01 Novembre 2016, 09.33
Lavenone
Come eravamo

Presegno nella seconda metà dell'800

di Guido Assoni

“La stagione estiva, che fa meno grato il soggiorno nei centri più popolati, invita i cittadini ai monti, ove il corpo e lo spirito si temprano e rinvigoriscono... 


...Non tornerà quindi discaro al lettore che gli si favelli di una umilissima terra bresciano qual è Presegno”.


Così inizia l’articolo di Dominatore Sbardolini, insigne igienista bresciano, che condusse approfondite indagini sull’alimentazione a Brescia nella seconda metà del 1800, nonché direttore del periodico del Comizio agrario di Brescia “L’agricoltura bresciana” e promotore de “La Società Bresciana d’Igiene” insieme al medico Tullio Bonizzardi ed al prof. Teodoro Pertusati.
Certo, un affermazione del genere rapportata ai nostri giorni farebbe sorridere, ma dobbiamo tenere presente la realtà socio-economica del tempo in cui fu scritto l’articolo.

La ferrovia Brescia-Tormini-Caffaro era appena stata progettata.
Il comune di Presegno, che solo nel 1929 con Regio Decreto del 20/09/1928 verrà aggregato al Comune di Lavenone, all’epoca, era raggiungibile solo attraverso antiche strade mulattiere, appunto da Lavenone, da Forno d’Ono e da Bagolino.

Secondo lo Sbardolini, il borgo “serba intatta la sua etimologia” ovvero la contrazione di praeter signum, “oltre o avanti o innanzi al segno di confine”, perché questo Comune pare sia stato in antichità, limite di territorio di amministrazione romana.

Ancor oggi questa ipotesi è la più accreditata e suffragata dall’esistenza, tra Presegno e Bagolino di una località denominata Romanterra.
In passato sarebbero stati individuati manufatti a forma di anello sulle più alte rupi il cui significato ancor oggi non è certo.
Si parla di funzione votiva ossia di monumento di culto pagano dei romani a favore dei numi tutelari della proprietà che vegliavano sui confini territoriali dei popoli e delle proprietà private.
Sulle “Memorie per servire alla storia delle Giudicarie” risalente al 1786 si fa menzione di una di queste costruzioni a forma di anello riscontrabile nei prati di Vaiale sulla rupe detta di Romà.

Lo Sbardolini annota che ci sono voci circa l’esistenza di questi anelli mitici in altre località di Presegno, ma non è dato sapere dove. 
La tradizione vuole che a detti cippi venissero assicurate le barche supponendo anticamente l’esistenza di un piccolo lago.
Su questa derivazione etimologica, lo storico Natale Bottazzi non è dell’avviso in quanto non si conosce “l’esistenza di un pago romano della Pertica o del Savallo, ed i confini del territorio romano prima del 15 A.C. (epoca della conquista delle vallate alpine e della sottomissione dei Triumplini e dei Camuni), erano poco sopra Vobarno”.
Secondo lo stesso Bottazzi il nome potrebbe derivare da predium (podere, fondo).

In un documento del 1621 si ha notizia di Comunis Presegni Perticie Vallis Sabbiœ in quanto Presegno, Levrange, Ono, Forno d’Ono, Avenone, Livemmo, Navono, Odeno, Noffo, Lavino e Belprato costituivano la Comunità delle Pertiche. 
La circoscrizione di questa comunità venne modificata nel corso dei secoli tanto è vero che, per un periodo di tempo, anticamente, vi apparteneva anche Bagolino.

Addirittura Gabriele Rosa, patriota e raffinato scrittore iseano dell’800, estenderebbe la giurisdizione fino a Toblino e Stenico in Trentino.
Sempre nel 1621 il Comune di Bagolino ebbe a comprare dal Comune di Presegno parte del Dosso Alto, dopo aspre contestazioni non essendo ben determinati i confini tra i due Comuni.

