti uomini che la pensano diversamente gli uni dagli altri, ma anche che l’esistenza stessa dell’altro è un problema (problema che rimanetale nella “nostra” cultura). Esiste una configurazione visiva, tattile, un comportamento linguistico, che nel suo insieme fa reagire ciò che viene chiamato “me stesso” in modo da dire: ecco, questo è un uomo. Ma l’uomo non si riduce alla propria struttura “robotica”: essa è in grado di ricostruire ciò che noi vediamo, cioè quell’insieme di eventi che interpretiamo come l’“altro”, ma questo non è riducibile alle sue componenti “meccaniche”, poiché conserva in sé quell’interiorità che noi speriamo di sondare.

ID72051 - 12/05/2017 22:34:28 - (Dru) - Emanuele Severino

Allora il presupposto forte che sta alla base dell’affermazione «esistono molte filosofie una contrapposta all’altra» è l’esistenza di una societas in cui gli uomini possono parlare diversamente gli uni dagli altri. Se poi qualcuno mi obietta che in questo momento stiamo parlando e ci capiamo, bisogna rispondere che anche il volume sonoro che in questo momento si produce sia un linguaggio, che questo linguaggio sia la lingua italiana, che la lingua italiana sia la stessa che intendo parlare io: tutto questo non è che un cumulo di presupposti e di interpretazioni che si dà per scontato quando, e certo a maggior ragione tra la “gente comune”, si dice che i filosofi la pensano diversamente tra loro.

ID72052 - 12/05/2017 22:36:38 - (Dru) - Emanuele Severino

L’obiezione contro la filosofia andrebbe totalmente ricostruita, perché se si è “veramente in grado” di dimostrare che gli altri esistono e che sono in disaccordo tra di loro, allora il fondamento di questa dimostrazione è messo fuori discussione e fuori discussione è anche ciò che viene dimostrato da questo fondamento. Cioè: o gli altri rimangono un presupposto – e con essi resta semplicemente presupposta anche la volontà (non la certezza, l’ovvietà o l’esperibilità che esistano gli altri e l’opposizione tra gli altri e le discordanze tra i filosofi) che essi esistano, oppure questa stessa volontà viene fondata. Ma riuscire a fondare autenticamente il dissenso altrui rispetto a ciò che lo fonda, significa, con ciò stesso, riconoscere l’insuperabilità del fondamento che riesce ad affermare l’esistenza dell’altro e del suo dissentire.

ID72053 - 12/05/2017 22:38:27 - (Dru) - Emanuele Severino

A mio avviso sul tema dell’altro si naviga con eccessiva tranquillità, senza veramente comprenderne il problema. Sebbene, per citare degli esempi, Locke, l’empirismo logico, ma anche Wittgenstein, sapessero che l’altro è un problema, la questione circa l’esistenza di un tale altro sembra venire costantemente emarginata; prova ne sia che questi stessi hanno tenuto pur sempre come valida l’obiezione contro la sconclusionatezza delle filosofie.

ID72054 - 12/05/2017 22:44:31 - (Dru) - Emanuele Severino

Occorrerebbe a tale proposito un discorso ampio per dimostrare che cosa significa epistéme tes aletheias, “episteme della verità”. Il bisogno fondamentale è quello di salvarsi dalla morte, che diventa lancinante quando la morte viene intesa come annientamento. Va detto che coloro i quali inventano la morte come annientamento sono i Greci, ma è proprio per questo che presso di loro ha inizio la ricerca dell’incontrovertibile. Per salvarsi dalla morte non basta la fede, occorre una salvezza che sia assolutamente indiscutibile, altrimenti l’angoscia prima o poi ritorna. Il dubbio è legato alla fede, dietro alla fede c’è il dubbio. Il bisogno di salvezza, cioè epistéme, è il rimedio che viene evocato proprio perché ad un certo momento entrano in campo le categorie del nulla e dell’angoscia, che non hanno inventato Kierkegaard, né tanto meno Heidegger, bensì i Greci

