24 Maggio 2015, 07.58
Valsabbia
Psicologia & Benessere

La presenza mentale, non solo col cibo

di Gianpiero Rossi

La «presenza mentale» va sviluppata non solo a contatto con il cibo come rimedio per chi rischia di non percepire né la qualità né la corretta quantità


In questo caso diventa uno tra i metodi per dimagrire in chi ha perso la consapevolezza, ma è un modo di essere e di vivere con implicazioni ben più profonde..
È una condizione fondamentale nella vita quotidiana. Accade spesso che minuti, ore, intere giornate scorrono senza che nemmeno per un istante ci si accorga di essere vivi, di esistere.

Quando viviamo senza accorgerci di noi, quando cioè non ci osserviamo, siamo proiettati in un altro mondo, in altri luoghi e tempi diversi dal presente, cioè passato o futuro. Così non viviamo profondamente la realtà presente.
Questi attimi o intere giornate, sono momenti di non vita, di non appagamento, tantomeno col cibo, quando ci avviciniamo a esso con distrazione.

Ecco la necessità di trasformare questa condizione di meccanicità in uno stato di presenza attraverso il quale rendere la vita una meravigliosa palestra di esperienza cosciente in una direzione evolutiva e trasformare quelli che normalmente sono condizionamenti limitanti, come certe abitudini.

La ricerca della presenza è uno stato ricercato in tutte le evoluzioni personali con esercizi meditativi, fino a riappropriarci di uno stato di profondità del vivere dove i sensi raggiungono il loro massimo risveglio.
 
Cominciamo a farlo a tavola, ma non limitiamoci a essa.

Che cos'è questa presenza mentale altrimenti detta consapevolezza?
E’ certamente accaduto qualche volta che, improvvisamente e senza alcuna ragione apparente, la mente si sia come aperta, illuminata e che la visione delle cose e degli stessi pensieri che si stava seguendo un attimo prima fosse come espansa. Ogni tanto accade. Non occorrono grandi novità, adrenalina o sapori forti per suscitarlo.

Lo stato di coscienza, comunque, inizia proprio quando ci accorgiamo di NON esserci e proprio in quel momento, per la prima volta in maniera più concreta, che ci accorgiamo di avere una coscienza e di non essere preda di un automatismo inconsapevole.

Accorgerci che ci distraiamo è il vero risultato della meditazione per riportare la mente all'oggetto della nostra attenzione.
Provatelo nel prossimo pasto o nella sua preparazione o nelle coccole o passeggiata.
 
IL RUOLO DELL'OSSERVAZIONE.

In una situazione d’inconsapevolezza, come quando non ascoltiamo o mangiamo senza sentire cosa e quanto passa nella nostra bocca, inizialmente non possiamo fare nulla di significativo per cambiare la qualità della nostra vita se non osservarci.
Ciò vale ovviamente in tutte le altre situazioni importanti in cui non percepiamo a fondo ciò che stiamo facendo. In questi casi il primo obiettivo raggiungibile è, infatti, rendersi conto con precisione della propria condizione.
 
In questa dimensione anche la durata dell’esistenza dal punto di vista della qualità non è così significativa. Senza una reale consapevolezza di sé, vivere un'ora un giorno o un anno o peggio ancora una vita così, non fa una grande differenza.

Se invece riusciamo a osservarci e quindi ad accorgerci di noi, della nostra vita e di tutto ciò che ci accade, presto si produrrà un cambiamento. Se prima di introdurre questa consapevolezza la nostra vita trascorreva senza di noi e quindi semplicemente non c’eravamo con la testa, ora invece ci siamo, per tutto il tempo in cui riusciamo a esprimere quest’attitudine: cioè siamo vivi, nel senso pieno di questa parola.
 

