26 Marzo 2017, 10.15
Gavardo
Maestro John

Passeggiando in bicicletta accanto a te

di John Comini

È primavera, svegliatevi bambini! Tanti vengono a scuola in bicicletta, alcuni con bici nuove e scintillanti, altri con mezzi scassati ma simpatici


Alcuni vanno per strada rispettando le regole, altri svolazzano qua e là ignari del pericolo. Proprio alcuni giorni fa due agenti della Polstrada di Salò sono entrati nelle classi  per una lezione di educazione stradale. Ho visto i bambini letteralmente affascinati dalle varie sollecitazioni dei due agenti (in divisa fiammante), che in modo simpatico e coinvolgente hanno mostrato i principali cartelli e le regole della strada, interagendo con gli scolari e “vestendo” alcuni bambini da vigile. Una lezione davvero unica e “salvavita”! Quand’ero bambino vedevo passare decine e decine di persone che andavano a lavorare al Lanificio, era tutto uno scampanellare, sembrava il paese dei campanelli (nel senso del suono, eh!). In ogni casa c’erano una o più biciclette (Bianchi, Atala, Legnano). Io avevo una Zecchini bianconera (sic!) che mi aveva regalato mio fratello Franco (la usava per andare a lavorare alla Falk di Vobarno, prima di vendere le scarpe).  Se bucavo andavo dal mitico Mario Rizzi (papà di Paola, la Signora Maria) che aveva il negozio in piazza della Chiesa. Paola mi racconta che il papà diceva allegramente alle donne che gli portavano la bici: “Siura, una pompadina?” 

Nel dopoguerra l’Italia viaggiava su una bicicletta. Il grande Francesco Guccini ricorda il rito del meccanico in caso di foratura: “Prendeva il tubolare, lo immergeva in una tinozza d’acqua, vedeva il punto in cui sfiatava. Allora lo estraeva, lo asciugava, passava un po’ di carta vetrata attorno al foro e vi attaccava, col mastice, una pezzetta di gomma presa da un tubolare vecchio. Poi rimetteva il tubolare aggiustato dentro il copertone e, dopo alcuni colpi della pompa che era assicurata al telaio con un paio di ganci, la bici era pronta, per nuove scorrerie… Imparare ad andare in bicicletta era una delle prime prove importanti e necessarie che la vita ti parava davanti, come, qualche anno dopo, imparare a ballare. Il grande cimento avveniva verso i cinque, sei anni, ed era di mostruosa difficoltà, perché pochissimi avevano le biciclettine con le ruotine attaccate alla ruota posteriore, si partiva subito con una bicicletta da adulto. Ma dopo un po’, qualche ruzzolone, qualche ammaccatura a te e al mezzo, correvi via che sembravi unto ed entravi a far parte del vasto mondo dei velocipedisti, imparando addirittura (massimo del coraggio) a pedalare senza mani… Si dice che noi italiani siamo soliti dividerci in due fazioni (e, naturalmente, in venti sotto-fazioni). Dai guelfi e ghibellini in poi, se c’è un partito ne nasce un altro esattamente contrario, questo nel bene e nel male, nel giusto o nello sbagliato che sia. I termini della questione erano due grandi ciclisti, forse i più grandi che abbiamo mai avuto, almeno nel favore popolare: Gino Bartali e Fausto Coppi. Si poteva essere, insomma, comunisti o democristiani, cattolici o laici, ma era altrettanto importante sapere se si era “coppiani o bartaliani.”

“Farà piacere
un bel mazzo di rose
e anche il rumore che fa il cellophane
ma una birra fa gola di più
in questo giorno appiccicoso di caucciù…
Sono seduto in cima a un paracarro
e sto pensando agli affari miei
tra una moto e l'altra c'è un silenzio
che descrivere non saprei.
Oh quanta strada nei miei sandali
quanta ne avrà fatta Bartali
quel naso triste come una salita
quegli occhi allegri da italiano in gita
e i francesi ci rispettano
che le balle ancor gli girano
e tu mi fai dobbiamo andare al cine
vai al cine vacci tu…” (Paolo Conte)

