22 Gennaio 2017, 10.17
Gavardo
Maestro John

Futura

di John Comini

“Il miracolo dei bambini”, titola la Gazzetta dello Sport parlando dei fatti dell’Hotel sul Gran Sasso. I bambini a scuola sanno tutto di quel che è successo, della tragedia ma anche della speranza, delle lacrime di disperazione e anche del pianto di gioia


Le parole che leggiamo sono davvero commoventi: un bambino chiede “ora ci portate a sciare?”, una bambina vuole i suoi biscotti. Un vigile del fuoco dice ad una bimba di 6 anni mentre la porta in salvo: “Ciao piccoletta mia”. Sono state le mani dei soccorritori a riportare alla luce i superstiti. E tutti ci sciogliamo in lacrime di riconoscenza verso questi eroi che hanno fatto una lunga marcia notturna sugli sci, nel buio e nella tormenta.

“Prendi un sorriso, regalalo a chi non l’ha mai avuto.
Prendi un raggio di sole, fallo volare là dove regna la notte.
Scopri una sorgente, fa bagnare chi vive nel fango.
Prendi una lacrima, posala sul volto di chi non ha pianto.
Prendi il coraggio, mettilo nell'animo di chi non sa lottare.
Scopri la vita, raccontala a chi non sa capirla.
Prendi la speranza e vivi nella sua luce.
Prendi la bontà e donala a chi non sa donare.
Scopri l'amore e fallo conoscere al mondo...” (Gandhi)

I superstiti di quella tragedia sono rimasti ore e ore tutti stretti l’uno all’altro, bevendo la neve…E mi sono venute alla mente le immagini dei nostri alpini in Russia, il loro immenso sacrificio nella neve, la luna colonna in marcia fino all’ultima, decisiva battaglia di Nicolajewka (26 gennaio 1943) . Erano partiti con 200 treni, e al ritorno in Italia di treni ne bastarono 17. Giorni e giorni di disperata vita guadagnata ora per ora, strappandola al gelo, alla morte, all’assurdo. Generali stellati e soldati semplici, cuochi, infermieri e addetti ai muli: tutti camminano, in una disperata lotta per la sopravvivenza, nel gelo e nella neve, nella speranza di una salvezza che appare impossibile, nel ricordo della “baita” e della mamma o della morosa. Una storia che pare lontana nel tempo, facile da scordare. Ma è una storia che non va dimenticata, mai. Proprio questi giorni ricorrono date importanti nella storia grande e piccola dell’umanità: il 27 gennaio 1945 fu liberato il campo di concentramento di Auschwitz, il 10 febbraio si ricorda la tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra. Il 29 gennaio a Gavardo alle ore 13 le campane suoneranno “a morto” per ricordare il bombardamento degli alleati per impedire la fuga dei tedeschi in ritirata. Era una splendida giornata di sole. L’obiettivo era il ponte al centro del paese ma le bombe sganciate colpirono le abitazioni del centro storico. Fu un massacro: ben 52 morti, fra cui quattro sacerdoti riuniti nella casa canonica per l’ora di pranzo, ospiti del parroco, perché erano in corso in quei giorni le celebrazioni per i tridui.

“Son morto ch'ero bambino, son morto con altri cento,
passato per il camino e adesso sono nel vento.
Ad Auschwitz c'era la neve e il fumo saliva lento
nel freddo giorno d'inverno e adesso sono nel vento.
Ad Auschwitz tante persone ma un solo grande silenzio
è strano, non riesco ancora a sorridere qui nel vento.
Io chiedo come può un uomo uccidere un suo fratello?
Eppure siamo a milioni in polvere qui nel vento.
Ancora tuona il cannone ancora non è contenta
di sangue la belva umana e ancora ci porta il vento.
Io chiedo quando sarà che l'uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare e il vento si poserà.” (Guccini/Nomadi)

