Imelda e Massimiliano

Un riconoscimento per la dedizione sconfinata di una madre al figlio disabile. Il premio «Pietro, Piergiuseppe e Piercarlo Beretta» è stato assegnato a Imelda Pederzoli Amolini, una donna che da quasi vent’anni si occupa a tempo pieno del figlio paralizzato in seguito a un grave incidente.
Era il pomeriggio del 13 agosto 1990 quando Massimo, appena diciassettenne, si tuffò nelle acque del lago di Garda per ripescare la ciabatta di un’amica. L’impatto costò al giovane, che sognava di fare il meccanico, un lungo periodo di coma ed una tetraplegia irreversibile che lo costringe a letto, accudito dalla madre 24 ore su 24 nella casa di Carpeneda di Vobarno.

«Massimo rimase in coma per 144 giorni all’Ospedale Civile - ricorda la signora Imelda -. Dicevano che era quasi impossibile che si riprendesse perché tre vertebre erano scoppiate ed era anche sopraggiunta una trombosi che gli ha bloccato l’uso della parola. Quando miracolosamente si è svegliato, lo abbiamo trasferito a Sondalo, in un’apposita struttura, dove siamo rimasti per quasi due anni».
È qui che la madre, con i medici, ha messo a punto un sistema per consentirgli di comunicare: «Su un pannello sono affisse le lettere dell’alfabeto ed i numeri. Io le tocco e mio figlio mi fa capire con il movimento degli occhi quando è il momento di fermarmi. Così compongo parole e frasi per lui».
«L’incidente è stata una tragedia ma ciò che è stato è stato. L’importante è che lui sia sereno: noi lo siamo perché lui è ancora qui con noi».

(i. ro.) dal Giornale di Brescia

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