31 Dicembre 2014, 10.50
Terza pagina

Essere altro da sé significa essere nulla 1.4

di Dru

Dicevamo della guerra, ma proviamo a definire la guerra. Guerra è contesa. Chi compie la guerra, la compie in nome della propria sopravvivenza, che sia un uomo, che sia un gruppo sociale o uno Stato


Le cose fanno l’un guerra all’altra per esistere, in quanto crediamo, abbiamo fede, che per esistere le cose debbano innanzitutto resistere.
Resistere significa puntare i piedi, della cosa, ogni cosa, qualsiasi esistente, contro il proprio niente.
“Fermati istante” dice quel poeta tedesco.

Ricordate la precedente puntata?

3) L’essere altro da sé è (significa) ciò che è di sé stesso il nulla.
Questo significa puntare i piedi,
ma questo è l’errore del pensiero occidentale, perché puntare i piedi  significa anche che se non si puntano, se non si riesce a puntarli, i piedi, allora l’essere diventa quell’altro da sé, l’essere diventa niente.


La legna diventa cenere.

Ma il pensiero quando pensa al divenire, e ogni cosa che diviene per il pensiero che pensa il divenire, il pensiero pensa che diviene altro da sé, il pensiero  pensa che la legna sia (mentre resiste) e non sia (quando non resiste) la legna, pensa che la legna sia la cenere (mentre resiste questa relazione) e pensa che la legna non sia la cenere (mentre questa relazione non resiste), che la cenere sia (mentre resiste) e non sia la cenere (mentre non resiste) , pensa che la cenere sia la legna contraddittoriamente “producendo” follie.

Per il pensiero che pensa le cose, tutte le cose in quanto divenienti altro da sé, pensa che… la legna, proprio quella legna lì, se vuole esistere e resistere, deve puntare i piedi contro quella cenere che è il suo altro, come  diventato.
Ogni cura significa questo, significa tenere insieme a sé l’esistere della cosa curata e significa, in questo, follia, perché al fondo di questo pensare, dove il suo fondamento è il pensiero nichilista, è pensare che la cosa è fin tanto che è, ma può anche non essere, la cosa è e non è, la cosa è contraddittoriamente.

Ogni cosa è (esiste)

Ma la cosa (la stessa cosa) può anche non essere (non esistere)
Ogni cosa non è (non esiste)
perché la cosa può anche non esistere. (libero arbitrio, significato appunto di potenza aristotelico e fin su  anche di Heisemberg con la sua onda di probabilità).

Questa è la follia: credere che le differenze siano l’identità, credere che una cosa, tutte le cose , la cosa (l’essere) possa anche non esistere (non essere).

Ora, appare che questa è follia, ma è ciò che continuamente noi pensiamo, producendo anche delle strutture tali, a livello di pensiero, che non ci consentono di esplicare questo processo fin tanto che siamo nichilisti, che risulterebbe altrimenti  e ovviamente contraddittorio.
Tutto questo, il divenire contradittorio di ogni essente, di qualcosa,  di tutto, è implicito in ogni nostro pensiero quotidiano per ogni pensato.

Torniamo alla guerra, se riflettete, su queste parole di filosofia, dovrete ammettere, allora, che guerra è armonia per follia, è ciò che consente alle cose di esistere e di resistere.
Ogni cosa fa guerra per esistere, anche la pace.
Non è forse questo discorso, che riconosce la vera guerra, dietro quella voluta dal pensiero che vuole, ipermorale?

Non è forse riconoscendo l’essenza del pensiero Occidentale, e ormai del mondo intero, che si può rovesciare il senso delle parole scritte da Eraclito?

Polemos (la guerra)  è padre di tutte le cose

Dice esplicitamente Eraclito e poi l’Occidente

La  cosa è madre di tutte le guerre
così dicono le cose implicitamente, così sono  come sono pensate dall’Occidente.

La guerra fa guerra alla pace perché la pace fa guerra alla guerra.
Sia la guerra che la pace sono la follia di credere che siano altro da ciò che realmente sono.

