03 Gennaio 2017, 10.04
Prevalle
Storie di paese

Angela Bresciani, una piccola donna con un gran cuore

di Federica Ciampone

Nella cornice della seconda guerra mondiale e del fascismo, una storia di vita, di forza e di talento tutta al femminile. Ce l’ha raccontata Maria Rosa, cugina di secondo grado di questa donna straordinaria


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Maria Rosa Bresciani, che gestisce un negozio di cartoleria a Prevalle, ci ha raccontato la storia di una donna fuori dal comune. Una donna d’altri tempi, venuta a mancare qualche anno fa, che per tutta la vita si è divisa ogni giorno tra duro lavoro e generoso volontariato, aiutando i suoi compaesani in ciò che poteva e mettendo a loro disposizione il suo straordinario talento per l’infermieristica. Si tratta di Angela Bresciani, una cugina di suo padre che Maria Rosa ha sempre chiamato “zia”.

“Nacque nel 1919, nel primo dopoguerra. Era piccola e minuta ma aveva proprio un bel caratterino! Quando ero piccola mia madre mi lasciava spesso con lei nei periodi in cui doveva assentarsi da casa per motivi di salute, e abbiamo vissuto e lavorato insieme per tanti anni, fino al suo ultimo giorno. Era un grande esempio per me, e mi era di grande aiuto sia nella gestione del negozio che nelle piccole faccende quotidiane…facevamo tante cose insieme. Era stata abituata fin da piccola a lavorare sodo: era figlia unica e spesso era lei a cucinare per i suoi genitori e a tenere ordinata la casa”.

Maria Rosa, un po’ emozionata, prosegue il suo racconto. “Era una grande lettrice ed era molto brava a scrivere, nonostante avesse solo la quarta elementare. In un’epoca in cui la maggior parte delle donne era analfabeta, lei scriveva lettere su commissione ai soldati che combattevano al fronte e aiutava le ragazze a leggere quelle che ricevevano. Capitava spesso che alcuni soldati, una volta tornati a casa, rimanessero delusi scoprendo che i pensieri e le parole che credevano essere quelli delle loro fidanzate erano in realtà opera di Angela: lei scriveva quello che sentiva, a volte probabilmente discostandosi troppo dalla personalità del committente.

A 13 anni già lavorava come fac totum presso alcune case di Brescia; a 16 lavorava presso una famiglia ricca e gestiva contemporaneamente la casa dei signori e la loro macelleria. A Brescia ci arrivava in bicicletta e capitava spesso che facesse anche 18 ore di pedalata in un solo giorno. Lavorò anche in una fabbrica bresciana fino all’arrivo dei tedeschi”.
 
Fu proprio mentre era a servizio di una famiglia di Brescia che ebbe la possibilità di imparare qualcosa sul mestiere che avrebbe tanto voluto esercitare: l’infermiera. “Accompagnava la figlia dei signori alle lezioni di un corso serale di infermieristica, e coglieva l’occasione per ascoltare e imparare tutto quello che poteva. Aveva un talento innato per questo lavoro, e fu un peccato che non poté mai permettersi di ottenere il diploma. Nonostante questo non si perse mai d’animo: faceva iniezioni a tutti i paesani, spesso girando in bicicletta per le strade anche di notte, sottoponendosi ai controlli dei fascisti per poter passare da una frazione all’altra di Prevalle. Era in grado di sistemare tendini e articolazioni semplicemente trattandoli a mano. Quando c’era un incidente era sempre la prima a correre sul posto per aiutare: il sangue era tutta la sua vita, il suo grande sogno era quello di poter entrare, un giorno, in una sala operatoria.

“A 25 anni iniziò a lavorare al cotonificio Ottolini di Villanuova; di giorno lavorava e di notte prestava servizio in ospedale. Spesso sostituiva anche la suora infermiera del cotonificio. A casa non c’era mai e dormiva pochissimo: era un leone, non si dava mai tregua”.

Penserete che l’elenco dei talenti di questa donna sia terminato. Noi l’abbiamo pensato, a questo punto del racconto, ma ci siamo sbagliati; Maria Rosa aveva ancora qualcosa da raccontarci.
“Quando non leggeva – ed era molto raro che non avesse almeno un libro in mano – lavorava all’uncinetto. Confezionava bellissime coperte, federe per i cuscini, tovagliette. Seguiva la riproduzione dei bachi da seta: all’epoca ogni contadino ne aveva molti, e lei ne curava la nascita e la filatura della seta. Nel poco tempo libero che aveva a disposizione faceva ciò che fanno oggi le imprese di pompe funebri: vestiva i morti, gli faceva la barba, li truccava e li preparava per il funerale, il tutto senza ricevere quasi mai alcun compenso.

“Oltre al ricamo e alla lettura, Angela era una grande appassionata di teatro. Amava molto recitare e tutti riconoscevano la sua bravura, tanto che il regista del gruppo teatrale del paese le affidava sempre la parte della protagonista. Io facevo la suggeritrice e ci divertivamo molto a fare teatro insieme. C’era un solo problema: mia zia voleva recitare solo parti comiche, far ridere gli spettatori. Fare la parte della piagnucolona, per esempio, non le piaceva proprio. Ve l’ho detto, era un bel peperino”.



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