La storia di Luigi Castellazzo, una delle figure più discusse e controverse del Risorgimento nazionale.
Nell’estate 1866, nelle file garibaldine impegnate nell’avanzata verso Trento, si distinsero per abnegazione e sprezzo del pericolo, diversi reduci dei comitati rivoluzionari di Mantova e Verona.
Si tratta di alcuni dei patrioti che si resero contumaci in occasione delle retate di arresti del biennio 1851-1852.
Tra questi possiamo annoverare Benedetto Cairoli, Giovanni Acerbi, Giovanni Cadolini, Achille Sacchi, Giovanni Chiassi che perì nella inutile, seppur vittoriosa, battaglia di Bezzecca, e Luigi Castellazzo una delle figure più discusse e controverse del Risorgimento italiano.
Nato a Pavia nel 1827, studiò a Mantova dove il padre si era trasferito quale delegato di polizia di terza classe al servizio degli imperiali.
Nel 1848 fu espulso dall’Università in quanto sorpreso a diffondere manifesti rivoluzionari.
Dopo aver combattuto come volontario nella Legione Lombarda contro l’esercito austriaco e dopo aver difeso la Repubblica romana agli ordini di Luciano Manara, venne fatto prigioniero dai francesi, alleati dello Stato pontificio.
Ritornato a Mantova divenne l’anima ed il segretario del neo costituito comitato rivoluzionario.
L’organizzazione messa in opera dagli affiliati sembrava accorta e a prova di polizia, ma per una serie di fortuite circostanze cominciarono i primi arresti che portarono poi alla scoperta dell’intera rete del complotto.
Confidando sull’ascendente paterno, il Castellazzo non ritenne opportuno dover fuggire.
Mal gliene incolse, infatti il 22 aprile 1852 venne arrestato e tradotto nelle carceri di San Domenico.
Nei primi interrogatori ebbe a negare ogni addebito.
Alessandro Luzio, il maggior storico dei moti mazziniani e principale inquisitore del Castellazzo, nel suo approfondito studio dei primi novecento dal titolo “I Martiri di Belfiore e il loro processo”, opera peraltro riveduta dall’autore in ben quattro edizioni, via via implementata con documentazione acquisita nel corso degli anni e ceduta all’Italia dopo la fine della 1^ guerra mondiale, ebbe a scrivere “Orbene il verbale della seduta datata 19 giugno, convalidato in ogni suo foglio dalla firma nitida e sicura del Castellazzo, s’inizia con delle negative sue pertinaci”. Infatti, come ricorda sempre il Luzio, alle prime domande dell’auditore, il Castellazzo, calmo, incisivo e conscio della propria forza, rispose “Non so niente”, “Mai”, “Accuse, calunnie, non dico altro”.
Intanto a Vienna dove, secondo il Luzio “funzionava da tempo immemorabile il miglior gabinetto nero di tutte le polizie d’Europa” venne decodificato dai crittografi il famoso registro cifrato di Don Enrico Tazzoli.
L’auditore, ovvero il pubblico accusatore del tribunale militare, minacciò il commissario Giuseppe Castellazzo, padre di Luigi, di radiazione con infamia dalla polizia e di carcerazione per via della condotta del figlio.
A seguito di queste circostanze e fiaccato da due mesi di carcerazione, Luigi Castellazzo non seppe resistere alle pressioni morali e si ebbe il suo cedimento con annessa completa confessione.
Rincara la dose il Luzio “Lo udiamo spifferare, con raccapricciante abbondanza di nomi e di fatti nuovi, tutta la storia della congiura alla Corte Marziale in seduta plenaria…
Udirono spiegazioni esaurienti su tutto e su tutti. Parlò de’ torchi di stamperia, delle armi acquistate o promesse da Londra (10.000 fucili), delle visite dell’Ing. Montanari alle fortezze, degli ungheresi che si cercava di guadagnare.
Toccò delle missioni a Londra - Finzi-Scarsellini, de’ rapporti co’ modenesi, pel tramite di don Grazioli; co’ veronesi, intermediari Faccioli e Cesconi; co’ veneti, intermediari Canal, Scarsellini, Zambelli; co’ pavesi, intermediari Benedetto Cairoli e Carlo Poma; co’ bresciani, Tito Speri, corriere del Comitato…
La rassegna era condita da precisi connotati de’ cospiratori, mantovano o no che il futuro autore del Tito Vezio schizzava alla brava, assicurando che li avrebbe riconosciuti certo, né si sarebbe peritato di ripetere la verità sulla lor faccia”.
Quasi tutti i superstiti del processo di Mantova (processo alle intenzioni, ai sogni e ai desideri) confermarono con convinzione il tradimento di Luigi Castellazzo e non vollero più avere a che fare con lui.
Si mise poi a spiattellare il nome dei patrioti che erano celati nel registro di don Tazzoli con opportune abbreviazioni o pseudonimi, completando di fatto la delazione del prete Don Ferdinando Bosio e dell’avvocato Giulio Faccioli di Verona.
Ma non solo riportò quanto sapeva (ed era già molto essendo il segretario del movimento), ma anche ciò che gli sembrava probabile.