Nel Censimento della popolazione del 1771 sono stati individuati solo 278 abitanti, ma, stando a quanto afferma lo Sbardolini, in passato la popolazione poteva essere numericamente maggiore divenendo così esigua per causa di epidemie.
Questa ipotesi è confortata, sempre secondo l’igienista-letterato bresciano, dal fatto del ritrovamento di ruderi di diverse abitazioni nei prati e negli orti di Presegno.
Nel 1876 la densità abitativa del Comune di Presegno era di 22 abitanti per kmq, mentre la media dei Comuni valsabbini si aggirava sui 56 ab/km².
Solo Alone, tra i comuni aventi condizioni di suolo similari a Presegno, aveva una densità leggermente inferiore.

L’entità della popolazione sta in ragione diretta alla consistenza del suo bestiame.
Dal Censimento dell’agricoltura del 1868 emerge una contrazione dell’allevamento bovino avendo rilevato la presenza, in quel di Presegno, di solo 127 bovini rispetto ai circa 700 capi tradizionali.

Dai registri del 1747 per l’applicazione della Tansa (imposizione personale sull’industria ed il traffico mercantile) ed il Campatico (tassazione sulla proprietà fondiaria con suddivisione tra arativa, prativa e boschiva) emerge la presenza di 24 allevatori di bovini e pastori, mentre nel periodo considerato (anno 1876) tali presenze venivano ricondotte a poco più della metà.

Nei secoli precedenti, anche quando il Dosso Alto faceva parte del patrimonio del Comune di Presegno, “tanta copia vi era di bestiame” che i mandriani locali dovevano svernare verso altri pascoli (Bagolino, Pertica e Val Trompia) in quanto il territorio comunale comprendeva solo 233 ettari di pascoli in alpe.

Nella seconda metà dell’ 800 invece il fieno eccedente il consumo locale e, generalmente costituito da erbe buone, nutriva mandrie di allevatori di Bagolino.

Cito alcune note di Dominatore Sbardolini, circa la qualità dei tipici prodotti caseari “Il burro di Presegno gode buon nome, ma perché dato al commercio in tenue quantità, non può acquistarsi la rinomanza di quello di Vezza, creduto il migliore della nostra provincia”.

Su 13 Km² di superficie scoscesa, 9 erano a bosco, circa 2,5 a prato e pascolo e pochi ettari coltivato a cereali e tuberi.
La proprietà fondiaria era spartita tra gli abitanti del piccolo paese.
La media di rendita censuaria per ogni proprietario era di ex lire austriache 43, che rientrava nella media dei possidenti valsabbini.

Precisa ancora lo Sbardolini riferendosi agli abitanti di Presegno: “Però se colà non sono ricchi, neppure sono miserabili; di maniera che allorquando ai nostri giorni ricorre punuria di cibi, la fame non vi coglie vittime”.
L’economia forestale avrebbe dovuto essere la maggiore fonte di reddito per quelle popolazioni, ma le imposizioni erano sempre più gravose.

Larici e abeti che, in passato, nella località “Selva” dovevano fare bella mostra “se ne trovano pochi e sparsi fra il ceduo ai piedi di Presegno”.
Pomona, la dea romana dei frutti “che predilige tepide aure” viene rappresentata dal ciliegio che matura i frutti solo in agosto, da poche noci e ancor meno meli e peri “che non vengono a perfetta maturazione, perché la primavera vi è tarda e l’autunno sollecito che mai”.

Infine il letterato bresciano conclude il suo lavoro rammentando con nostalgia i tempi di agiatezza cui l’emblema viene rappresentato dalla ricca parrocchiale dedicata a San Lorenzo nel 1869 e ornata nel 1753.
Non manca infine di segnalare l’intervento di alcuni paesani alla “patria insurrezione” del 1849 e più anticamente per difendere la bandiera veneta il cui governo “dolce ad essi ed alle valli bresciane è tutt’ora amorosamente ricordato”.

. Questo scritto è tratto da un articolo di Dominatore Sbardolini apparso sul giornale quotidiano di politica ed economia “La Provincia di Brescia” numero 182 del 02 luglio 1876 e riproposto, in estratto, sulla Guida Alpina della Provincia di Brescia del 1889.
 


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