Gino Bartali, toscano doc (Ginettaccio era un suo soprannome) rischiò la vita per salvare quella dei perseguitati dai campi di concentramento. Usando la sua bicicletta per nascondere documenti falsi, il campione salvò ottocento persone. Quando il grande Coppi morì, gli dedicò queste parole: “A Fausto debbo una parte della mia popolarità. Io e te ci si voleva bene. Gli altri ci hanno imposto per anni la parte del cane e del gatto. Te ne sei andato nella tua ultima fuga. Ora capisco quanto ti volevo bene. Ti sei portato via una parte di me: venti anni di battaglie e quanto altro. Mi sento più vecchio. Pace a te, Fausto: che nessuno ha mai chiamato vecchio.” Ginettaccio diceva sempre una frase diventata poi proverbiale “L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”. Come non dargli torto, allora come adesso?
E già che parliamo di campioni, come posso dimenticare il “Pirata” Marco Pantani? Tutta l’Italia sportiva ha sognato con lui, in maglia rosa o con la mitica maglia gialla del Tour de France. Purtroppo nella vita di Pantani è arrivata di colpo la notte. Pantani era un ciclista vero, di quelli che portano la bici in camera quando sono in albergo. Resta il migliore scalatore dei tempi passati, presenti e forse futuri. Le sue imprese sono state cantate da molti artisti, come gli Stadio…

“Ma è che alle volte si perde la strada
perché prima o poi ci son brutti momenti
non so neppure se ero un pirata  strappavo la vita col cuore e coi denti...
E ora mi alzo sui pedali come quando ero bambino
dopo un po’ prendevo il volo dal cancello del giardino
e mio nonno mi aspettava senza dire una parola
perché io e la bicicletta siamo una cosa sola…
mi rialzo sui pedali ricomincio la fatica
poi abbraccio i miei gregari, passo in cima alla salita
perché quelli come noi hanno voglia di sognare
io dal passo del Pordoi chiudo gli occhi e vedo il mare…
…in fondo una salita è una cosa anche normale
assomiglia un po’ alla vita devi sempre un po’ lottare
mi rialzo sui pedali con il sole sulla faccia
e mi tiro su gli occhiali al traguardo della tappa…
Io sono un campione questo lo so, come tutti aspetto il domani
in questo posto dove io sto chiedete di Marco, Marco Pantani”

All’oratorio, quando c’erano la festa di San Luigi, c’erano le gare di ciclocross (vedi foto in bianco e nero, con Ivano Maioli) in cui eccelleva il grande Cece Polvara, ora vicario del vescovo. A lui ho dedicato una filastrocca durante la festa organizzata dai suoi coscritti per il suo 40° di sacerdozio…