Dicono che la storia sia maestra di vita, ma i latini ci ricordano anche che “Homo homini lupus”, “se vuoi la pace prepara la guerra”. La storia infatti è scritta sempre dai vincitori, e questi hanno un carro a cui molti si attaccano. Qualcuno ha scritto: “Il fatto che gli uomini non imparino molto dalla storia è la lezione più importante che la storia ci insegna”. Proprio in questi giorni il mio amico Mauro Abastanotti ha tenuto un corso per i docenti della Primaria e delle Medie su “Memoria storica ed impegno civile” collegato al percorso sulla Grande Guerra. Mauro ha scritto molti libri: sulla Grande Guerra, su Nicolajewka, su Garibaldi. «A chi dimanda di me» ha avuto un successo straordinario, si tratta della raccolta di lettere e diari scritti dai soldati gardesani e valsabbini inviati al fronte fra il 1915 e il 1918, edita da Liberedizioni. Il docente gavardese di Soprazocco che, sostenuto da un grande amore per la storia, ha voluto riunire in un libro le parole che quei giovani militi, spesso mandati allo sbaraglio, inviavano ai famigliari o fissavano nella memoria attraverso i loro diari. Frasi a volte scritte con un italiano zoppicante, se non direttamente in dialetto, ma (forse anche per questa loro genuinità) capaci di raccontare con straordinaria efficacia la vita nelle trincee. Mauro ha dedicato il libro “a mio padre e mia madre che mi hanno trasmesso la voglia di conoscere e il dovere di ricordare…Non vorrei apparire retorico, ma lavorandoci sentivo di compiere, nel mio piccolo, un atto di giustizia nei confronti di quei ragazzi che avevano perduto la vita in una guerra della quale molti non comprendevano il senso. È stata anche un’operazione di ricerca dell'identità di questa nostra comunità”.

“Dicono che c'è un tempo per seminare e uno che hai voglia ad aspettare…
C'è un tempo perfetto per fare silenzio, guardare il passaggio del sole d'estate
e saper raccontare ai nostri bambini quando è l’ora muta delle fate.
C’è un giorno che ci siamo perduti come smarrire un anello in un prato
e c’era tutto un programma futuro che non abbiamo avverato.
È tempo che sfugge, niente paura, che prima o poi ci riprende
perché c'è tempo, c'è tempo c'è tempo… per questo mare infinito di gente…
C'è un tempo bellissimo tutto sudato, una stagione ribelle
l’istante in cui scocca l'unica freccia che arriva alla volta celeste e trafigge le stelle
è un giorno che tutta la gente si tende la mano
è il medesimo istante per tutti che sarà benedetto, io credo da molto lontano…
Dicono che c'è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare
io dico che c'era un tempo sognato che bisognava sognare.” (Ivano Fossati)

Il signor Rino Faustini è un villanovese appassionato di storia, ha raccolto tanti oggetti di vita quotidiana utilizzati dai soldati sui vari fronti della Grande Guerra, oltre al materiale bellico: bombe a mano, filo spinato, armi bianche, mazze, pugnali, bossoli, ecc. Molti corredati da didascalie che spiegano il loro utilizzo. Il pezzo forte della collezione è la raccolta completa della “Domenica del Corriere” dei quattro anni di guerra, dall’inizio del 1915 alla fine del 1918: 52 numeri per ciascun anno con le famose tavole di Achille Beltrame.

Mi ha sempre affascinato
la ricerca del tempo perduto, il vivere la storia degli altri, il tempo che non si è vissuto, quella specie di sottile nostalgia di chi sceglie di “perdere” il proprio tempo per ricercare tracce di memoria. Ma la storia è come un’affascinante signora dai mille lustrini, che ti invita alla conoscenza per poi lasciarti l’amaro nell’anima, e quando hai deciso di catalogarla, di classificarla in mezzo agli archivi ed alle carte ingiallite, quella ti sfugge, si tinge di mistero. Il vecchio scrittore Borges è lì ad insegnarci che l’unica strada è quella del cuore, lui che, cieco, racconta di aver visitato tutte le città  del mondo. Perché la parola evoca, ricrea, reinventa con l’ausilio di una fantasia pulita. La realtà è sempre complessa, quasi mai ci sono bene e male contrapposti, spesso è un fluire di contraddizioni in cui tutti navighiamo. E allora nel mosaico della memoria ha senso anche un pezzo di una minima storia, perché tutto c’entra, tutto ha un segno recondito nel disegno della storia grande. E allora ha un senso anche il più piccolo e sparuto filo colorato del tappeto di manzoniana memoria, che, sul retro apparentemente sfilacciato e confuso, una volta girato mostra tutto il suo incanto.

