30 Ottobre 2016, 06.39
Maestro John

Noi siamo infinito

di John Comini

“La felicità della vita è fatta di fiori infinitesimali, di piccole elemosine presto dimenticate, di un bacio, di un sorriso, di uno sguardo gentile, di un complimento fatto col cuore” (Samuel Coleridge)

 
“Bambini, ci sono tre giorni di vacanza: domenica (ricordatevi di cambiare l’ora), lunedì (ponte) e martedì (festa di Ognissanti).
Si ritorna a scuola mercoledì, giorno dei defunti.
“Oh no, non possiamo festeggiare Halloween!” dice un bambino.

A molti bambini piace la festa di Halloween, anche se io non l’amo particolarmente, forse perché sa di importazione, con tutti quei mostri e quegli scheletri…

Lo scorso anno avevamo organizzato una scenetta tratta da “Giovannin senza paura” (fiaba raccolta da Italo Calvino), che narrava di un ragazzo che non aveva paura di nulla: bare, giganti, streghe e fantasmi gli facevano un baffo, finché un giorno non gli successe che, voltandosi, vide la sua ombra e se ne spaventò tanto che morì.

Quest’anno con la maestra Vanna, durante l’ora di immagine, i bambini hanno creato con materiale povero tanti “pupazzetti mostruosi” (vedi foto), così originali e colorati da essere tutti simpatici come i loro autori.

I bambini delle tre classi quarte hanno paure varie: chi di film “horror” che poi li tengono svegli per molte notti, chi delle zanzare giganti, chi dei ragni, chi dei serpenti, degli scorpioni o dei lupi (arrabbiati, precisa Fatima)…
Molti temono i sogni che si mutano in incubi: c’è Francesco che ha sognato di volare in mezzo al mar Ionio sopra il letto, Cristian che ha sognato la nonna che cadeva in un pozzo e poi risaliva nelle fauci di un drago, Leonardo che si è svegliato dopo aver sognato un fantasma che gli faceva solletico…

Insomma, chi più ne ha più ne metta. Mi ha sorpreso che molti bambini temono i pagliacci, come il grande Federico Fellini che la prima volta che aveva visto i clown del circo ne era uscito terrorizzato.

Il racconto più emozionante è stato quello di Robert: quando era in Romania era andato con la nonna a prendere l’acqua in un bosco, poi si era smarrito insieme al fratellino Edoard, lui gli stringeva forte la mano e quello piangeva perché aveva visto un istrice.
Mentre Robert raccontava, il silenzio era piombato nella classe, ed ho vissuto per un attimo l’atmosfera dei racconti gotici e l’origine delle fiabe.

Come Miriam, da bambino la mia paura più grossa era quella del buio.
La sera dalla cucina al bagno il corridoio sembrava un tunnel della paura, tipo corridoio del film “Shining”, correvo a perdifiato fino alla porta, un giorno l’ho trovata chiusa perché c’era dentro il nonno con la luce spenta e il cuore mi è salito in gola.
Anche quando il papà mi chiedeva di andare a prendere il vino in cantina, le gambe mi facevano “Giacomo Giacomo” e per farmi coraggio in cantina cantavo “E con le cicole e con le ciacole” poi ansimando tornavo in casa al secondo piano, facendo gli scalini tre alla volta.

“Giovanni, hai avuto paura?” “Io papà? Nooo…” “Bravo, un alpino non ha mai paura di niente!”

“So che un giorno queste diventeranno delle storie e che le nostre vecchie immagini diventeranno vecchie fotografie…
Ma qui, adesso, questi momenti non sono storie, questo sta succedendo, e io sono qui, e sto guardando lei. Ed è bellissima.
Ora lo vedo.
Il momento in cui sai di non essere una storia triste, sei vivo… e ti alzi in piedi e vedi le luci sui palazzi e tutto quello che ti fa restare a bocca aperta.
E senti quella canzone su quella strada con le persone a cui vuoi più bene al mondo.
E in questo momento, te lo giuro, noi siamo infinito.”

