16 Febbraio 2016, 18.43
BLOG - Lo Stellante

Su Spinoza o dell'inutilità del pensiero

di Nicola Zanoni

Questo articolo nasce dall'incontro su Spinoza tenuto dal prof. Luciano Pace nell'ambito della 'Scuola di Filosofia' promossa dall'ufficio scuola della Diocesi di Brescia


Corso che si tiene presso la biblioteca di Odolo ogni secondo martedì del mese.
Questa sera, alle 20.30, si terrà la lezione su Leibniz.

Nell'ottobre del 1632, a Delft, in Olanda, Ian Veermer vide la luce. Letteralmente. Vermeer ne fu il cantore, l'aedo, l'amante.
Caravaggio, suo precursore, ancora vede oggetti illuminati, sottratti alla tenebra. Caravaggio cioè ancor vede l'opera di Dio che separa (si pensi alle sue decollazioni!), con gesto fatale e violento: “la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta” (Gv 1, 5).
Vermeer non oggetti, ma luce dipinge. Non cose visibili, ma la visibilità stessa. Ciò che, non potendo essere direttamente guardato, consente che altro si guardi, si faccia guardare. Pizzi, merletti, aghi, brocche e broccati, bicchieri, facciate di case sono soltanto un pretesto.

Un mese dopo – novembre 1632 – la comunità ebraica di Amsterdam salutava un nuovo profeta.
Baruch Spinoza nasceva in una famiglia di ebrei marrani, esuli dal Portogallo, stanziatisi in luoghi meno attenti a certe questioni. Eppure, anche la pacifica, protestante Olanda avrebbe di lì a poco rinnegato come empie le troppo ardite tesi del malinconico (così lo descrivono le biografie dell'epoca) autore dell'Ethica, condannandolo (quasi) allo stesso destino di Socrate. Perché?

“Bruma dorata, l’Occidente saluta
Alla finestra. L’assiduo manoscritto
Aspetta, già intriso d’infinito.
Qualcuno pensa a Dio nella penombra
Un uomo genera Dio. E’ un giudeo
Dagli occhi tristi, pelle color d’oliva;
Lo porta il tempo come porta il fiume
Una foglia nell’acqua che va via.
Non importa. Il mago insiste e intaglia
Dio con geometrica purezza;
Dalla sua malattia, dal suo niente,
Con la parola intende a costruire a Dio,
Il più prodigo amore gli fu concesso
Amor che non chiede essere amato”:

così Borges celebra, nel 1976, Spinoza.
Che, rinnegato da tutti, per sopravvivere faceva l'intagliatore di lenti. E, per vivere, l'intagliatore di Dio.
Questo fu il suo peccato – almeno, agl'occhi degli uomini.
Le stesse lenti attraverso cui Galileo scopriva le macchie lunari e i satelliti di Giove, le stesse lenti che dalla camera oscura di Caravaggio e Vermeer avrebbero portato alla moderna macchina fotografica – ecco, quelle lenti, tra le mani di Spinoza ora servivano a guardare Dio 'faccia a faccia' ora, qui, sulla terra. E a scoprire che il microscopio è in realtà uno specchio.

Il Dio plasmato dall'arte dell'abile, eretico vetraio, non era infatti più l'ente trascendente, creatore, distinto dal mondo, giudice severo e padre misericordioso dei tre grandi monoteismi abramitici, ma diventava un tutt'uno con il cosmo – “Deus sive Natura” è il famoso motto – scolpito definitivamente nella parola dell'Essere.
Sì perché Spinoza ci dice che solo Dio è, poiché solo in lui – questa la formula esatta con cui intrappolarlo – l'essenza coincide con l'esistenza. In altre, più semplici parole: cercando sul dizionario, solo alla voce 'Dio' troveremmo la (già biblica) definizione: 'Colui che è'; per tutto il resto (l'uomo, il mare, le stelle...) troveremmo che 'è questo', 'è quest'altro'. Dunque, solo Dio è per definizione. Dunque, è.

Da qui non è difficile (di)mostrare come, data tale definizione di Dio, questi debba coincidere con il mondo e con tutto quanto in esso accada, in una estrema forma di panteismo (o, per i palati più raffinati, 'panenteismo') dal sapore fortemente orientale.
Tutto è in Dio e tutto è manifestazione (finita) di Dio (infinito): dalla feroce lotta delle belve in amore allo sbocciare di un fiore, dal dolore materno del travaglio all'esplosione di galassie ignote, dal più profondo, segreto amplesso nel cuore della notte allo scintillio baluginante del pensiero. Il quale ormai si fa tutt'uno con le cose che pensa, essendo tanto quelle quanto questo attributi, espressioni di quel Dio che soltanto 'è'.

Come la luce nei quadri di Vermeer, cioè, il Dio di Spinoza illumina il Mondo, riflettendosi, inabissandosi in esso – fino a smarrirvisi, per riemergerne, indistinto da questo.
Accade a loro come agli amanti di Neruda, dei quali l'uno (ma non è ammesso siano due!) dice all'altro – e quindi a se stesso:
“così ti amo perchè non so amare altrimenti che così,
in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno”.

.in foto: The Little Street di Johannes Vermeer



Commenti:
ID64364 - 16/02/2016 22:35:06 - (Dru) - Come l'anima di Aristotele

Ma ad Aristotele e a Spinoza potremmo domandare, a loro che mostrano di comprendere la trascendenza del mentale, più che a Marx e chi segue il riduzionismo del criticismo moderno, cosa può essere quel Dio o quell'anima, anche se Aristotele mostra di identificare quella al manifestarsi del mondo, se non il luogo dei luoghi o l'orizzonte coscienziale dove tutte le cose del mondo appaiono per come appaiono?

