L’incertezza della certezza o la certezza dell’incertezza? L’incertezza ha a che fare col mondo delle decisioni.
Decidere nell’incertezza è un problema molto serio e va affrontato con la massima attenzione
parla di conoscenza limitata perché presume una realtà alla conoscenza e dice che è impossibile la sua descrizione in quanto la realtà non è la conoscenza perché se lo fosse allora sarebbe necessario conoscerla, ma una conoscenza impossibile non è incerte è impossibile. riflettici. infatti dici, o più di un risultato, contraddicendo quel impossibile descrizione dell'esistente: è impossibile la descrizione o un risultato è possibile?
l'attività riduce l'incertezza: ma qui Bauman presume, diversamente da Hubbard, la speranza, dunque l'incertezza è disperazione che se limitata conduce alla felicità. E' per questo che la felicità resta lontana, perché la si spera, cioè non la si può conoscere. DIrei che c'è molto da guarire e da spiegare sul tema dell'incertezza a questi due signori.
significa legare la conoscenza alla realtà, cioè significa sperare che lo si possa fare, cioè significa presupporre che siano slegate.
potresti interrogare la macchina che risponderà a tutte le tue query. Io stesso ho elaborato un algoritmo che a ogni passo, consultando dati nuovi, sulla via da 0 a 1, acquisisce maggiore conoscenza circa un determinato fenomeno. Di fronte a ciò tutte le tue elucubrazioni prendono vie incerte come foglie secche in balia del vento.
Ecco, le doglie secche e il vento sono o sono foglie secche?
Si è incerti (dunque certi) di cosa? E ri chiedo cosa è questo "di cosa"?
Anche se vedo ancora una supremazia dell' approccio frequentista sul bayesiano applicato al machine learning. Ma immagino che fra qualche anno sarà un'algoritmo a dirmi anche quale sia l'algoritmo e l'approccio migliore da impiegare per risolvere un determinato problema. E quindi non pensare più come dici tu. :) Tempi duri per noi mortali...
Sai perfettamente di che si parla. Penso che l'approccio frequentista non sia però applicabile perché certi fenomeni non possono ripetersi a piacere
Ma posterior è piú vera di prior? O la credenza che viene aggiornata e migliorata risulta essere una credenza che in nulla è diversa?
Non proviamo a capire davvero?
Prior: siamo alla presenza di una balena. Posterior: intorno c'é il mare e anche tanti pesci e chi riconosce questo é l'umanità intera che vede il fenomeno, tranne uno che dice di essere alla presenza di un uomo non di una balena.... Il mo doclo mette al manicommio perché pisterioro la valanga di dati confermano di essere in presenza di una balena... Basta questo per conoscere la verità? Asta questo per conoscere il fenomeno stesso? O pensare è qualcosa che esula dal conoscere e dall'approvare posterior?
Prior: siamo alla presenza di una balena. Posterior: intorno c'é il mare e anche tanti pesci e chi riconosce questo é l'umanità intera che vede il fenomeno, tranne uno che dice di essere alla presenza di un uomo non di una balena.... Il mondo, che solo una vista distratta dice essere a posteriori, mette al manicommio la malcapitata verità perché a posteriori la valanga di dati confermano di essere in presenza di una balena... Basta questo per conoscere la verità? BAsta (dove il bastare indica la quantità)questo per conoscere il fenomeno stesso? O pensare è qualcosa che esula dal conoscere e dall'approvare (a) posterior?
Il concetto di tolleranza è un concetto sociale, non c’è tolleranza verso se stessi, se non in un senso molto diverso da quello che qui stiamo usando. Ma allora, l’obiezione che normalmente si fa alle filosofie «che sono tante e in contrapposizione» è profondamente scorretta perché, specialmente da parte dell’uomo della strada, si considera assodata un’affermazione tutta da problematizzare, ovvero che esista una societas, un’affermazione problematica e quindi da fondare (che i miei scritti risolvono con La Gloria, Adelphi 2001, e Oltrepassare, Adelphi 2007). Per questo ho sostenuto che il concetto di tolleranza è di tipo sociale e richiede che esistano molteplici individui, uomini, e che in base ai loro comportamenti essi vengano interpretati in un certo modo da sé e dagli altri.
Quando dico che esistono molte filosofie intendo che esistono molti uomini che la pensano diversamente gli uni dagli altri, ma anche che l’esistenza stessa dell’altro è un problema (problema che rimanetale nella “nostra” cultura). Esiste una configurazione visiva, tattile, un comportamento linguistico, che nel suo insieme fa reagire ciò che viene chiamato “me stesso” in modo da dire: ecco, questo è un uomo. Ma l’uomo non si riduce alla propria struttura “robotica”: essa è in grado di ricostruire ciò che noi vediamo, cioè quell’insieme di eventi che interpretiamo come l’“altro”, ma questo non è riducibile alle sue componenti “meccaniche”, poiché conserva in sé quell’interiorità che noi speriamo di sondare.