(dal film “Noi siamo infinito”)

Martedì è il giorno di tutti i Santi, che siano o non siano stati canonizzati (un mio amico diceva “cannonizzati”).
Posso dire una cosa? A parte i Santi che giustamente sono sugli altari, secondo me ci sono molte persone che ogni giorno fanno il proprio dovere, mamme e papà che tirano avanti la baracca rimboccandosi le maniche, che lavano stendono stirano fanno da mangiare fanno i letti e seguono i propri figli ogni giorno senza mai mollare, che la mattina presto si alzano per portare a casa uno stipendio onesto, che cercano un lavoro anche lontano pur di non essere di peso ai propri cari, che hanno il coraggio di combattere contro le avversità del destino e ogni giorno vivono nei valori profondi dell’umanità.
Queste persone ci circondano ogni giorno, e magari non li vediamo nemmeno, e forse neanche loro sanno di essere persone eccezionali. Ma lo sono.

La grandezza della vita non sta nel numero di vittorie ottenute, ma nel numero di volte in cui si è avuto la forza di rialzarsi e ripartire. 
Ciò che faccio è solo una goccia nell’oceano. Ma mi piace pensare che l’oceano sarebbe più piccolo, senza quella goccia.

E allora mi viene in mente quella scena del “Signore degli Anelli”, nella quale Frodo è disperato, sente che non ce la farà mai a concludere la missione, e il servo Sam lo rincuora.

Frodo.- Non posso farlo, Sam.

Sam.- Lo so, è tutto sbagliato, io non dovevo nemmeno essere qui. Ma ci siamo.
È come nelle grandi storie, padron Frodo, quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericoli, e a volte non volevi sapere il finale, perché come poteva esserci un finale allegro, come poteva il mondo tornare com’era dopo che erano successe tante cose brutte?
Ma alla fine è solo una cosa passeggera quest’ombra, anche l’oscurità deve passare. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole splenderà sarà ancora più luminoso.
Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che significavano qualcosa, anche ser eri troppo piccolo per capire il perché. Ma credo, padron Frodo, credo di capire ora, adesso so…
Le persone di quelle storie avevano molte occasioni di tornare indietro e non l’hanno fatto, andavano avanti, perché loro erano aggrappati a qualcosa.

Frodo.- Noi a cosa siamo aggrappati, Sam?

Sam.- C’è del buono in questo mondo, padron Frodo, è giusto combattere per  questo.
 
Mia mamma mi svegliava così: tirava su la tapparella, e diceva con voce dolce “Giovanni, ghè mort chel lè, ghè mort chel là…” insomma, mi raccontava tutti i morti di Salò.
Mentre facevo colazione col caffelatte, mia mamma mi accarezzava e mi diceva sempre: “Buono el mé Giovanni, bello el mé Giovanni”. Da bambino non ho mai avuto problemi di autostima.

Ogni giorno si diceva il rosario e si pregava “per töcc i nos morcc e per le anime desmentegade”.
La sera mio papà pregava “per el zio… e la zia… e la nona…e la bisnona…” e avevo la netta sensazione che i defunti fossero tutti lì intorno, che ci guardavano con sguardi seri ma buoni dalle fotografie in bianconero. 

"Guardate queste fotografie, ragazzi. Il mondo è la loro ostrica, pensano di esser destinati a grandi cose come molti di voi.
I loro occhi sono pieni di speranza: proprio come i vostri.
Avranno atteso finché non è stato troppo tardi per realizzare almeno un briciolo del loro potenziale? Perché vedete, questi ragazzi ora sono concime per i fiori.
Ma se ascoltate con attenzione, li sentirete bisbigliare il loro monito.
Coraggio, accostatevi! Ascoltate! Sentite? "Carpe", "Carpe diem". Cogliete l'attimo, ragazzi.
Rendete straordinaria la vostra vita!"