“Narra la leggenda che sin da bambino
mentre tuo padre con maestria suonava il mandolino
tu scorrazzavi per i prati con la bici
sempre circondato dall’affetto dei tuoi e degli amici.
Quando sulla strada sfrecciavi per Gavardo
la gente si diceva con ammirato sguardo:
“Ma chi è quel corridore che fila così veloce?”
“Ma come, non lo sai? È il Polvara Cece!”
Pianure e caedagne ti erano amiche
ma non disdegnavi discese e risalite.
All’oratorio avevi una parola buona con tutti
ogni incontro era un’occasione che dava frutti.
A scuola tra un compito ed un’interrogazione
trovavi sempre il tempo per la tua passione
allora salivi in sella e pedalando in tutta fretta
ripassavi la lezione più veloce di una motoretta.
Come un novello Bartali eri sempre contento
mai un’arrabbiatura, mai un brontolamento
e quando i tuoi ti chiesero “Da grande che vuoi fare?”
dicesti “Sacerdote voglio diventare!”
Già da ragazzino avesti la vocazione
e per diventar prete fremevi di passione
ma per la famiglia dovevi maturare
e le scuole medie gavardesi dovetti frequentare. 
Narrano le cronache, e non l’ho inventato,
che alle festine da Mora Aristide eri invitato
alla taverna si ballavano musiche più o meno  caste
ma tu non ballavi e portavi le paste.
Finita la terza media, Cesare annuncia che intende andare in seminario,
non in quello diocesano, ma in quello del PIME missionario.
E finalmente per la Toscana sei partito
e un grande vuoto in tutti hai lasciato.
Venivi a casa solo a Natale, a Pasqua e d’estate sotto il solleone
arrivavi all’oratorio pimpantissimo e volevi giocare a pallone…
E così il caro Cesare teologia per anni ha studiato
e nel giugno del 76 prete è stato ordinato.
All’inizio il Vescovo ti ordinò di fare
a Fiumicello il vice cooperatore
e subito dall’affetto della gente fosti circondato
e da tutto il popolo eri apprezzato.
Ma come si sa tutto il mondo ha bisogno d’amore
e un grande desiderio covavi nel tuo cuore
Gesù aveva detto ai suoi di andar fra la gente
a vivere il Vangelo con il cuore e con la mente.
Allora con sorpresa di tutti l’aereo prendesti
e con don Flavio per l’Uruguay partisti.
Furono anno intensi e tra mille difficoltà
vivesti con cuore puro e con generosità
e spiegavi agli indios un nuovo modo di pregare
passando in bici nei villaggi al grido di “Vangelo e pedalare!”
Dopo gli anni in cui volevi far l’americano
sei tornato in Italia parroco di Bargnano e Frontignano
ma dopo 3 anni il Vescovo ti ha chiamato
pastore di anime a San Paolo sei stato nominato.
Ubbidiente Don Cece le valigie preparò
e il portoghese studiò e ristudiò
“Chissà che caldo che in Brasile avrai”
Gli disse la mamma, ma quando tornerai?
prendi su la flanella di lana, o figlio beniamino
perché a San Paolo do Brasil la notte fa freschino.
Ma non era il San Paolo che aveva capito
ma nella bassa bresciana era stato inviato…
Un caldo infernale, campi da arare, mosche da ammazzare,
forse era meglio fare il missionario nella giungla tropicale.
Poi un anno a Scarpizzolo, poi S. Angela Merici in città
e il nostro don Cesare accettava tutto con gran semplicità
finché un bel giorno monsignore fu nominato
e provicario generale del vescovo fu designato.
Ma anche con questo incarico importante
tra mille cose da decidere e le scelte che son tante,
dopo aver celebrato la Messa nella parrocchiale
dopo aver con devozione letto le parole del messale,
ecco il monsignore che corre per le scale
e con un balzo felino sale in sella e via, pedalare!
“Ad multos annos”, ora ti auguriamo
e poiché per miracolo ora un Papa argentino abbiamo
ci è lecito sognare di vederti un giorno eletto
assiso su una bianca bici: Papa Cece Primo Benedetto.
Caro don Cece, siamo stati fortunati ad averti conosciuto
il tuo sorriso il viaggio della vita ha illuminato.
Ti ringraziamo tutti per l’amore che ci hai dato
ed è il tesoro più grande che abbiamo conservato.”

Mi ricordo quando passava il Giro d’Italia da Gavardo. Ore prima era tutto un via vai di furgoni o auto pubblicitarie che regalavano berrettini, bottiglie e magliette. La strada era invasa da réclame di carta, pareva carnevale. E quando passavano i corridori non riuscivi nemmeno a vederli, tanto erano veloci. Il gruppo creava una specie di vento che ti spostava, la gente gridava, io gridavo, ogni tanto qualche corridore lanciava la borraccia e allora erano lotte per accaparrarsela. Se qualche corridore era staccato, tutti lo incitavano urlando “Dai che tei riett” ed era una festa mobile.
Io non sono un ciclista provetto. Non ho mai amato le salite, dopo due metri la lingua tocca terra. Mi è sempre piaciuto pedalare tra le morbide colline, in mezzo al verde e su strade non troppo battute dalle macchine. Di solito viaggio da solo, e mentre pedalo penso. Qualche volta sono andato con mio cognato Giovanni Avanzi, lui era gentile e mi incoraggiava, ma era troppo in forma per me, anche se ho molti anni di meno (grande Giovanni, hai un fisico da vero atleta!). Ho viaggiato altre volte in compagnia dell’amico Tano Mora, anche lui molto, troppo bravo per me, e mi incoraggiava quando la salita era troppo “in piedi” e mi diceva “Dai John che te ghe la fett!”. Molte volte sono andato in bici accompagnato dall’amico Antenore Taraborelli, soprattutto d’estate, quando trascorriamo qualche giorno a Cinquale (vicino a Forte dei Marmi). Lì ci sono salite molto impegnative, ma Antenore è sempre gentile e premuroso e mi dà consigli per il cambio (ma io in quei frangenti vorrei fare cambio con una moto). Un giorno siamo saliti a Sant’Anna di Stazzema, luogo di uno degli eccidi più spaventosi della II guerra mondiale, nel quale furono uccise in poche ore 560 persone, in gran parte donne e bambini. Abbiamo visitato la chiesetta dove ci sono le foto delle vittime innocenti di quella strage nazi-fascista. La più piccola si chiamava Anna, aveva venti giorni di vita, salita in cielo insieme alla mamma…Perché l’uomo è così cattivo? Perché c’è così tanto male nel mondo? Fortuna che c’è gente che, come canta Ligabue, “mette in circolo l’amore”…