Allora il presupposto forte che sta alla base dell’affermazione «esistono molte filosofie una contrapposta all’altra» è l’esistenza di una societas in cui gli uomini possono parlare diversamente gli uni dagli altri. Se poi qualcuno mi obietta che in questo momento stiamo parlando e ci capiamo, bisogna rispondere che anche il volume sonoro che in questo momento si produce sia un linguaggio, che questo linguaggio sia la lingua italiana, che la lingua italiana sia la stessa che intendo parlare io: tutto questo non è che un cumulo di presupposti e di interpretazioni che si dà per scontato quando, e certo a maggior ragione tra la “gente comune”, si dice che i filosofi la pensano diversamente tra loro.
L’obiezione contro la filosofia andrebbe totalmente ricostruita, perché se si è “veramente in grado” di dimostrare che gli altri esistono e che sono in disaccordo tra di loro, allora il fondamento di questa dimostrazione è messo fuori discussione e fuori discussione è anche ciò che viene dimostrato da questo fondamento. Cioè: o gli altri rimangono un presupposto – e con essi resta semplicemente presupposta anche la volontà (non la certezza, l’ovvietà o l’esperibilità che esistano gli altri e l’opposizione tra gli altri e le discordanze tra i filosofi) che essi esistano, oppure questa stessa volontà viene fondata. Ma riuscire a fondare autenticamente il dissenso altrui rispetto a ciò che lo fonda, significa, con ciò stesso, riconoscere l’insuperabilità del fondamento che riesce ad affermare l’esistenza dell’altro e del suo dissentire.
A mio avviso sul tema dell’altro si naviga con eccessiva tranquillità, senza veramente comprenderne il problema. Sebbene, per citare degli esempi, Locke, l’empirismo logico, ma anche Wittgenstein, sapessero che l’altro è un problema, la questione circa l’esistenza di un tale altro sembra venire costantemente emarginata; prova ne sia che questi stessi hanno tenuto pur sempre come valida l’obiezione contro la sconclusionatezza delle filosofie.
Occorrerebbe a tale proposito un discorso ampio per dimostrare che cosa significa epistéme tes aletheias, “episteme della verità”. Il bisogno fondamentale è quello di salvarsi dalla morte, che diventa lancinante quando la morte viene intesa come annientamento. Va detto che coloro i quali inventano la morte come annientamento sono i Greci, ma è proprio per questo che presso di loro ha inizio la ricerca dell’incontrovertibile. Per salvarsi dalla morte non basta la fede, occorre una salvezza che sia assolutamente indiscutibile, altrimenti l’angoscia prima o poi ritorna. Il dubbio è legato alla fede, dietro alla fede c’è il dubbio. Il bisogno di salvezza, cioè epistéme, è il rimedio che viene evocato proprio perché ad un certo momento entrano in campo le categorie del nulla e dell’angoscia, che non hanno inventato Kierkegaard, né tanto meno Heidegger, bensì i Greci
È per vincere la paura che si evoca l’incontrovertibile: un sapere che non può in nessun senso essere smentito, contro cui non ci si può rivolgere. Sebbene in seguito sia affiorato il problema di quale sia questo sapere che non può essere smentito, la genialità consiste nell’invenzione del concetto di un “sapere incontrovertibile”, un sapere che nessun monarca, dio, potente, come nessun cambiamento di tempo, di civiltà, di costumi possa mettere in questione o rendere relativo, e che é invece “in ogni senso”, “assolutamente”. Dice Aristotele: Ouk endeketai allos eke, «non è possibile che stia altrimenti», «in nessun modo». Se ciò lo chiamiamo “l’incontrovertibile”, allora ogni altro sapere é contro-vertibile – non c’è medio, non c’è un qualche cosa che sia più o meno vicino
all’incontrovertibile. Per quanto possano essere distanti tra loro il più razionale dei discorsi e la più sconclusionata delle fedi all’interno della nostra cultura entrambi, rispetto all’incontrovertibile, sono controvertibili e quindi stanno alla stessa distanza rispetto a quell’infinità del distanziarsi che determina il costituirsi dell’incontrovertibile. Tra i contraddittori, e questo Aristotele lo sapeva molto bene, non c’è medio; allora, che cos’è tutto ciò che non è l’incontrovertibile? È ciò che in un modo o nell’altro, all’interno di certi parametri, può essere negato. Se lo si afferma si è nella fede.Questo non vuol dire che esista un unico tipo di fede, anzi, vuol dire che esistono infiniti tipi di fede: la fede scientifica, la fede religiosa, la fede in cui consiste la logica, la fede in cui consiste la politica, l’economia,
l’amore, l’odio… L’incontrovertibile è precisamente ciò che è l’elenchos, la negazione della propria negazione e di tutto ciò che non è l’incontrovertibile, poiché può essere negato qualora sia tenuto fermo all’interno di una condizione.