(dal film “L'attimo fuggente”)
 
Il mio piccolo mondo era popolato da angeli custodi, Madonne, Cherubini e Serafini, santi e martiri in Paradiso, per non parlare delle anime del purgatorio che reclamavano qualche preghiera in suffragio con sconto: c’era un traffico incredibile nella mia infanzia.
Un giorno sono entrato nel bagno, c’era dentro mia zia che ha esclamato: “Oh Signur benedett!” E io: “Chiamami pure John…”

Tutti i santi giorni facevo il chierichetto.
Durante la messa le pie donne recitavano il rosario e le sentivi bisbigliare…ma tanto il sacerdote era girato di spalle perché la Messa era in latino. 
Uno dei giochi a casa era di fare un altarino, usare un piccolo libro di preghiere come messale, indossare un pandamà come pianeta, un bicchiere come calice e di fare la comunione con la mollica di pane. 

Mia mamma amava raccontare aneddoti, storie, e ha influenzato molto anche il mio modo di essere.
Prima che io nascessi aveva perso la mia sorellina Mariangela. Mi raccontavano che ogni giorno c’era un funeralino, passava una bara bianca e la gente si levava il cappello.
Quando la mia sorellina si è ammalata, hanno chiamato il dottore, ma era alle prime armi e ha sbagliato la diagnosi.
E quando la mia sorellina è morta all’Ospedale di Salò, mio papà l’ha portata a casa in braccio, e sembrava che passasse un angelo.

Mia mamma sembrava impazzire dal dolore, gridava “La me pitìna, la me pitìna!”…Stava tutto il giorno in camera, dove aveva dormito la mia sorellina, non mangiava mai, piangeva e basta.
Alla mia sorellina hanno tagliato le trecce bionde, e la mia mamma le teneva in mano come un rosario.  
Al prete che cercava di consolarla, mia mamma diceva “Perché el Signur el fa mörer i pitì? Perché el m’ha mia töt sé mé?” Mia mamma mi ha sempre detto che è stata salvata dalla fede.
E poi sono nato io: “Te set nasit che töcc i piansìa”. Ho portato un po’ di serenità, nonostante fossi un po’ un brontolone…

Mai nessuna notte è tanto lunga da non permettere al sole di sorgere
(Paulo Coelho)
 
Considero valore (di Erri De Luca)
“Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca. (?????)
Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finché dura un pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi, provare gratitudine senza ricordarsi di che.
Considero valore sapere in una stanza dov’è il nord, qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca, la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto.”

Mio papà aiutava mio nonno e lavorava come cementista nel cimitero di Salò, non so se avete presente il cimitero di Salò: è fatto a gradoni, va giù in discesa così, a precipizio, e io da bambino pensavo che durante la resurrezione della carne, gnaummm prima decollavano in cielo quelli in alto, in pole position, insomma...poi a mano a mano tutti gli altri, alla fine quelli sotterrati nella nuda terra.
Però in compenso quelli al piano “terra” avevano la vista lago.
Quando a Salò si va a trovare i morti bisogna stare attenti alle scale, altrimenti si va a trovarli per davvero… E insomma mio papà stava lavorando attorno a qualche loculo, ma siccome faceva caldo il destino volle che, mentre il mio papà faceva il riposino, arrivasse l’anziana vedova inconsolata, e mentre versava caldissime lacrime (era estate appunto) sulla tomba dell’amatissimo marito, improvvisamente si squarciò il velo, una corona di candidi fiori cadde, la ghiaia tremò, e la voce del mio papà tonante e rimbombante dal loculo esclamò: “Buongiorno siura!”.
È un miracolo che la suddetta signora non sia volata in cielo nelle braccia del marito (martire, a questo punto).

