09 Gennaio 2015, 06.47
Quaderni di Cinema

Alan Turing col volto di B. Cumberbatch rivive in «The imitation game»

di Nicola 'nimi' Cargnoni

Un blockbuster agiografico mischia spy-story e racconto narrativo, con un personaggio fondamentale della Storia


C’è un uomo grazie al quale la Seconda guerra mondiale ha subìto una svolta decisiva.
Un uomo dotato di una genialità così profonda da renderlo quasi sociopatico, incapace di comprendere l’ironia (e quindi involontariamente ironico), piuttosto arrogante e ai limiti della sopportabilità.

Alan Turing è stato una delle menti più brillanti della storia dell’uomo; dietro al carattere difficile, che formava uno spesso strato protettivo, si nascondeva una personalità che aveva ben fissi nella mente gli ideali e i traguardi a cui aspirava.
Genio della matematica, amante dei rebus e dei rompicapo, Turing chiese al governo britannico di poter contribuire a decrittare Enigma, il linguaggio in codice che i nazisti usavano per gli scambi di informazioni via radio, inventando così un calcolatore che sarebbe diventato il prototipo dei moderni computer.

Per molto tempo, però, il mondo ha conosciuto Turing soltanto come il professore condannato per il reato di «omosessualità e atti osceni» e messo di fronte una scelta: prigione o castrazione chimica.
Il suo contributo alle sorti del conflitto mondiale è stato mantenuto “top secret†per una cinquantina d’anni.

Al di là della trama, piuttosto scorrevole e lineare, ma che si avvale di diverse sovrapposizioni temporali, il racconto che il regista Morten Tyldum realizza è ricco di battute e di risvolti molto contrastanti tra loro, quasi a voler tracciare un paragone tra narrazione e personalità del protagonista, entrambe ricche di sfaccettature e sfumature.

Il tono tragicomico della pellicola è un buon amalgama tra la vicenda privata del matematico e la sua missione scientifica.
È un film ameno, mordace, talvolta spassoso, ma mai comico: il livello si mantiene sempre sul filo di un’invisibile sensazione catastrofica, rispecchiando perfettamente l’andamento della vita di Turing, stretto tra la propria condizione personale e il grande obbiettivo che si prefigge di raggiungere.

Complice anche una regia abbastanza didascalica, che si avvale di uno stile vicino a quello delle serie tv e, appunto, di un Benedict Cumberbatch in splendida forma, coadiuvato da ottimi comprimari e da una bellissima (ma, onestamente, non brillante) Keira Knightley; mentre le musiche forzano sulle scene assumendo un tono ora epico, ora tragico, ora frenetico in base alla situazione, dando il tocco finale a un lavoro di regia e montaggio che non sembra voler uscire dagli schemi del compito scolastico, anche se è un compito ben fatto.

Interessante, invero, è l’intreccio con cui si mischiano la narrazione biografica, i diversi livelli temporali su cui essa si sviluppa e la spy-story interna.
I personaggi, protagonisti e comprimari, sono ben scritti e perfettamente interpretati, anche nelle loro ambiguità, frustrazioni, aspirazioni, genialità.

Ciò che colpisce di questo film è il tempismo con cui arriva in Italia.
In questi giorni assistiamo all’inspiegabile follia  di chi stermina un’intera redazione giornalistica e, giustamente, rivendichiamo il grado di civiltà, e di libertà, raggiunto dall’occidente.
Alan Turing, però, è un esempio piuttosto recente delle prove a cui la nostra cultura è stata sottoposta. Prove che, personalmente, definirei quasi una sorta di ordalia per quello che è stato il progresso morale, sociale ed etico nella società occidentale.

A nulla è valso il contributo che Turing ha dato per le sorti della guerra.
La Gran Bretagna lo ha condannato in quanto omosessuale e non si trattava di una condanna informale. Non poteva nemmeno far valere i suoi meriti, in quanto secretati: perché durante la guerra, ufficialmente, Turing produceva apparecchi radiofonici.
Questo passaggio rende ancora più chiaro i “sacrifici†che la nostra cultura (la nostra civiltà, oserei dire) ha fatto per emanciparsi da certi preconcetti, dalle superstizioni, dal fondamentalismo religioso. E questo film può contribuire certamente al dibattito in corso, ricordandoci che soltanto cinquant’anni fa in occidente si poteva finire in prigione per l’omosessualità. Se ce l’abbiamo fatta noi…

Si tratta tutto sommato di un blockbuster
in cui le interpretazioni e gli intrecci assumono un’enorme valenza.
Considerando però il livello di altri blockbuster presenti nelle sale («Lo Hobbit», per esempio), «The imitation game» si distingue in maniera netta.
Dal punto di vista cinematografico ci troviamo di fronte a un prodotto onesto, che non avanza pretese e che quindi raggiunge gli obbiettivi prefissati: raccontare, descrivere, intrigare e, tutto sommato, emozionare.

Il rischio che il film potesse risolversi in un’apologia dell’omosessualità era molto alto; ma Turing viene dipinto con tinte delicate, la sua personalità emerge in ogni sfumatura e la sua intimità è tratteggiata in maniera tenue, in una cornice di tenera malinconia. Senza sensazionalismi, in un’atmosfera priva di qualsiasi intento propagandistico.
Si tratta di una omosessualità che non è messa alla berlina, ma che non è nemmeno rappresentata come un merito naturale del genio.

Quella del film di Tyldum è un’omosessualità [finalmente] “normaleâ€: il primo amore di Turing rivive in ogni fase della sua vita e del suo lavoro, pur costringendo lo scienziato in una condizione di intima prigionia. Ciò rende ancora più bruciante il contrasto tra l’assurda pena giudiziaria e il mancato riconoscimento dei suoi meriti.
Ci sono casi, e questo è uno di quelli, in cui la regia deve saper stare al suo posto, senza la pretesa di sperimentalismi o di slanci fuori luogo. E anche questo può essere un merito, perché quando il materiale a disposizione è di altissimo livello, il rischio di fare un pasticcio è altrettanto alto.
Soprattutto se il soggetto in questione è Alan Turing. Valutazione complessiva: ***½.

Il film è comunque da vedere nella maniera più assoluta, anche solo per rendere omaggio alla figura di Alan Turing, vittima di quella stessa società che lui per primo ha reso libera.

Nicola ‘nimi’ Cargnoni

In uscita questa settimana (da segnalare): /
Già nelle sale (da segnalare): Neve, Pride, Mommy, Melbourne, Viviane, Jimmy’s hall, Gone girl, St. Vincent, American sniper, The imitation game.



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