Conosco altre persone che hanno fatto della ricerca storica una vera e propria passione. Uno è il maestro Angelo Mora, che con l’amico Celestino ha raccolto su video le umanissime testimonianze degli ex combattenti di Prevalle. C’è poi Marcello Zane, giornalista e storico, che ha scritto volumi e saggi relativi alla formazione dell’identità della società in rapporto alla modernizzazione economica italiana. Ricordo alcuni dei suoi numerosi libri: “Notte di Pentecoste” (La battaglia di Bolina 1 giugno 1705),  “Storia di Brescia” (scritta con Paolo Corsini), “Tutti uguali. Ognuno diverso” (Cinquant'anni di Anffas Brescia), “I giorni del Gattopardo. Date gavardesi dal Medioevo a Internet”, Storia, leggende e devozione del santuario della Madonna della Neve,  L'emigrazione da Vallio all'Argentina e “Il fiume e la fabbrica” un itinerario storico-letterario del Novecento nei territori di Villanuova sul Clisi, Roè Volciano e Vobarno…E poi c’è la mia amica Giovanna Gamba, che ha conseguito il dottorato di ricerca in Letteratura e storia dell’età moderna e contemporanea all’Università Cattolica. Ha pubblicato saggi sull’evoluzione delle istituzioni ecclesiastiche in età moderna e insegna Storia regionale presso la Facoltà di Scienze della Formazione. All’inizio del suo libro “La scoperta delle lettere” (storia di dottrina e alfabeto a Brescia in età moderna) scrive queste bellissime parole: “Rivolgo un pensiero commosso all’ex direttore dell’Archivio Vescovile di Brescia, il compianto monsignor Antonio Masetti Zanini, per la pazienza e la competenza con cui ha sempre seguito i miei passi in archivio. Sono riconoscente ai miei familiari per la comprensione con cui hanno accettato tutto il tempo che ho sottratto loro: un grazie infinito soprattutto a Stefano, mio marito, a mia madre e a mia sorella Roberta. Un ricordo particolare va a mio padre, che amava moltissimo la storia e purtroppo non leggerà queste pagine. Dedico il libro ai miei figli Francesca e Alessandro, la mia speranza, il mio futuro.”

Dal film “La finestra di fronte” c’è la dedica ad una persona catturata dai nazisti e deportata. “Ho ancora bisogno di una tua parola, di un tuo sguardo, di un tuo gesto. Ma poi all’improvviso sento i tuoi gesti nei miei, ti riconosco nelle mie parole. Tutti quelli che se ne vanno ti lasciano sempre addosso un po' di sé. È questo il segreto della memoria... Se è così, allora, mi sento più sicura, perché so che non sarò mai sola…Lei può ancora scegliere, può ancora cambiare, non si accontenti di sopravvivere. Lei deve pretendere di vivere in un mondo migliore, non soltanto sognarlo. E poi c’è la bellissima canzone di Giorgia…

“Sono gocce di memoria
queste lacrime nuove
siamo anime in una storia incancellabile
le infinite volte che mi verrai a cercare nelle mie stanze vuote…
Con il gelo nella mente sto correndo verso te
siamo nella stessa sorte che tagliente ci cambierà
aspettiamo solo un segno, un destino, un'eternità
e dimmi come posso fare per raggiungerti adesso…
Siamo gocce di un passato che non può più tornare
questo tempo ci ha tradito inafferrabile
racconterò di te, inventerò per te quello che non abbiamo
Le promesse sono infrante come pioggia su di noi
le parole sono stanche, so che tu mi ascolterai
aspettiamo un altro viaggio, un destino, una verità
e dimmi come posso fare per raggiungerti adesso…”