GUARDATI COME MANGI E TI DIRAI CHI SEI…
Quando si osserva non si deve cambiare niente, altrimenti non si sta osservando. Ad esempio, se proviamo a mangiare con la mano sinistra tanto per costringerci a rallentare, cambia tutta la nostra solita abitudine. Non stiamo producendo un'osservazione dell’abitudine, mi stiamo facendo un esercizio, anche se utile per altri versi.

Naturalmente è possibile osservare i risultati di un esercizio ma sono due cose completamente diverse perché noi vogliamo renderci conto di ciò che facciamo abitualmente, non solo quando siamo consapevoli.

Osservare non è ancora produrre modificazioni. Osservare è mettersi a una giusta distanza, tale che non modifichi lo svolgimento dell'evento e quindi prendere riferimenti su ciò che sta accadendo.

Come prendere appunti o osservarci dall'esterno. A cosa serve? Serve a stabilire qual è il punto di partenza e la tendenza delle abitudini che se lasciate in automatico, nessun cambiamento può iniziare o tantomeno perdurare.

Questo il motivo per cui l'osservazione frequente, la sola attività possibile inizialmente, è richiesta quando si fa un lavoro su di sé.

Prima ancora di pretendere di cambiare con tutta la pazienza necessaria è sufficiente l'OSSERVAZIONE per produrre nella vita conseguenze interessanti.
Ad esempio quando cominciamo a osservarci siamo tolleranti perché vediamo che tanti altri sono nella nostra stessa condizione.
Poiché noi e gli altri siamo paragonabili, scopriremo presto che possiamo utilizzare anche le loro esperienze. Questo crea in noi un vantaggio. Possiamo produrre vantaggio osservando l'altro, compassionevolmente, senza giudizio, della serie "proprio come me anche questa persona…".

L'altro ci funge così da specchio, ci ricorda quando cadiamo nelle sue stesse abitudini e silenziosamente e rispettosamente possiamo cercare di recuperare la nostra attenzione. Facilmente può accadere che l'altro faccia altrettanto. Come il caos a tavola influenza gli altri, viceversa anche abbassando la voce gli altri ci seguono.

Ma questo influenzamento è tutto un altro discorso…
 
L’AUTOOSSERVAZIONE
Nel mio lavoro di psicoterapia, ho notato che moltissimi clienti, nel corso della propria vita, si relazionano al cibo, al corpo e alla salute in modo inconsapevole, senza la necessaria attenzione e curiosità, con la conseguenza di essere delusi dal non ottenere ciò che vogliono. Non riescono mai a capire la grandezza e la profondità del viaggio che porta a esplorare osservando come ci relazioniamo al mondo esterno. Ma cosa osservare? Nel nostro caso da come fai la spesa a come prepari il cibo a come lo mangi e condividi.

OSSERVATI MENTRE PREPARI IL CIBO
Sei attenta a creare un tuo tocco personale e creativo o sei preoccupata che non corrisponderà alle regole della ricetta o al gradimento degli altri? C’è piacere o distrazione?
Ti disperdi su più fronti con caos o sei organizzata?
Sei in sintonia o in distonia con chi eventualmente ti sta aiutando?
Deleghi volentieri certe parti a chi può aiutarti o vuole imparare o ti fidi solo di te stessa fino a sovraccaricarti?
Prepari la tavola con qualità o sei superficiale? Con un tocco personale o ripetitivo? C’è colore e senso estetico o grigiore?
Questo accadrà anche nella vita.
 
OSSERVATI MENTRE MANGI.
Sei tesa o rilassata? Attenta o distratta? Veloce o calma nell’assaporare?  Serena o preoccupata di ciò che riguarda il nutrimento o ciò che pensi?
Senti il boccone presente o sei proiettata al successivo?

E’ solo un nutrimento o anche un rituale di piacere da condividere con gli altri?
“Ogni momento è un’opportunità per fare pace con noi stessi e il mondo”.
Ciò che accade a tavola lo trovi anche in altre abitudini?
Osservarci per accorgerci ciò che accade in noi e dunque la prima cosa che possiamo praticare per orientarci nella direzione di un cambiamento.
Riuscire a guardarci mentre qualcosa accade produce inevitabilmente una trasformazione, rappresenta già un grande risultato nella consapevolezza dello stato presente per determinare lo stato futuro.

