22 Febbraio 2008, 00.00
Prevalle
Buco del Frate

Un saggio sulla rivista del Max Planck Institut

di red.

Un saggio sul Buco del Frate del dottor Dario Moretta è stato pubblicato in una raccolta di studi del prestigioso “Max Planck Institut” di Berlino, nel quale sono messe in luce le problematiche della salvaguardia di quest'area storico-naturalistica.

È stato a seguito di un campo estivo per ragazzi cui ha partecipato in veste di coordinatore ad accendere l’interesse di un ricercatore dell’Università di Pisa verso il “Buco del Frateâ€, monumento naturale sicuramente sui generis anche per il suo essere quasi del tutto circondato dalle voragini delle cave che operano tra il Monte Paitone e il Monte Budellone. Come a dire “un buco†ricchissimo di storia e di studi a partire dagli anni ’20, tutelato agli inizi degli anni ’80 con una destinazione specifica, ma inesorabilmente accerchiato da altri e ben più estesi “buchiâ€. Questa in sintesi la scintilla che ha intrigato il dottor Dario Moretta, studioso di storia delle scienze, e lo ha convinto a dedicarvi un saggio pubblicato in una raccolta di studi del prestigioso “Max Planck Institut†per la Storia delle Scienze di Berlino.

L’approfondita analisi, seguita a diversi soggiorni e visite alla grotta e ai dintorni, è partita studiando gli elementi caratterizzanti l’interesse come “oggetto naturalistico†ed “oggetto scientifico†che sin dai primi anni ’20 del novecento il Buco del Frate ha instillato in numerosi studiosi di geologia, paleontologia, entomologia e speleologia. Un fascino che già aveva colpito Giovanni Regazzoni, pioniere della geologia bresciana, nella seconda metà dell’800, ma che ha ammaliato i più prestigiosi studiosi naturalisti italiani che al sito vi hanno dedicato sterminate indagini e studi scientifici. Un repertorio completo degli studi ad oggi compiuti non esiste, la più completa ricognizione ferma alla metà degli anni ’50 ne contava oltre 120 dal 1882 fino al 1954.

Il dottor Moretta ripercorre poi con una analisi puntuale tutte le tappe che portarono, dopo un percorso politico oltre che di sensibilizzazione scientifica all’inquadramento del Buco del Frate come “biotopo e geotopoâ€, ossia zona di interesse naturalistico da preservare. Nel 1983, infine, si pervenne alla istituzione del Monumento Naturale che ha inteso salvaguardare l’area dall’avanzare dell’attività di escavazione circostante. L’approfondimento dal profilo della storia della scienza mira a dimostrare come l’idea originaria di “luogo bello e fascinoso†maturata solo nell’ambiente degli studiosi abbia impiegato oltre 50 anni a consolidare una sensibilità condivisa e a concretizzarsi in una azione di salvaguardia. Del resto la grotta del “Carso Bresciano†ha il privilegio di essere stata registrata con il numero 1 al Catasto Speleologico Lombardo (Lo.1) che ne annovera oltre 1500 sparsi in tutta la Regione.

Il ricercatore pisano non si esime da mettere in risalto anche le contraddizioni di una pianificazione che formalmente ha istituito le modalità di preservazione del sito ma non ha impedito l’avanzata aggressiva di attività che hanno sconvolto i dintorni del territorio tutelato. Il tutto in un’aura di grande attualità per il fatto che sono di questi giorni nuove discussioni e nuovi tentativi di “aggredire†il Monumento Naturale.

Mentre da noi risuona ancora l’eco delle invocazioni dell’entomologo-speleologo Leonida Boldori che ancora nel 1967 scriveva “è di somma importanza far sì che la grotta venga salvata, cioè non venga distrutta dall’avanzare delle cave né riempita dai detriti e nemmeno scossa dagli scoppi delle mineâ€, mentre il Comune e i Comitati si battono per risparmiare questo luogo dall’avanzata delle cave, fa un grande effetto leggere un prestigioso saggio in inglese che pone all’attenzione di tutta la comunità scientifica europea le vicende e le bellezze del “Friar’s Holeâ€.



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