“Hai cercato di capire e non hai capito ancora se di capire di finisce mai
hai provato a far capire con tutta la tua voce
anche solo un pezzo di quello che sei
con la rabbia ci si nasce o ci si diventa
tu che sei un esperto non lo sai
perché quello che ti spacca ti fa fuori dentro
forse parte proprio da chi sei
Metti in circolo il tuo amore
come quando dici "perché no?"
metti in circolo il tuo amore
come quando ammetti "non lo so"
Quante vite non capisci e quindi non sopporti
perché ti sembra non capiscan te
quanti generi di pesci e di correnti forti
perché 'sto mare sia come vuoi te.
Metti in circolo il tuo amore…”

Ho avuto la straordinaria fortuna di conoscere il gruppo ciclistico dell’Avis, un bella compagnia di persone che, oltre all’esperienza di solidarietà della donazione di sangue, ama percorrere in mountain bike le strade della provincia e non solo. La bicicletta può diventare un mezzo per instaurare un rapporto di umana partecipazione e di condivisione di valori universali come quelli che da sempre propugna l’Avis.
Come dice il poeta, “il bello non è arrivare, il bello è viaggiare”...Tutte le domeniche si radunano e partono per mete che cambiano continuamente. Poi ci sono eventi particolari, come il pellegrinaggio del 2000 a Roma, in occasione dell’Anno Santo, poi rifatto lo scorso anno, utilizzando la “Via Francigena”, cercando di utilizzare percorsi su piste ciclabili e strade secondarie. O come il pellegrinaggio a Santiago del 2009, il magico Cammino fatto in bicicletta, partendo da Roncisvalle fino a Santiago di Compostela, passando attraverso i borghi che centinaia di anni hanno reso fonte di preghiera, di riflessione profonda, di speranza. Ecco allora che la fatica, il solleone o la pioggia sferzante, sono diventate per i ciclisti non soltanto elementi da affrontare come sfida, ma momenti che aprono l’animo alla solidarietà, all’amicizia, a ristabilire un dialogo con se stessi, con la natura, condividendo con gli altri la magia di quella scoperta.
Pedalando s’impara a vivere le emozioni ed a lasciarle entrare dolcemente nell’animo, a vedere le cose da un altro punto di vista, a sentire la vita che scorre secondo le stagioni del cuore, a percepire l’affetto degli altri, l’amicizia della gente che ti circonda, l’amore di chi ti sta vicino e di chi a casa ti sta pensando.

Cesare Pavese
si chiedeva: “A che serve passare dei giorni se non si ricordano?” E il gruppo ciclistico dell’Avis ne ha di cose da ricordare! Le giornate di splendido sole in cui una stupenda distesa di altopiani si tinge di tutte le gradazioni del giallo e del marrone, si mescola a macchie di vigneti dal verde intenso e si confonde con un cielo azzurro come non mai. Il paesaggio fantastico, che ti coglie impreparato nonostante tutte le immagini viste su internet. Lo stupore ti assale davanti ad una distesa sconfinata, e non importa se sudi e sbuffi, dentro di te porti la felicità, ed è una cosa che non pesa, anzi, ti rigenera.

