14 Settembre 2015, 10.51
Valsabbia Provincia
Economia

Ripartenza?

di EnneEmme

“Aumento delle stime di crescita”, “L’Italia ha svoltato, la crescita c’è”, “Basta piagnistei, l’Italia è ripartita”. I titoli di giornali e tg si riconcorrono sulle notizie di una previsione di crescita superiore alle aspettative. Tuttavia la cautela è d’obbligo


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L'eccesso di entusiasmo, soprattutto in politica, può indurre a produrre astrazioni di realismo. Previsioni disattese, retromarce e il solito “anche quest’anno si cresce l’anno prossimo” sono film già visti.

Certo, è opinione diffusa che la situazione economica sia in leggero miglioramento: lieve aumento dei consumi, crescita nella produzione industriale, impennata dell’export.

Insomma un quadro di ripresa, seppur debole.

Occorre però ricordare anche i dati negativi: il rapporto Svimez sul Meridione di appena un mese fa sembra finito in soffitta. I dati parlano chiaro: il Sud produce metà della Grecia, e il divario con il nord e il centro continua ad ampliarsi.

Negli ultimi tre anni le tasse degli enti locali a carico dei cittadini sono aumentate del 22%.

La ricetta del governo sono le riforme, sia come volano per la ripresa economica - con una conseguente diminuzione della disoccupazione -, che come antidoto ai lacci e lacciuoli che “impediscono al paese di esprimere le proprie reali potenzialità”.
E se lo stile con il quale vengono presentate dal governo rimane discutibile, venendo propagandate come un tabellone di un torneo di tennis “oggi questo, domani quello, entro ottobre l’altro”, la necessità di vederle tramutate in legge è quanto mai impellente.

Così la cancellazione del senato viene continuamente esaltata
nell’ultimo periodo come la madre di tutte le riforme, salvo poi chiedersi quali vantaggi porterà alle comunità la nomina a senatori dei futuri consiglieri regionali che, soprattutto negli ultimi anni, non hanno certo brillato per onestà e competenza (non la maggior parte, per fortuna).

La decisione di voler abolire Tasi e Imu
sulla prima casa (tassa più odiata dagli italiani), è un segnale di distensione verso i cittadini. Un atteggiamento di buon senso, tanto più se gran parte delle famiglie italiane sono proprietarie della propria abitazione. Il punto è che ormai i cittadini hanno verso la politica e lo stato un atteggiamento sospettoso. Si fidano delle promesse (forse), ma fino a un certo punto.

Il dilemma quando si parla di tasse è sempre lo stesso
: se l’Imu scenderà, da che parte il fisco attingerà per sostituire quel gettito che non può rinunciare a incassare?

Un chiaro esempio è il federalismo fiscale, presentato come soluzione di tutti i problemi. In realtà un mezzo fallimento. L’esperienza si è risolta in un incremento del prelievo complessivo, senza che il meccanismo “vedo, pago, voto” abbia rappresentato effetti virtuosi.
Risultato: lieve diminuzione delle imposte statali a fronte di un forte aumento delle imposte locali.

Servirebbe una sorta di contratto fra stato e cittadino, una clausola di salvaguardia, un memorandum che garantisca l’impegno dello stato che se alcune imposte scendono, altre non salgano. Il rischio sarebbe per il contribuente l’ennesima beffa contabile.
La soluzione è diminuire la spesa dello stato. I buoni propositi di spending review rimangono sempre parole vuote. Basti pensare che gli ultimi cinque governi hanno elaborato ben 33 rapporti. Forse sarebbe ora di metterli in atto, senza paura, senza il timore di poter perdere le prossime elezioni.




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