ID72056 - 12/05/2017 22:46:08 - (Dru) - Emanuele Severino

È per vincere la paura che si evoca l’incontrovertibile: un sapere che non può in nessun senso essere smentito, contro cui non ci si può rivolgere. Sebbene in seguito sia affiorato il problema di quale sia questo sapere che non può essere smentito, la genialità consiste nell’invenzione del concetto di un “sapere incontrovertibile”, un sapere che nessun monarca, dio, potente, come nessun cambiamento di tempo, di civiltà, di costumi possa mettere in questione o rendere relativo, e che é invece “in ogni senso”, “assolutamente”. Dice Aristotele: Ouk endeketai allos eke, «non è possibile che stia altrimenti», «in nessun modo». Se ciò lo chiamiamo “l’incontrovertibile”, allora ogni altro sapere é contro-vertibile – non c’è medio, non c’è un qualche cosa che sia più o meno vicino

ID72058 - 12/05/2017 22:47:54 - (Dru) - Emanuele Severino

all’incontrovertibile. Per quanto possano essere distanti tra loro il più razionale dei discorsi e la più sconclusionata delle fedi all’interno della nostra cultura entrambi, rispetto all’incontrovertibile, sono controvertibili e quindi stanno alla stessa distanza rispetto a quell’infinità del distanziarsi che determina il costituirsi dell’incontrovertibile. Tra i contraddittori, e questo Aristotele lo sapeva molto bene, non c’è medio; allora, che cos’è tutto ciò che non è l’incontrovertibile? È ciò che in un modo o nell’altro, all’interno di certi parametri, può essere negato. Se lo si afferma si è nella fede.Questo non vuol dire che esista un unico tipo di fede, anzi, vuol dire che esistono infiniti tipi di fede: la fede scientifica, la fede religiosa, la fede in cui consiste la logica, la fede in cui consiste la politica, l’economia,

ID72059 - 12/05/2017 22:50:06 - (Dru) - Emanuele Severino (meditate)

l’amore, l’odio… L’incontrovertibile è precisamente ciò che è l’elenchos, la negazione della propria negazione e di tutto ciò che non è l’incontrovertibile, poiché può essere negato qualora sia tenuto fermo all’interno di una condizione.

ID72060 - 12/05/2017 22:57:34 - (Dru) - Domandante ad Emanuele Severino

Come risponde all’obiezione secondo la quale è fede anche quella rivolta all’incontrovertibile? La filosofia ridotta a fede

ID72061 - 12/05/2017 22:58:21 - (Dru) - Emanuele Severino

Questa fede sarebbe innanzitutto una fede, e dunque un controvertibile. Sarebbe una fede specifica, articolata, ma pur sempre una fede. Per di più, questa fede nel raggiungimento dell’incontrovertibile ha sempre caratterizzato la storia della nostra civiltà, a partire dal mito della caverna di Platone, tutto basato sulla fede che l’uomo possa uscire dalla caverna e raggiungere, appunto, l’incontrovertibile. Anche la «fenomenologia dello spirito» di Hegel è una fede che, a partire dalla percezione immediata, arriva al sapere assoluto. Ma questa fede non è affatto un inconnu, bensì è una realtà che ha un ampio credito e ha i suoi riflessi anche nell’epoca contemporanea

ID72062 - 12/05/2017 22:59:16 - (Dru) - Emanuele Severino

Quando Popper sostiene, ad esempio, che noi ci avviciniamo indefinitamente alla verità, egli afferma la fede di poter arrivare, nel cammino, alla verità. L’immagine del viandante che ne deriva ha una particolare credibilità e suggestione, ma è anche totalmente infondata, perché sia il mito della caverna, sia la fenomenologia, sia il viandante, sia l’avvicinamento presuppongono la strada, ilpercorso che dalla non-verità conduce alla verità. Ma è impossibile che la non-verità faccia aprire la porta della verità.Il punto da tener fermo è che tutto ciò che noi possiamo elaborare all’interno della fede nella possibilità di giungere all’incontrovertibile è controvertibile. Quindi percorrendo questa fede camminiamo nella non-verità, il cammino nella non-verità però non può avere come sbocco, conclusione, l’apertura della verità.