Quando a scuola cantavamo “Si scopron le tombe si levano i morti/ i martiri nostri son tutti risorti” chissà perché mi veniva in mente il mio papà che si alzava dal riposino.
Sempre a Salò c’era un tale che esclamava: “Tutti muoiono, forse anch’io…speròm de mörer prest, el piè tarde posibil.”
Ai funerali noi chierichetti eravamo molto bravi e serissimi, ma al ritorno dal cimitero ci toglievamo la cotta e tornavamo ridendo, usando la croce come una lancia dei cavalieri antichi.

Alcuni anni fa accompagnavo mia zia Giulia a far visita ai defunti.
Le frasi classiche erano “Ela morta? Ma davera? Ma che me chöntet? Ma se l’ho vista ier al mercat! Quacc agn? 98: che zuina!”
Poi facevamo visita: “Condoglianse…som che de pasagio… somea che la dorme …l’è bela distesa… L’è burlada zò dala tromba dele scale? La gha semper soferto de trombosi…”
Molte volte faceva le condoglianze una signora molto simpatica, che tirava su il morale a tutti, familiari compresi, e pareva che anche il morto ridesse.

Una volta siamo andati a far visita alla nonna di una conoscente
, io me la ricordavo piuttosto in carne (la nonna, intendo).
Quando siamo entrati nella camera ardente, ho visto nella cassa una persona magrissima. La gente diceva: “Poerina, la ghà soferto tant ma tant”. Io ho pensato che fosse dimagrita per la sofferenza. Poi è apparsa la nonna, viva e in carne come sempre, e quasi mi viene un colpo: era l’altra nonna quella defunta, avevo sbagliato morta!

Mi piace concludere con una barzelletta
che mi raccontava mia mamma.
Un bambino sta via di casa tutto il pomeriggio, quando torna la mamma lo sgrida e il bambino: “Ma mamma, anche Gesù da bambino era scappato dai suoi quando erano andati a Gerusalemme e l’hanno cercato per tre giorni.” E la mamma: “Sé, ma te ghet vist che fine che el ghà fat!”

Ed ora permettetemi di ricordare tutte quelle persone che stanno vivendo il dolore del distacco, l’angoscia dell’assenza.
Lassù Qualcuno ci ama e ci abbraccia con un amore infinito. Ne sono certo. Deve essere così. Perché noi siamo infinito.
 
(dal film Mr. Magorium e la bottega delle meraviglie)
Il padrone della fantastica bottega di giocattoli sa che deve morire, la sua aiutante (che lui ha “scoperto”) piange disperata e lo abbraccia…
- Non se ne vada!
- Mio fiorellino…
- Non sono pronta, non sono pronta ancora…
- Mi spiace…Quando re Lear muore nel 5° atto, sai Shakespeare che ha scritto? Ha scritto “muore”, tutto qui, niente di più. Niente fanfare, niente metafore, nessuna brillante battuta finale. Il culmine del più importante lavoro delle letteratura drammatica di tutti i tempi è “muore”.

C’è voluto Shakespeare, un genio, per escogitare un “muore”, e quando mi capita di rileggere quelle parole mi ritrovo totalmente sopraffatto dallo smarrimento. E lo so che è naturale sentirsi tristi, ma non per quelle parole, ma per tutta la vita che c’è stata prima di quelle parole.

Ho vissuto tutti i miei 5 atti, fiorellino, e non ti chiedo di essere felice perché me ne vado, ti chiedo solo di girare la pagina, di continuare a leggere, di lasciare che un’altra storia cominci.
E se qualcuno una volta ti chiederà che ne è stato di me, tu narrerai la mia vita in tutta la sua meraviglia e continuerai il tuo cammino con semplicità e leggerezza.
- Le voglio bene.
- Ti voglio bene anch’io. La nostra vita è un’occasione, non farla scappare.
(lei esce dalla bottega, lui lancia un aeroplanino di carta, si siede, chiude gli occhi…)
-  Addio, amore mio…”

Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo.

maestro John Comini
 


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