“Passeggiando in bicicletta accanto a te/ pedalare senza fretta la domenica mattina…” canta Cocciante. Il gruppo è capitanato da Arturo Tebaldini, una persona meravigliosa, che ha l’unico difetto di avere una fede interista…ma nessuno è perfetto! Se c’è una sosta, spesso si può visitare un centro storico o una chiesa, dai 40 gradi passi al fresco del corpo e dell’anima, e allora le statue e i dipinti sembrano fatti per accarezzarti, consolarti, farti capire che lassù qualcuno ti ama. E poi via, sugli immensi altopiani, immense distese di campi coltivati a grano basso ormai già raccolto, spazi infiniti che vorresti scolpire nella memoria perché “la bellezza ci salverà”.
Un panino, una birra e poi via sui pedali, con le maglie dell’Avis in bella mostra…

Il gruppo è formato da Agnoletto Chiara, mio nipote Avanzi Sergio con Ballerini Giuliana, Barbieri Ermanno, Baresi Gianluigi detto Gigio con Casari Eleonora detta Leo, Bergomi Giovanni, Bergomi Mauro, Bergomi Roberto, Bignotti Raimondo, Bortolotti Bortolo grande juventino col baffo, Busi Barbara con Merlin Paolo, Calosi Rossella detta Ross, Cama Giovanni con Grumi Dorina, Comini Raffaele detto Mirko, Damiata Giovanni detto “el duturì”, Dubinelli Alberto, Dusi Daniele, Fabbri Narciso, Ferretti Donata detta Doni, Festa Diego, Filippini Giovanni detto “el dutur Gianni”, Fondrieschi Claudio con Venturelli Carla, Goffi Angelo detto Angiolino, Grumi Giuseppe, Guatta Giovanni, Lavo Barnaba, Leali Giuseppe, Maccarinelli Eraldo detto Gerry, Maioli Davide, Maioli Ilario detto Ivano, Micheli Aldo, Moreni Germana con Massimo Scalvini, Ortolani Teresina detta Resi, Parolini Fiorenzo, Persavalli Francesco, Podavini Giovanni detto “Gianni” con Goffi Laura, Romano Ilario, Tapparo Stefano, Taraborelli Antenore con il figlio Giovanni, Tebaldini Arturo con mia nipote Zucchetti Carla, Tebaldini Claudio detto Ciba, Terrasi G. Battista marito di Livia Federici,  Venturelli Carmela, Vezzola Valter e mio nipote Zucchetti Bruno.
Tu li pensi uno ad uno e sai che vuoi loro un mondo di bene…

Dimenticavo: io questi viaggi li ho fatti guidando il furgone: “ghò mia scritt giocondo!” Del resto, ogni gruppo ciclistico che si rispetti deve avere un mezzo attrezzato al seguito, o no? I furgonauti cantano, ridono, si collegano con i cellulari ai ciclisti, chiacchierano… C’è mia moglie, sempre accanto a me (ma sempre sempre sempre, eh!)…C’è mia nipote Carla Zucchetti che si collega continuamente via smartphone con il “suo” Arturo, che a volte finge di non sentirla e pedala libero e felice. C’è la simpatica Resi, c’è la Simonetta detta Simo che contemporaneamente parla e sbadiglia, non ha tempo di far le due cose separate “perché ho fretta di vivere”…C’è la sua dolce figlia Giulia, che conosce tutto l’universo, c’è il dottor Gianni Filippini, sempre premuroso e pronto ad intervenire in ogni occasione. E poi c’era la Domenica, sempre gentile e veloce a preparare i panini per i ciclisti. Quando dopo ore e ore di pedalate domandi ai ciclisti se han faticato, loro rispondono solo che è stato bello…e sono davvero felici!

Quando la sera si cena, spesso rischio di restarci secco per le gran risate. Nel gruppo ci sono dei mattatori che inventano battute a raffica. Qualcuno si piega in due dal ridere, anche le cameriere. Oppure c’è dell’umorismo involontario, come quella volta in Spagna, quando Walter e Ciba cercavano di ordinare degli stuzzichini e dopo un quarto d’ora che biascicavano lo spagnolo hanno scoperto, come nella più classica delle barzellette, che il barman conosceva benissimo l’italiano perché era stato una vita in Svizzera…È impossibile parlare delle “mattate” in camera del trio Ciba-Sergio-Walter, che una sera hanno fatto tracimare l’acqua dalla vasca da bagno rischiando di inondare l’albergo, che han gustato decine di yogurt e di minestre di verdure e (per sillogismo) hanno creato strane correnti d’aria (sentita da Walter: “Italiani, spaghetti, mafia e quaiott”…per la traduzione, passare una notte in camera con loro)…