Ora i tablet contengono più tecnologia di quando gli astronauti atterravano sulla luna, eppure ai bambini piace moltissimo la storia antica. Come quando il fondatore del Gruppo Grotte Gavardo, l’Highlander maestro Simoni (96 anni, non so se mi spiego…), accompagnato dall’esperto “allievo” (era stato suo studente) Angelo Lando, era venuto in classe a parlare del Buco del Frate e a trasmettere ai bambini, lucido e intenso come un saggio filosofo, la passione per l’archeologia. Ci ha raccontato che da giovane dedicava il tempo libero suo e degli amici Sandro Dusi, Alberto Grumi, Silvo Venturelli, Alfredo Franzini alla ricerca di tracce del passato. E proprio nel Buco del Frate il maestro Simoni & C. avevano trovato lo scheletro di un ursus spelaeus, che ora si trova in bella vista presso lo splendido edificio quattrocentesco nel centro storico di Gavardo. I bambini poi erano scesi nelle profondità della grotta, aiutati dai volontari, aggrappandosi a corde predisposte appositamente o a scale ed alla luce dei fari alimentati da due generatori di corrente all’esterno. A volte può succedere che una grotta buia e fredda ricrei l’incanto della scoperta, dello stupore. Le stalattiti, gli anfratti, le varie rocce carsiche, la discesa sdrucciolevole, il fango, l’argilla, hanno suscitato un’emozione intensa. E quando il signor Lando ha mostrato, laggiù, nel semibuio, la lampada al carburo che usavano i primi esploratori, si è creata davvero una vera magia. Quand’ero bambino amavo i racconti “storici”, ascoltavo incantato le storie degli Egiziani, di Attilio Regolo, Muzio Scevola, Annibale, Napoleone…Persino i barbari erano affascinanti, con i loro cavalli, con le loro spade, con i loro capelli al vento, e soprattutto con le loro pantagrueliche mangiate…Nel cortile della scuola spesso cantavamo le varie canzoni patriottiche, tutti schierati con le nostre blusine nere, pronti a partire agli ordini di Garibaldi…Tutto questo poi era riversato nella fantasia dei giochi, dove tutti volevano fare i piemontesi e nessuno gli austriaci. E poi c’erano le sparatorie fra indiani e cowboy…Ah poveri indiani, massacrati nella realtà e anche nei giochi dei bambini! Adesso guardo sempre “Ulisse, il piacere della scoperta” e rimango meravigliato dalle ricostruzioni al computer di case, templi o guerre… Il Professor Alessandro Barbero, alla domanda “A cosa serve la storia?” ha risposto così: “è uno strumento per capire il mondo e gli esseri umani che lo popolano, a metterti davanti un repertorio fatto da cose molto intelligenti e cose molto idiote. E poi serve a sviluppare lo spirito critico. Il rischio è che la storia venga manipolata per creare identità fittizie. Ai primi del Novecento si diceva che le nazioni erano diventate troppo interconnesse per scontrarsi e poi è arrivata la Grande guerra. Può sempre accadere che gli eventi precipitino. La storia insegna che può succedere di tutto. Gli storici non capiscono niente del presente, possiamo solo dire che un altro insegnamento della storia è che le cose sono sempre molto complicate.” E poi ci sono i potenti e il popolo che spesso subisce…Bertolt Brecht scrive: “Tebe dalle Sette Porte, chi la costruì? Ci sono i nomi dei re, dentro i libri. Son stati i re a strascicarli, quei blocchi di pietra? Babilonia, distrutta tante volte, chi altrettante la riedificò? In quali case di Lima lucente d'oro abitavano i costruttori? Dove andarono, la sera che fu terminata la Grande Muraglia, i muratori?  Roma la grande è piena d'archi di trionfo. Su chi trionfarono i Cesari? La celebrata Bisanzio aveva solo palazzi per i suoi abitanti? Anche nella favolosa Atlantide la notte che il mare li inghiottì, affogavano urlando aiuto ai loro schiavi. Il giovane Alessandro conquistò l'India. Da solo? Cesare sconfisse i Galli. Non aveva con se nemmeno un cuoco? Filippo di Spagna pianse, quando la flotta gli fu affondata. Nessun altro pianse? Federico II vinse la guerra dei Sette Anni. Chi, oltre a lui, l'ha vinta? Una vittoria ogni pagina. Chi cucinò la cena della vittoria? Ogni dieci anni un grand'uomo. Chi ne pagò le spese? Quante vicende, tante domande.”