ID64365 - 16/02/2016 22:43:41 - (Dru) - Ora

L'inutilità del pensiero deve apparire per essere, e quindi deve apparire prima di tutto nel pensiero non ridotto a quell'ammasso di cellule e relazioni neuroniche della neurofisiologia che possono essere messe su una lastra di vivisezione e così anche studiate e squartate. Anche il vivisezionato, studiato e squartato devono in qualche modo apparire nel pensiero o mentale, o Anima, o Dio, o fenomeno, o esperienza, quindi parti fra le parti del mentale. Nelle tesi di Feuerbach Marx sostiene che è l'esistenza a determinare la coscienza. Si tratta di capire che così non stanno le cose, ma è anche questo un lungo discorso che qui ho solo sfiorato.

ID64366 - 16/02/2016 23:06:11 - (Dru) - Che Dio appaia nel mentale

è vero, che il mentale appaia in Dio è il tender al vero o fede...

ID64367 - 16/02/2016 23:12:58 - (Dru) - Ora

Se vogliamo chiamare il mentale Dio, sia, ma non cambia il manifestarsi di ogni cosa, ciò che cambia, a questo punto, sarebbe solo il nome del manifestarsi di ogni cosa. Si tratta di comprendere con quanta volontà la filosofia abbia tracciato la trascendenza e sia implicata in essa.

ID64368 - 16/02/2016 23:23:02 - (Dru) - La trascendenza, o Dio

nella filosofia prima e nelle religioni postfilosofiche come il critianesimo poi, sussiste grazie al senso greco del divenire. È sulla fede di come il mondo appare e per come le cose del mondo appaiono, che si produce nell'episteme dell'Aletheia o nello stare del non nascondimento (apparire) una seconda fede (perché la prima è nel divenire), la fede in Dio o fede nella struttura stabile della morte di ogni cosa. Aristotele la chiama materia prima, Spinoza Dio e la scienza energia. Ma tutte aueste forme o eterni, lo sono sulla base di un mondo che muore, cioè diviene nulla e dal nulla viene.

ID64369 - 16/02/2016 23:25:58 - (Dru) - Ma se il mondo delle cose muore

e Spinoza dice appunto che il mondo è Dio, Dio muore.

ID64370 - 16/02/2016 23:28:11 - (Dru) - Infatti

anche se Spinoza non lo sa, e non lo può prevedere, la sua filosofia, identificando il mondo a Dio, non fa altro che registrare, essendone precursore, la originarietà greca del senso diveniente del mondo.

ID64371 - 16/02/2016 23:30:22 - (Dru) - Originarietà del senso greco del divenire

che, concreto, è la filosofia moderna del Dio è morto.

ID64372 - 16/02/2016 23:42:46 - (Dru) - L'inevitabilità, del pensiero moderno, di questa concretezza

non costituisce affatto un dislocamento o un origiale senso del mondo, rispetto a quello evocato dalla filosofia antica, degli albori, anzi. Si tratta, appunto, del suo preconscio quella filosofia, cioè del vero senso che ha condotto la stessa modernità alla morte di ogni cosa, anche a quella di Dio. Preconscio che anche la consapevolezza di come stanno le cose, in chi vive la modernità, e della potenza tecnoscientifica, può svelare di sé. Insomma, anche in chi sa la superficiale canzoncina d'organetto, che tutti sanno dire, di Dio è morto, non mi riferisco quindi al laicismo che non sa altro di sé, in chi sa ascoltare il fondo delle cose, anche di quelle del pensiero moderno, può svelare il proprio preconscio, la originarietà del senso greco del divenrie delle cose tutte.

ID64373 - 17/02/2016 08:13:03 - (Dru) - Il divenire

appare sullo sfondo del senso greco di "cosa". La cosa, o ente, è ciò-che-è perché non è niente. Ma questa manifestazione del mondo delle cose tutte, manifestazione che è appunto lo sfondo su cui ogni cosa appare, da che i Greci hanno evocato il senso inaudito di queste, senso inaudito che pervade ogni nostra moderna azione e ogni nostro voluto, manifestazione dell'esser non nulla delle cose, fin tanto che sono, ma del loro esser nulla, quando non sono, è l'originarietà del pensiero moderno. Noi tutti, quando parliamo, anche se a volte le implichiamo, anche se non sempre ci riflettiamo, parliamo delle "cose".

ID64374 - 17/02/2016 08:17:05 - (Dru) - e quindi

questa mia mano che pigia bottoni sulla tastiera è una cosa, il vostro PC è un'altra cosa, Dio stesso è una cosa, e così tutto quanto ci circonda, perché se ci fosse un senso ancora più originario della cosa come significato più ampio in cui tutti noi agiamo e in base al quale viviamo, allora quell'altro sarebbe comunque una cert'altra cosa. E se Dio non fosse una cosa, sempre per quel senso evocato dai Greci, Dio sarebbe niente.

ID64375 - 17/02/2016 08:20:42 - (Dru) - su questo spartito ora vi esorto a rileggere i

versi di Borges, quella foglia portata dal tempo, è l'essere che diviene nulla. ogni poesia, se vuol esser vera, e questa di Borges appunto è un tender al vero, ha questa dimensione irriducibile all'originaria dimensione del senso Greco della cosa, dunque o si instaura nella fede dell'episteme, o in quella dell'annientate divenire.

ID64376 - 17/02/2016 08:21:25 - (Dru) -

annientante divenire...

ID64379 - 17/02/2016 21:52:09 - (Dru) -

Bello scritto il tuo Nicola, come sempre...

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