26 Marzo 2015, 06.57
Bif&st

Nel segno di Ettore Scola

di Nicola 'nimi' Cargnoni

Direttamente dal Bif&st, dove si trova il nostro inviato Nicola 'nimi' Cargnoni, ecco il reportage delle giornate di martedì e mercoledì


MARTEDÌ 24 MARZO

Giornata che si apre con uno dei capolavori di Ettore Scola (successivamente la sinossi e il commento), il protagonista della “lezione di cinema” odierna.

Intervistato da Enrico Magrelli, che gli chiede cos’avrebbe fatto se nel marzo di 120 anni fa i fratelli Lumière non avessero inventato il cinematografo, Scola risponde che un mestiere affascinante, e che avrebbe intrapreso, è quello del calzolaio.

L’aneddoto personale si incrocia col racconto della sua carriera cinematografica, iniziata più di cinquant’anni fa, quando il giovane Scola voleva “copiare Steno” e “diventare Fellini”.

«I giovani di allora amavano l’Italia. Oggi come si fa ad amare questa Italia?» è l’amara domanda, quantomeno retorica, che il regista si pone, trovando nell’attuale crisi etica e culturale il motivo principale per cui gli stimoli a fare arte vengono meno.
Secondo Scola ai giovani di oggi «manca l’orizzonte, manca dove spingere lo sguardo. Noi l’orizzonte lo avevamo, vivevamo in un paese che amavamo e sapevamo che in qualche modo dovevamo “partecipare”».

Presidente del Bif&st, Scola dà molto spazio all’esperienza del Festival nelle sue parole. Sottolineando la fortissima presenza/partecipazione di giovani, afferma che è soltanto in loro che ripone speranza: «non credo in Tsipras, non credo in Renzi e non credo in nessuno di loro, perché non vedo la proposta di un progetto; credo solo nei giovani.
Mi fa piacere che i giovani vengano a vedere i film, che tra loro ci sia qualcuno che vuole fare il regista, lo sceneggiatore e l’attore, ma mi piacerebbe che ci fosse anche qualche falegname e calzolaio, qualcuno che ami questo paese».

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Una giornata particolare

di Ettore Scola con Sophia Loren, Marcello Mastroianni, John Vernon. Italia 1977, 106’

Genere: drammatico

Categoria di concorso: fuori concorso – lezioni di cinema

Valutazione: ****½

Un Mastroianni omosessuale e una Sofia Loren casalinga sono i protagonisti di questa storia che vede il totale ribaltamento di ruoli dei due famosissimi attori.

Durante la visita di Hitler a Mussolini, la famiglia di Antonietta si reca all’adunata. Mastroianni invece è Gabriele, un annunciatore radiofonico che attende di essere mandato al confino per la sua omosessualità.

L’incontro tra i due darà vita a una delle storie più belle mai raccontate su schermo; un racconto spiritoso, ma al contempo duro e drammatico.

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Jamais de la vie

di Pierre Jolivet con Olivier Gourmet, Valérie Bonneton, Marc Zinga. Francia 2015, 95’

Genere: drammatico

Categoria di concorso: panorama internazionale

Nelle sale: prossimamente

Valutazione: ***½

Altro film francese che segna una buona presenza di film d’oltralpe nella categoria Panorama internazionale del Bif&st.

Anche in questo caso il transalpino Jolivet, come i suoi colleghi, sfrutta a pieno il tema della crisi che sta coinvolgendo questa parte d’Europa in maniera acuta.

Un guardiano notturno capisce che alcuni colleghi stanno preparando qualcosa di losco proprio al centro commerciale dove lavorano.

Ex operaio e sindacalista, il protagonista si sta finalmente per sistemare con un contratto a tempo indeterminato; conosce una donna, divorziata e madre di due figli, che lavora presso l’ente di previdenza.

I vari sub-plot delle altrettante relazioni personali si intrecciano su una trama principale che è quella che vede il protagonista ancora animato dal sacro fuoco che lo ha portato, alcuni anni prima, ad avere problemi sul lavoro proprio per il suo ruolo di sindacalista.

È un film drammatico che sconfina spesso nel noir; l’ambientazione notturna, le situazioni tese e una crisi economica, che condiziona veramente in maniera impressionante le relazioni tra i personaggi, sono gli ingredienti di questa pellicola che nel complesso colpisce nel segno, lasciando qualcosa su cui riflettere alla fine.