“Ognuno ha tanta storia, tante facce nella memoria
tanto di tutto, tanto di niente, le parole di tanta gente.
Tanto buio, tanto colore, tanta noia, tanto amore
tante sciocchezze, tante passioni, tanto silenzio, tante canzoni.
Anche tu così presente, così solo nella mia mente, tu che sempre m’amerai
tu che giuri e giuro anch’io anche tu amore mio così certo e così bello
anche tu diventerai come un vecchio ritornello che nessuno canta più
come un vecchio ritornello che nessuno canta più…” (Gabriella Ferri)

Parlare di storia significa parlare del tempo che ci è concesso di vivere. Cesare Pavese scriveva: “A che serve passare dei giorni se non si ricordano?... Nelle estati della mia infanzia che hanno ormai nel ricordo un colore unico, sonnecchiano istanti che una sensazione o una parola riaccendono improvvisi, e subito comincia lo  smarrimento della distanza, l’incredulità di trovare tanta gioia in un tempo scomparso e quasi abolito…Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.” “Non sono le nostre capacità che dimostrano chi siamo davvero, sono le nostre scelte.” (Da Harry Potter)  “Ieri è storia, domani è un mistero, ma oggi è un dono, per questo si chiama presente.” (Kung Fu Panda) Quando è nata la dolcissima Chiara Abastanotti (ora brava disegnatrice) le avevo dedicato queste parole: “Nel salvadanaio del tempo metti gli spiccioli delle ore liete e le monetine della tristezza, le mille e mille cose del tuo mondo e i centomila sorrisi che avrai, le cinquecento lire dei ciechi e di chi non ha fortuna, il milione di sguardi che si specchieranno nei tuoi occhi, i miliardi di attimi in cui ti sentirai felice o sola… alla fine rompi il tuo salvadanaio e regala il tuo sorriso a tutto il mondo.” Scusatemi se mi auto-cito ancora, c’è una canzone che avevo scritto per i miei bambini di Gardone Riviera:

“Domanda sempre tanti perché, ai genitori, alla maestra
chiedili al tuo vicino di banco, chiedili al vecchio che ha vissuto tanto
chiedili al bimbo che vive sognando
chiedili ai libri che nascondon pensieri, alla natura a tutti quanti
ma soprattutto domanda a te stesso: Perché? Perché?
Alla fine dovrai pur capire il perché delle cose e di te
solo questo conta nella vita: capire per sapere, capire per fare.
Solo questo conta nella vita, avere idee chiare nella testa
idee da idee di cui vivere idee da donare da comunicare…
Perché? Perché?”

Il film "Titanic" termina con questa stupenda frase:
“Il cuore di una donna è un profondo oceano di segreti. Ma ora sapete che c'era un uomo di nome Jack Dawson, e che lui mi ha salvata, in tutti i modi in cui una persona può essere salvata. Non ho niente di lui, neanche una sua foto... Vive solo nei miei ricordi.” Qualcuno ha detto: si vive solo il tempo in cui si ama. Un sorriso non dura che un istante, ma nel ricordo può essere eterno. E allora mi piace concludere dedicando a Cloe, la bambina dei miei amici Sara e Luca, questa canzone di Lucio Dalla.

“Chissà, chissà domani, su che cosa metteremo le mani
se si potrà contare ancora le onde del mare e alzare la testa
non esser così seria, rimani…
I russi, i russi, gli americani, no lacrime non fermarti fino a domani
sarà stato forse un tuono non mi meraviglio
è una notte di fuoco dove sono le tue mani
nascerà e non avrà paura nostro figlio
E chissà come sarà lui domani su quali strade camminerà
cosa avrà nelle sue mani… si muoverà e potrà volare,
nuoterà su una stella come sei bella
e se è una femmina si chiamerà Futura.
…aspettiamo che ritorni la luce, di sentire una voce
aspettiamo senza avere paura, domani…”

Ciao Cloe, benvenuta nel nostro piccolo mondo.
Certamente lo renderai più buono e più bello!

Ci sentiamo la settimana prossima,
a Dio piacendo.
                                                                                                  
maestro John Comini


Commenti:
ID70787 - 24/01/2017 07:28:51 - (gioica) - Che meravigliosa bambina,

Bravissimi Luca e Sara, si vede che vi siete impegnati.... ; )

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