È rimasta celebre un’altra frase di Walter, che quando qualcuno gli ha detto che si è abbronzata solo la gamba sinistra, perché la più esposta al sole, ha detto: “Vorà dì che ghòm de turnà en Italia en bici, cosè se abronzom anche l’altra gamba…” Alè España!
Durante il pellegrinaggio a Roma il pensiero è andato a Dario Persavalli, l’amico di Villanuova che ci ha lasciato: la sua immagine è stata portata fino a Roma, sul furgone, e ogni ciclista aveva sul braccio la foto del suo splendido sorriso. E siamo certi che da lassù sta pedalando ancora, sulle infinite strade del cielo.

È impossibile, davvero, raccontare l’emozione vissuta da tutti quando siamo arrivati a Roma. Bastava vedere i volti dei nostri ciclisti per capire il piccolo, grande significato del Pellegrinaggio. Alcuni avevano gli occhi umidi e se ne stavano in disparte, alcuni passavano da un ciclista all’altro per ringraziarlo con una forte stretta di mano, alcuni si gettavano a terra e se ne stavano poi immobili ad ammirare la facciata di San Pietro, alcuni si abbracciavano sfiniti e felici, alcuni si fotografavano con selfie da ricordare per sempre, alcuni pensavano solitari in mezzo a quella folla immensa, alcuni dentro di sé pregavano… Ognuno in cuor suo avrà ripercorso quei giorni, densi di piccole e grandi cose, ognuno avrà percepito il senso del tempo trascorso insieme…

“Il viaggio
non finisce mai…
Bisogna vedere quello che non si è visto,
vedere di nuovo quel che si è già visto,
vedere in primavera quel che si è visto in estate,
vedere di giorno quel che si è visto di notte,
con il sole dove la prima volta pioveva,
vedere le messi verdi, il frutto maturo,
la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era.
Bisogna ritornare sui passi già dati,
per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini.” (José Saramago)

Vorrei concludere con l’immagine di un ragazzo che non ho conosciuto, ma ogni volta vedo la sua foto, camminando sulla Via Romana che collega Gavardo con Villanuova. Si chiama Danilo, a causa di una tragica caduta in bici ci ha lasciato alcuni anni fa. Tutte le volte che passo davanti alla sua immagine, gli mando un pensiero ed una preghiera. E penso che tutti quelli che passano da lì facciano lo stesso. Vorrei con queste povere parole consolare l’infinita tristezza della sua ragazza. L’avevo conosciuta quand’era bambina, insieme a sua sorella Sara, figlie gemelle della mia dolce collega Giuliana. Proprio in questi giorni Sara (con Paolo) ha avuto Alma, una bellissima bambina che Danilo da lassù proteggerà ed amerà. Sempre e per sempre.

“Ma se ti svegli e hai ancora paura ridammi la mano/ cosa importa se sono caduto se sono lontano / perché domani sarà un giorno lungo e senza parole / perché domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole…”  (Fabrizio De Andrè)

“Vorrei incontrarti fra cent'anni, tu pensa al mondo fra cent' anni
ritroverò i tuoi occhi neri tra milioni di occhi neri
saran belli più di ieri…
Vorrei incontrarti fra cent’anni,  combatterò dalla tua parte
perché' tale è il mio amore che per il tuo bene sopporterei ogni male…
Vorrei incontrarti fra cent' anni come un gabbiano volerò
sarò felice in mezzo al vento…
chiudi gli occhi dolcemente e non ti preoccupare
entra nel mio cuore…
Vorrei incontrarti fra cent' anni, tu pensa al mondo fra cent' anni
ritroverò i tuoi occhi neri tra milioni di occhi neri
saran belli più di ieri…” (Ron)

Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo

maestro John Comini

In foto:
. Cesare Polvara seguito da Ivano Maioli
. Gruppo Ciclistico Avis sul Cammino di Santiago
. Danilo



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