Come in «Discount» (proiettato lunedì 23) emerge in maniera viva il tema della solidarietà e dell’empatia tra i personaggi e tra lo spettatore e il protagonista.

Con questo film si conferma il livello medio-alto dei film presentati fino a questo momento al Bif&st.

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Lucia de B.

di Paula van der Oest con Barry Atsma, Sallie Harmsen, Ariane Schluter. Olanda-Belgio-Svezia-Lussemburgo 2014, 97’

Genere: drammatico

Categoria di concorso: panorama internazionale

Nelle sale: prossimamente

Valutazione: ***½ 

La storia vera di Lucia de Berk arriva su schermo grazie alla regia dell’olandese Paula van der Oest.

Lucia è un’infermiera che, particolarmente dedita al proprio lavoro, a fine anni Novanta e inizio Duemila si occupava particolarmente ai reparti di geriatria e pediatria.

Stando molto tempo coi pazienti e prendendo a cuore le loro sorti è normale che durante i suoi turni siano accaduti diversi decessi. La morte del neonato Timo, però, sarà la goccia che scatenerà attorno a Lucia un caso giudiziario e mediatico. Accusata di essere una serial killer, la sua odissea dura dieci anni, di cui quasi sette passati in carcere.

Storia che si basa su un plot molto teso, tra gli idealismi di avvocati e procuratori, ma che mette in luce un problema che a quanto pare non affligge soltanto l’Italia: l’uso di capri espiatori per coprire colpe ben più grandi e intrecci ben più complessi di come invece non appaia in realtà.

L’ospedale di L’Aia in cui lavora Lucia ha infatti qualcosa da nascondere e lei sarà il viatico per risolvere la situazione. Malamente.

Splendida l’interpretazione della protagonista, capace di mettere in scena un personaggio che mantiene sempre la calma, che non vacilla mai (o quasi) e che resiste per amore della figlia e del proprio compagno.

Lucia ha avuto una vita difficile, ha particolari gusti cinematografici ed è una persona molto riservata: questo porta colleghi e inquirenti a fare di lei un ritratto mostruoso, da «Sbatti il mostro in prima pagina», che ci fa realizzare come, spesso, molte persone facciano da capri espiatori nella vita di tutti i giorni, non soltanto per vie giudiziarie.

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Smokings

di Michele Fornasero con Carlo Messina, Gianpaolo Messina. Italia 2014, 96’

Genere: documentario

Categoria di concorso: fuori concorso 

Nelle sale: attualmente (uscita 19 marzo 2015)

Valutazione: ****

Sorprendente documentario sulla storia dei fratelli Messina, che da più di un decennio producono sigarette a Settimo Torinese.

In realtà la loro è l’ultima fabbrica italiana di sigarette e il film racconta l’epopea della Yesmoke (questo il nome dell’azienda), compresi tutti gli ostacoli che le multinazionali e la AAMS seminano sulla loro strada.

Il chiaro intento dei “sovversivi” fratelli è quello di frapporsi tra le multinazionali e il mercato, cercando di far perdere il maggior guadagno possibile alle fabbriche che hanno delocalizzato tutti i marchi italiani all’estero.

Girato benissimo, il film utilizza le interviste ai fratelli Messina costruendo un filo narrativo divertente, a tratti esilarante, ma che non si attenua mai dal punto di vista della denuncia. Le battaglie perse e quelle vinte sono il filo rosso di una storia che merita di essere raccontata e ascoltata.

Tutta l’illiberalità del nostro Stato, che si piega sempre e sistematicamente a favore delle multinazionali, è qui denunciata e messa alla berlina. Un film meraviglioso, su cui è un vero peccato non potersi soffermare più a lungo. Uno dei documentari più belli degli ultimi anni. Si esce dalla sala divertiti, ma anche molto (e giustamente) arrabbiati.

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Senza nessuna pietà

di Michele Alhaique con Pierfrancesco Favino, Greta Scarano, Claudio Gioè. Italia 2014, 93’

Genere: noir

Categoria di concorso: opere prime e seconde di registi italiani

Nelle sale: già passato

Valutazione: ***

Il regista e l’attrice protagonista sono presenti in sala per presentare il loro lavoro.