Come risponde all’obiezione secondo la quale è fede anche quella rivolta all’incontrovertibile? La filosofia ridotta a fede
Questa fede sarebbe innanzitutto una fede, e dunque un controvertibile. Sarebbe una fede specifica, articolata, ma pur sempre una fede. Per di più, questa fede nel raggiungimento dell’incontrovertibile ha sempre caratterizzato la storia della nostra civiltà, a partire dal mito della caverna di Platone, tutto basato sulla fede che l’uomo possa uscire dalla caverna e raggiungere, appunto, l’incontrovertibile. Anche la «fenomenologia dello spirito» di Hegel è una fede che, a partire dalla percezione immediata, arriva al sapere assoluto. Ma questa fede non è affatto un inconnu, bensì è una realtà che ha un ampio credito e ha i suoi riflessi anche nell’epoca contemporanea
Quando Popper sostiene, ad esempio, che noi ci avviciniamo indefinitamente alla verità, egli afferma la fede di poter arrivare, nel cammino, alla verità. L’immagine del viandante che ne deriva ha una particolare credibilità e suggestione, ma è anche totalmente infondata, perché sia il mito della caverna, sia la fenomenologia, sia il viandante, sia l’avvicinamento presuppongono la strada, ilpercorso che dalla non-verità conduce alla verità. Ma è impossibile che la non-verità faccia aprire la porta della verità.Il punto da tener fermo è che tutto ciò che noi possiamo elaborare all’interno della fede nella possibilità di giungere all’incontrovertibile è controvertibile. Quindi percorrendo questa fede camminiamo nella non-verità, il cammino nella non-verità però non può avere come sbocco, conclusione, l’apertura della verità.
Contrariamente al senso evangelico, la verità è proprio una porta bussando alla quale non sarà aperto. È per questo, che sostengo che la verità non è ciò cui si arriva, bensì qualcosa che sta già da sempre al fondo di ognuno di noi: altrimenti non sarebbe possibile “giungervi”.
Insomma qui Severino ti sta dicendo che stai parlando della "certezza" della fede e in specifico della certezza nella tecnica. Ma la certezza del controvertibile porta inevitabilmente a pensare che è certa solo la morte (Emanule Severino.. L’incontrovertibile è precisamente ciò che è l’elenchos, la negazione della propria negazione e di tutto ciò che non è l’incontrovertibile, poiché può essere negato qualora sia tenuto fermo all’interno di una condizione.). Cioé, in questo scritto, la tua condizione tecnico algoritmica.
Significa appunto annientamento della verità: in quanto la verità non può esser negata perché è l'elenchos o nwgazione della propria negazione, la fede nella verità o volontà di verità è la sua chiusura in una condizione tale che la rende controvertibile. Questa condizione è la morte o annientamento o "rinuncia" alla negazione della propria negazione.
Deve poter dire alla negazione della negazione o elenchos, tu non esisti, in quanto se esistessi potresti tenerti ferma in te o l'"in sé". Ma se tu riuscissi per davvero in questo, in ciò, mi negheresti, saresti ciò che mi impedisce di diventare l'altro, l'annientamento appunto, si che io non sarei controvertibile.
Questo dire è il dire della certezza o fefe della verità.
Fefe è fede nella verità.
Emanuele Severino. (Fondamentale fondamento della discordanza o filosofia)"o gli altri rimangono un presupposto – e con essi resta semplicemente presupposta anche la volontà (non la certezza, l’ovvietà o l’esperibilità che esistano gli altri e l’opposizione tra gli altri e le discordanze tra i filosofi) che essi esistano, oppure questa stessa volontà viene fondata. Ma riuscire a fondare autenticamente il dissenso altrui rispetto a ciò che lo fonda, significa, con ciò stesso, riconoscere l’insuperabilità del fondamento che riesce ad affermare l’esistenza dell’altro e del suo dissentire."
Non puoi discordare che concordando (di discordare) e non puoi concordare che discordando. La certezza di qualcosa, questa la sua verità.. Dove certezza è qualcosa e qualcosa è di qualcosa o tutto.
Questa la tua fede nelle foglie secche, la certezza di morire.
Perchè le "mie" elucubrazioni non le riesci a vedere come "tue" e perchè sarebbero foglie secche e incerte. Se non poni, se non giudichi ma presupponi la tecnica all'uomo allora ne sarai dominato come è oggi il dominio della scienza e ieri delle religioni.
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ID72024 - 11/05/2017 17:01:22 - (Dru) - "se fosse vero significherebbe che tutto ciò che non è morte è incerto"..dici
e io ti domando e se ti mostrassi che certo e incerto sono lo stesso? come diventerebbe la tua sopra? "se fosse vero significherebbe che tutto ciò che non è morte è vero. potresti ribattere che manca un incomodo a "certo"="incerto"diverso da vero e diverso da nulla.ma Certo e incerto è ciò che appare della fede o dubbio, la loro verità dunque, ciò che non appare e non può apparire è il loro contenuto, difatti tutto ciò che non è morte è dunque vero.