Ebbe anche l’ardire di vestire i panni dell’agente provocatore fingendosi carcerato per carpire alcuni segreti da parte dei patrioti arrestati, come avvenne con il giovane irredentista trentino Iginio Sartena.
Il trattamento di riguardo riservatogli dai carcerieri pur essendo implicato nella congiura fin al di sopra dei capelli, la sua rapida scarcerazione, il fatto che fu l’unico ad avere la completa impunità, il buon trattamento riservato al padre posto in pensione con il massimo retributivo, la sua tesi di laurea (una delle cinque presentate) intitolata “Convenienza del Diritto di Grazia” con una chiara impostazione reazionaria e austriacante, la mancanza di una sua circostanziata difesa contro le infamanti accuse di tradimento, sono tutti elementi atti a convalidare la tesi accusatoria dello storico Alessandro Luzio.
Bisogna tener presente che gli scaltri inquisitori austriaci, avendo tutto l’interesse a salvaguardare il Castellazzo e ad indebolire gli animi e le amicizie, diffondevano voci per cui furono altri arrestati ad aver fatto i nomi dei compagni di sventura.
Per raggiungere tale scopo venivano usati tutti i pretesti e le insidie come l’affermare, secondo menzognera abitudine, che tutti avessero confessato o a sguinzagliare ovunque poliziotti e spie travestiti da prigionieri.
Il Castellazzo da par suo ebbe sempre a sostenere di essere stato vittima di un complotto, minimizzando l’importanza delle sue confessioni, dovute al fatto che l’evolversi degli atti processuali non consigliava una linea di negazione a prescindere, decisamente insostenibile.
Dove il Castellazzo mentì spudoratamente è sul fatto di aver subito torture fisiche al fine di strappargli le note rivelazioni.
Si faceva scudo, forte anche dell’amicizia e della stima di personaggi illustri quali lo stesso Garibaldi, i letterati e patrioti Agostino Bertani e Alberto Mario, Jessie White Mario, Achille Sacchi, Felice Cavallotti e via discorrendo.
Perseguitato per tutta la vita dal rimorso per le rivelazioni fatte e per l’alea di sospetto che gravava su di lui, cercò di riscattarsi “dalle colpe che non han perdono” come impietosamente sostenne il Luzio, mettendosi in prima fila nelle lotte per l’indipendenza nazionale, quasi sempre al fianco di Giuseppe Garibaldi.
Lo troviamo nei Cacciatori delle Alpi nel 1859 e l’anno seguente nella battaglia del Volturno ove venne gravemente ferito.
Nel 1866 lo troviamo con i volontari garibaldini nella liberazione di Magasa e della Valvestino.
Al di là della retorica risorgimentale, la campagna garibaldina del 1866, condotta con passione e nobili ideali, ma con molta improvvisazione e senza alcuna preparazione militare, fu oltremodo sanguinosa ed inutile in quanto l’esito della guerra tra il neo costituito Regno d’Italia e gli imperiali d’Austria per l’annessione del Veneto e del Trentino, era già stato deciso al tavolo della diplomazia europea.
Nel 1872 è segretario della massoneria italiana.
Nel 1884 è eletto alla Camera per i repubblicani tra la fiera opposizione dei vecchi compagni di lotta ed il caloroso sostegno della massoneria.
Pubblicò diversi studi di notevole rilevanza storica e anche opere teatrali, collaborò con varie testate propagandando tesi mazziniane.
Il figlio di un commissario di polizia al servizio degli occupanti austriaci, il patriota e segretario del comitato mazziniano di Mantova, il responsabile dei tradimento dei congiurati nei moti mazziniani del 1851/1852, il valoroso ufficiale garibaldino dall’animo tormentato, il letterato, l’uomo politico Luigi Castellazzo, morì di malattia a Pistoia il 16 dicembre 1890.
In una lapide posta sotto i portici del Palazzo ducale nel 1895 vennero scolpiti i nomi dei diciotto costituenti che avevano dato il via al comitato rivoluzionario mantovano.
In origine figurava anche il nome di Luigi Castellazzo, ma nel 1923 il suo nome venne scalpellato via perché ritenuto un delatore e calunniatore.
Guido Assoni
Biografia
Alessandro Fabbri “Il pensiero politico di Don Enrico Tazzoli e il suo ruolo nel processo”;
Alessandro Fabbri “Tazzoli fra due condanne: l’anticlericalismo della Sinistra e l’autoritarismo della Destra”;
Enzo Raffaelli “I veneti coinvolti nella congiura mazziniana del 1851/1852. I processi di Venezia e Mantova”;
Pietro Pedrotti “Il processo dei fratelli Iginio e Giuseppe Sartena”;
Giampaolo Zeni “Il maggiore Luigi Castellazzo e la campagna garibaldina del 1866 sul fronte di Magasa e Valvestino”;
Olga Visentini “Belfiore”;
Alessandro Luzio “I martiri di Belfiore e il loro processo”.
ID68891 - 19/10/2016 14:06:31 - (brogio) - signor Assoni
ottima ricostruzione che è la seconda parte di un precedente suo articolo. Non sapevo che il Chiassi fosse uno dei patrioti di Mantova. Sfortunato non poco dato che riuscì a stento a sfuggire alle repressioni austriache per poi finire ammazzato nella più inutile delle battaglie.