ID72063 - 12/05/2017 23:00:11 - (Dru) - Emanuele Severino

Contrariamente al senso evangelico, la verità è proprio una porta bussando alla quale non sarà aperto. È per questo, che sostengo che la verità non è ciò cui si arriva, bensì qualcosa che sta già da sempre al fondo di ognuno di noi: altrimenti non sarebbe possibile “giungervi”.

ID72064 - 12/05/2017 23:17:34 - (Dru) -

Insomma qui Severino ti sta dicendo che stai parlando della "certezza" della fede e in specifico della certezza nella tecnica. Ma la certezza del controvertibile porta inevitabilmente a pensare che è certa solo la morte (Emanule Severino.. L’incontrovertibile è precisamente ciò che è l’elenchos, la negazione della propria negazione e di tutto ciò che non è l’incontrovertibile, poiché può essere negato qualora sia tenuto fermo all’interno di una condizione.). Cioé, in questo scritto, la tua condizione tecnico algoritmica.

ID72065 - 12/05/2017 23:31:51 - (Dru) - La fede (o condizione in cui merti l'incontrovertibile)

Significa appunto annientamento della verità: in quanto la verità non può esser negata perché è l'elenchos o nwgazione della propria negazione, la fede nella verità o volontà di verità è la sua chiusura in una condizione tale che la rende controvertibile. Questa condizione è la morte o annientamento o "rinuncia" alla negazione della propria negazione.

ID72066 - 12/05/2017 23:35:49 - (Dru) - Per esser vera, la fede o certezza

Deve poter dire alla negazione della negazione o elenchos, tu non esisti, in quanto se esistessi potresti tenerti ferma in te o l'"in sé". Ma se tu riuscissi per davvero in questo, in ciò, mi negheresti, saresti ciò che mi impedisce di diventare l'altro, l'annientamento appunto, si che io non sarei controvertibile.

ID72067 - 12/05/2017 23:36:54 - (Dru) -

Questo dire è il dire della certezza o fefe della verità.

ID72068 - 12/05/2017 23:37:30 - (Dru) -

Fefe è fede nella verità.

ID72070 - 13/05/2017 06:42:47 - (Dru) - L'incontrovertibile o verità della certezza

Emanuele Severino. (Fondamentale fondamento della discordanza o filosofia)"o gli altri rimangono un presupposto – e con essi resta semplicemente presupposta anche la volontà (non la certezza, l’ovvietà o l’esperibilità che esistano gli altri e l’opposizione tra gli altri e le discordanze tra i filosofi) che essi esistano, oppure questa stessa volontà viene fondata. Ma riuscire a fondare autenticamente il dissenso altrui rispetto a ciò che lo fonda, significa, con ciò stesso, riconoscere l’insuperabilità del fondamento che riesce ad affermare l’esistenza dell’altro e del suo dissentire."

ID72071 - 13/05/2017 06:52:58 - (Dru) - Direbbe Eraclito

Non puoi discordare che concordando (di discordare) e non puoi concordare che discordando. La certezza di qualcosa, questa la sua verità.. Dove certezza è qualcosa e qualcosa è di qualcosa o tutto.

ID72072 - 13/05/2017 06:56:53 - (Dru) -

Questa la tua fede nelle foglie secche, la certezza di morire.

ID72073 - 13/05/2017 07:26:50 - (Dru) - Voglio insegnarti o dare il segno del tup errare

Perchè le "mie" elucubrazioni non le riesci a vedere come "tue" e perchè sarebbero foglie secche e incerte. Se non poni, se non giudichi ma presupponi la tecnica all'uomo allora ne sarai dominato come è oggi il dominio della scienza e ieri delle religioni.

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