Ciò che esiste realmente è solo l'attimo presente con la sua verità, bella o brutta: esiste l'ora, l’istante, esiste un attimo che ti chiama.

Talvolta noi, per non rispondere, chiudiamo le porte dei sensi
dicendo che abbiamo altro per la testa. Tutto ciò non è altro che chiuderci ai sensi e andare nell'immaginazione, vivere nei pensieri o peggio ancora nel sonno.

Amarci così come siamo non significa accettare passivamente ciò che abbiamo osservato, se non ci sta bene. Conviene ricordare a noi stessi che c'è un'altra possibilità nel miglioramento continuo.
Questo è l'amore. Ogni volta che neghiamo un'altra possibilità di cambiamento positivo, ogni volta che ci diciamo "non lo so fare, è impossibile, e troppo difficile, non ce la farò per " noi neghiamo tutto ciò che siamo e che possiamo diventare.

L'unica possibilità che abbiamo è la pazienza.
Possiamo solo provare e riprovare a riportare attenzione e presenza a ciò che vogliamo dopo aver osservato ciò che non vogliamo.

Non esiste nient'altro se non questo: provare e riprovare fino a trovarsi in continui attimi di presenza, quando è possibile affermare "io ci sono, ci sono con la testa, ci sono con i sensi".
 

LE PREMESSE PER LA PRESENZA MENTALE

La quantità d’informazioni che normalmente riceviamo e sommiamo non ci fa accedere a un adeguato stato di presenza.
Moltiplichiamo le informazioni nell’abitudine del multitasking del fare quotidiano, non solo sul lavoro ma che invitiamo anche a tavola con tutti i media e social media che ci squillano sul cellulare messo accanto alle posate. Pranzare o cenare insieme non dovrebbe essere una pausa?

Per esistere, per vivere intensamente o semplicemente apprezzare il presente, dobbiamo imparare a selezionare la qualità e la quantità delle cose da fare, riducendole al minimo: è necessario cercare di fare meno e fare meglio, fare quelle cose che ci proponiamo, stando completamente connessi (con-essi). Allora accade una rivelazione: incominceremo a sapere con precisione ciò che facciamo, in tutta la sua reale qualità da osservare e migliorare.

Nel nostro caso significa selezionare ciò che conta veramente: dall’atto della preparazione di un cibo, fino a quanto e cosa stiamo introducendo nel corpo come reale piacere percepito e bisogno rispettato invece che dissacrato o attutito tra l'overdose di stimoli.

Buona presenza.

Gianpiero Rossi
Psicoterapeuta presso Studio di Medicina Clinica
Lumezzane - tel. 030 82 64 09
Body Mind Center, Salò - tel. 0365 21 318
gprossi2015@gmail.com
www.magrapersempre.it



Commenti:
ID58019 - 24/05/2015 18:19:22 - (Dru) - Questo articolo mi dà modo di riflettere un concetto importante sul pensiero

l'articolo presuppone che si possa non essere presenti e vi spiegherò perché tale affermazione è impensabile se non contraddittoriamente. Il pensiero di quanto scritto nel titolo risulta contraddittorio in quella parte in cui si supponga un pensiero non presente. Solo se mi e siamo che il pensato sia astratto dal pensiero allora possiamo fare discorsi di tal genere, perché il pensato, allorché nullo, è isolato dal pensiero, cioè indipendente. È possibile un pensato senza il pensiero? No, non è nemmeno pensabile e ciò che è impensabile è appunto ciò che si presenta come contraddittorio. Ogni pensiero è presenza del pensiero e del suo pensato che se fosse anche assenza, e questo presuppone la sua non presenza, allora quel pensato non esisterebbe. Tutto qui, un'osservazione filosofica...

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