Film onesto, di buona fattura, che racconta il percorso di redenzione del protagonista Mimmo, che combacia con il romanzo di formazione della co-protagonista Tanya.

La pellicola si basa soprattutto sulla forza delle interpretazioni (Pierfrancesco Favino e Claudio Gioè svettano su tutti) e non ha in sé quel mordente che dovrebbe avere un film del suo genere, come invece è stato per «Salvo», uno dei film-rivelazione dello scorso anno.

Merita comunque di essere visto, anche se non sarà un film indimenticabile.

 

MERCOLEDÌ 25 MARZO

La giornata si apre con «Katyn» nella cornice del Teatro Petruzzelli: un film sulla bugia del genocidio di migliaia di ufficiali polacchi da parte dei soldati russi, e sull’attesa delle donne ignare che per anni hanno vanamente atteso il ritorno dei loro uomini. Nella “lezione di cinema” successiva Wajda spiega di aver affidato la sceneggiatura del film a un giornalista che ha condotto molte ricerche sui fatti che riguardano le fosse comuni.

Ovviamente molto spazio dell’intervista, condotta dalla polacca Grazyna Torbicka, si è concentrata sul capolavoro assoluto «Cenere e diamanti», ma il regista ha spaziato molto sulla propria cinematografia che, a dire il vero, si occupa moltissimo della storia polacca, una storia complicata, travagliata e piena di sfaccettature politiche, ed è in questo contesto che ha ammesso il suo grande debito nei confronti del Neorealismo italiano.

Il regista ha raccontato dei numerosi problemi che ha avuto con i poteri forti e i tentativi di censura, fino ad arrivare a parlare della sua esperienza in politica dopo la richiesta di Walesa (sul quale Wajda ha girato il suo ultimo film del 2013, tra l’altro).

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Katyn

di Andrzej Wajda con Andrzej Chyra, Maja Ostaszewska, Artur Zmijewski. Polonia 2007, 118’

Genere: drammatico, storico

Categoria di concorso: fuori concorso – lezioni di cinema

Valutazione: ***½

Film fortemente autobiografico, racconta la strage di ufficiali polacchi per mano dell’esercito russo durante la seconda guerra mondiale.

Nelle fosse comuni della foresta di Katyn ci è finito anche il padre del regista; a questo proposito Wajda ha affermato di aver fatto un film che volesse raccontare le bugie dei sovietici su quella strage, che fu attribuita ai nazisti e sulla quale non è mai stata fatta chiarezza prima degli anni Ottanta.

Ma «Katyn» non è solo un film sul genocidio di quindicimila ufficiali polacchi; nelle intenzioni del regista c’è anche la volontà di raccontare l’attesa delle donne, delle mogli, sorelle e madri degli ufficiali, attesa alla quale egli stesso ha assistito di persona a causa dell’esperienza della madre.

«Katyn» è senza dubbio un buon film, a tratti didascalico com’è ovvio che sia, ma che lascia alcuni sottintesi e alcune situazioni di dubbio proprio per permettere allo spettatore di calarsi nei panni di quella cittadinanza polacca che, stretta tra i fuochi del nazismo e dello stalinismo, ha vissuto decenni di incertezza e mistificazione.

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Miss Julie

di Liv Ullmann con Jessica Chastain, Colin Farrell, Samantha Morton. Norvegia-Irlanda-UK 2104, 130’

Genere: drammatico

Categoria di concorso: panorama internazionale

Nelle sale: prossimamente

Valutazione: **½

Piccola vera delusione del Bif&st, «Miss Julie» è un film complesso che forse soffre di una valutazione che, a caldo e dopo una sola visione, potrebbe non essere oggettiva.

Diretto da Liv Ullmann, protagonista femminile di molti dei film dell’indimenticato Ingmar Bergman, è ambientato nell’Irlanda di fine Ottocento, anche se dell’ambientazione esterna non vediamo praticamente nulla.

«Miss Julie» deve moltissimo proprio a Bergman, a partire dalla stanza completamente rossa dove la piccola Julie si muove nelle prime scene.

Con un salto temporale ci troviamo nella cucina di una casa nobiliare, dove i servi John e Kathleen (amanti) si prendono gioco della loro padrona, la giovane Miss Julie.

