19 Agosto 2015, 15.33
Barghe Provincia
Arte

L'ultima cena dell'Amigoni

di Giancarlo Marchesi

Secondo due autorevoli esperti, la pala conservata in San Giorgio a Barghe sarebbe del più illustre fra gli artisti bresciani del Seicento


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Il compianto Felice Mazzi, farmacista d’origine veronese trasferitosi a Vestone negli anni Cinquanta e divenuto nel tempo un profondo conoscitore di storia valsabbina, nell’ambito della ricca monografia dedicata alla comunità di Barghe, chiudeva la scheda riservata all’Ultima cena, la pala che arricchisce la parrocchiale, scrivendo: «Allo stato attuale della ricerca nono si conosce l’autore, ma alcuni elementi rimandano ad alcune tele del Gandino. Ulteriori approfondimenti potrebbero riservare piacevoli sorprese».

Sono ormai passati quasi vent’anni dalla pubblicazione di quel volume ma, a distanza di tanto tempo, l’auspicio di Felice Mazzi si è concretizzato.
Ciò è stato possibile grazie alla perspicacia e alla passione per l’arte di due illustri personalità della cultura bresciana: Carlo Sabatti, membro della Fondazione Civiltà Bresciana, e Romeo Seccamani, restauratore d’arte e socio dell’Ateneo di scienze lettere ed arti di Brescia.

I due esperti, dopo un attento sopralluogo della Chiesa di San Giorgio e uno minuzioso studio della tela, hanno attribuito l’opera pittorica al grande artista bresciano Ottavio Amigoni.

Sabatti e Seccamani - che nel recente passato hanno saputo valorizzare a diverso titolo questo importante esponente della pittura seicentesca – sono concordi nell’affermare che dalla pala di Barghe (attribuita sinora dalla critica ad Antonio Gandino) «emerge il singolare senso pittorico di Ottavio Amigoni».

«Nelle sue opere – proseguono i due esperti – Amigoni riesce a cogliere e ad esprimere il senso religioso più autentico del XVII secolo. Con l’Ultima cena di Barghe l’artista dà prova di essere una voce pittorica sincera e nuova, perché Amigoni riesce a impostare un colore tutto suo ed è sorprendente il suo modo di scandire la spazialità modulando la luce, accendendola e smorzandola con gorghi d’ombre trasparenti, e riuscendo così ad accendere musicalità pittoriche di singolari atmosfere intrise di vivido pastelloso colore».

Come è emerso anche dall’importante mostra del 2011, curata da Giuseppe Fusari, in occasione del 350° anniversario della morte, Ottavio Amigoni è considerato il maggiore artista bresciano del Seicento, e non solo per la qualità della sua pittura, ma anche per la molteplicità dei suoi orientamenti e delle sue fonti di ispirazione.

I risultati delle ricerche su Amigoni, in questi ultimi venticinque anni, hanno fatto luce su un personaggio complesso e dalle molte sfaccettature che – aggiunge Seccamani – recupera esempi della pittura del ‘500, ma con la consapevole ricerca di un modo tutto suo nell’uso delle potenzialità comunicative e sensoriali del colore, in contrasto con la pittura del suo tempo che era basata sulla contrapposizione esagerata di stampa caravaggesco fra luce e ombra, con chiari che tutto rilevano e ombre che tutto nascondono».

Giancarlo Marchesi




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