24 Gennaio 2017, 18.27
Ritratti

Un personale ricordo di Zygmunt Bauman

di Valerio Corradi

Si è spento il 9 gennaio scorso il sociologo Zygmunt Bauman, noto per essere il teorico della “società liquida”. Un mio personale ricordo dello studioso offre lo spunto per riprendere alcuni capisaldi del suo pensiero


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Ho avuto modo di incontrare Bauman, per la prima volta, in occasione dell’edizione 2008 del World Social Summit “Fearless: dialoghi per combattere le paure planetarie” tenutosi a Roma dal 24 al 26 settembre 2008.

In compagnia della sua immancabile pipa, durante un break della sessione del convegno, passeggiava nel giardino della splendida villa Miani. Persona molto cordiale, dimostrava grande disponibilità a dialogare anche con i giovani studiosi che gli si avvicinavano, non senza timore reverenziale, per interrogarlo sui contenuti del suo pensiero. Lui, in tutta tranquillità, rispondeva loro col fare di un nonno che si lascia coinvolgere dalle vicende dei suoi nipoti.    

Non mi sembrava possibile avere l’opportunità di incontrare faccia a faccia e senza filtri, anche solo per pochi secondi, uno dei maggior intellettuali del nostro tempo.

Era ben lontano dalla figura che mi attendevo, dell’intellettuale celebre e un po’ “snob” che seleziona i suoi interlocutori. Dava l’impressione di volersi immergere negli incontri fugaci e inattesi in cui si trovava con la costante curiosità che solo un fine conoscitore della condizione umana può possedere. Conserverò per sempre il ricordo di quel mix di buon umore, umiltà, nuvole di fumo e sguardo profondo che testimoniava come in lui l’uomo e il sociologo fossero una cosa sola.  

Nato a Poznan in Polonia nel 1925, emigrò nel 1939 con la propria famiglia di origine ebraica in URSS per sfuggire alla persecuzione contro gli ebrei attuata dal regime polacco. Rientrato a Varsavia dopo la seconda guerra mondiale intraprese prima la carriera militare poi quella universitaria dovendo però abbandonare ancora una volta la Polonia nel 1968 per una nuova epurazione antisemita. Si trasferì poi in Israele e Gran Bretagna, dove dal 1974 cominciò ad insegnare sociologia presso l’Università di Leeds.

Bauman ha sviluppato un vasto “programma” di ricerca sfociato in un numero sterminato di pubblicazioni aventi per oggetto molti aspetti caratteristici della postmodernità. Un’epoca dove tutto sembra essere diventato fluido e dove l’identità e le relazioni sociali sono segnate da crescenti incertezze.

L’abilità di Bauman sta nell’aver esaminato, accanto agli aspetti positivi di questa “fase di liberazione”, i processi di smarrimento e di esclusione sociale generati da una globalizzazione postmoderna dal volto “non umano”. La precarietà esistenziale degli occidentali connessa all’aumento dei rischi percepiti (es. terrorismo, insicurezza personale, crisi ambientale) si associa alla sempre maggiore precarietà economica che colpisce ampie fette di popolazione mondiale costrette a rimanere ai margini del benessere e condannate a “vite di scarto”.

Paura e smarrimento, marginalità ed esclusione sociale sono diventate i maggiori testimoni dell’impotenza della politica ma anche le maggiori risorse della politica stessa ovvero ambiti generatori di consenso. Da qui la necessità di capire chi ha interesse (economico, politico, mediatico) ha produrre tale condizione e ad alimentarla tramite un linguaggio e una comunicazione che diventano amplificatori delle paure
Come risposta a questo stato di cose, Bauman non ha mai considerato possibile né auspicabile un ritorno al passato come soluzione delle incertezze presenti. La stessa risposta populista è considerata anti-storica in una società sempre più differenziata. Egli, piuttosto, ha insistito sulla necessità dell’assunzione di un nuovo senso di responsabilità del singolo individuo chiamato ad affrontare con coraggio e spirito creativo le situazioni odierne e a costruire un futuro vivibile per sé e per l’intera umanità.



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