È una storia a tre, che si basa soprattutto sul rapporto morboso, malato e torbido tra Julie e John.

La prima parte del film è francamente strabiliante, con un inizio intrigante che fa entrare lo spettatore nel turbinio del meccanismo “erotico” tra i due personaggi che giocano a provocarsi, senza mai sfiorarsi.

L’episodio carnale del film è lo spartiacque che segna la deriva un po’ grottesca che assumono i personaggi; John è viscido, ambiguo e cattivo, Julie è fondamentalmente pazza, mentre la cuoca Kathleen viaggia a metà tra l’autismo e il bigottismo.

Anche in questo caso un breve passaggio sul reportage non può bastare a sviscerare bene un film che prende molto da Bergman e dalla «Gertrud» di Dreyer, ma che fondamentalmente sconfina nella parodia.

Tra l’altro l’attrice che incarna Julie (una pur brava Jessica Chastain) ha una somiglianza impressionante con Liv Ullmann.

Interpretazioni molto teatrali, in tema con il codice comportamentale dell’epoca, si accompagnano a dialoghi fin troppo verbosi. C’è molta isteria, tanta tragedia greca, dei giochi di potere che sono interessanti, ma manca il mordente e la credibilità tipica di Bergman, il cui utilizzo come termine di paragone viene spontaneo. La donna protagonista come l’abbiamo vista in molti film del maestro della Ullmann è una donna turbata, malata e che vive tutte le tensioni tra amore, dolore e onore; ma a differenza dei film di Bergman, in «Miss Julie» non si raggiungono le vette tragiche e sublimi del cinema nordeuropeo di vecchia data.

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Un viaggio nella vita di persone non banali: Francesco Rosi

di Gianni Minà, 1997, 105’

Genere: documentario

Categoria di concorso: fuori concorso – tributo a Francesco Rosi

Il Bif&st ripesca dalle Teche Rai una vecchia trasmissione del 1997 dove Rosi si racconta.

Conduce Gianni Minà, in studio sono presenti alcuni amici di Rosi che fanno parte di quel meraviglioso gruppo (La Capria, Patroni Grifi, Rosi, Napolitano) uscito dal liceo Umberto di Napoli.

Ritratti di grandi italiani che oggi dobbiamo solo rimpiangere.

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La settima onda

di Massimo Bonetti con Alessandro Haber, Valeria Solarino, Francesco Montanari.  Italia 2014, 90′

Genere: drammatico

Categoria di concorso: opere prime e seconde di registi italiani

Nelle sale: prossimamente

Valutazione: ***

Ennesima “operazione Puglia” con un film ambientato a Castellaneta (TA) e patrocinato dall’Apulia film commission.

Storia classica di redenzione, dove si segnala un’ottima interpretazione di Haber: due uomini vivono vite completamente diverse e il loro incontro segnerà i rispettivi destini.

Molto belle le ambientazioni, ma la storia non aggiunge nulla di nuovo a quanto già visto; film comunque molto godibile, per interpretazioni, fotografia, scorrevolezza. Ma il livello delle altre opere prime in concorso è oggettivamente elevato.

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Biagio

di Pasquale Scimeca con Marcello Mazzarella, Vincenzo Albanese, Omar Noto. Italia 2014, 90’

Genere: biografico

Categoria di concorso: lungometraggi italiani

Nelle sale: già passato a inizio 2015

Valutazione: ****

La storia di Biagio Conte, palermitano che negli anni Novanta si è spogliato di tutti i suoi beni per seguire la via dell’eremitaggio e della vita ascetica.

Fino a qui è uno dei film più belli visti al Bif&st; il contatto con la natura, la ricerca di Dio e il ritratto di un uomo credente, fedele ma non fanatico, fanno di «Biagio» un’opera degna di essere vista.

Sono le storie che vorremmo vedere al cinema, anche perché parliamo di un film che lascia molto spazio alle immagini, con dialoghi limitati a un giusto equilibrio delle parti.

Non giudicante e non moralista, «Biagio» è un piccolo gioiello di speranza e serenità che merita di essere riportato meglio in una recensione dei prossimi giorni.

Nicola ‘nimi’ Cargnoni

Nella foto: Ettore Scola intervistato da Enrico Magrelli; il teatro Petruzzelli.

Prossimo aggiornamento domenica 29 marzo



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