E’ la follia di credere che, per esistere e resistere, le cose  debbano farsi la guerra ché, altrimenti, l’una è(=diventa)  l’altra da sé.
Ma questo pensare è l’orignario  esser l’altro da sé, è la vera violenza, quando violenza significa volere che l’impossibile sia possibile.
Ma  l’uomo occidentale crede appunto nella falsa violenza, in ogni suo pensare, anche nel pensare alla pace, perché crede che le cose possano diventare altro da sé, crede che l’impossibile sia possibile.

L’altro da sé
del pensiero di ogni cosa, la follia:

Credere esplicitamente, per l'antichità, che la pace per esistere e resistere debba fare la guerra alla guerra, così crede esplicitamente il pensiero della grande tradizione metafisica dell'Occidente. (Episteme)

Credere esplicitamente, per la modernità, che la pace possa esistere e resistere indipendentemente la guerra, così crede esplicitamente il pensiero occidentale e lo esplica pure, questo  il senso comune di oggi, sostenuto dalla filosofia contemporanea. (tramonto dell’Episteme)

Dru


Commenti:
ID53247 - 31/12/2014 12:27:03 - (Dru) - "Ma l’uomo occidentale crede appunto nella falsa violenza" va esplicitato...

L'uomo Occidentale, credendo al senso nichilistico del divenire e cioè credendo che l'essere è niente, ogni divenire nichilistico pensa questo, non crede nella resistenza tout court, ma essa, come ogni altra cosa diviene altro da sé, crede che la relazione, quindi tra la vita e l'uomo sia qualcosa di precario. In questo senso l'uomo occidentale crede nella falsa violenza, perchè in fondo, il suo credo è appunto violenza e essendone così strutturato è appunto credere nella morte. Allora uccidere non è vera violenza, per esso, per il suo pensare, ma falsa violenza, anzi è sua realizzazione, il paradiso della tecnica appunto.

ID53248 - 31/12/2014 12:39:09 - (Dru) - l'uomo

crede così che per sopravvivere debba uccidere, ogni decisione, ogni gesto umano è questo credere.

ID53249 - 31/12/2014 12:46:36 - (Dru) -

é credere che ogni decisione, e ogni gesto umano, per sopravvivere debba uccidere, che altrimenti diviene altro da sé, cioè che altrimenti viene uccisa. Questo l'implicito dell'esplicita violenza del pensiero Occidentale. Singolare, quindi, è chi si professa per la pace reputandosi diverso da chi non lo faccia, non sapendo di cosa stia parlando, o che Hitler sia il violento mentre il Che no. In realtà sia Hitler che il Che sono lo stesso, sono violenza in quanto credo, in quanto fede che si possa far diventare altro da sé le cose.

ID53250 - 31/12/2014 12:56:58 - (Dru) - e chi crede in uno e non nell'altro o viceversa

non fa altro che replicare, moltiplicare all'infinito tale violenza, la morte, trasformando "essi" in ciò che non sono, in altro da sé, perché l'uno è (per volontà) "nostro" (relazione o resistenza quindi creazione di tale essente appunto) e l'altro non é (per volontà) "nostro" (relazione o resistenza quindi creazione di tale essente appunto), cioè "ciò che vorremmo che fosse" (creazione, invenzione del mondo estrema potenza dunque, mondo scientifico).

ID53267 - 01/01/2015 17:03:23 - (Leretico) - Il problema della volontà

il problema della volontà, della fede, del credere che le cose possano trasformarsi, venire dal nulla e tornare nel nulla, tormenta l'uomo da millenni. Ma qui, nel tuo articolo-saggio, si fa un salto intergalattico, quantico, passando negli abissi del pensiero, pareti rocciose impervie e paurose dove si rischia molto. Il rischio è connaturato a ciò che c'è in gioco. E in questo casomin gioco c'è la consapevolezza su "come stanno le cose". Praticamente sulla nostra visione del mondo. Ma qui viene la prima domanda, sempre inopportuna se vuole essere filosoficamente rilevante: la volontà, la fede, può subire, essere influenzata in qualche modo dalla consapevolezza di "come stanno le cose"? Ebbene, la cultura filosofica occidentale, quella teologico-epistemica, ma persino quella anti-epistemica, ha sempre risposto che sì, la verità ossia "come stanno le cose", influenza il nostro credere, la nostra fede.

ID53268 - 01/01/2015 17:14:02 - (Leretico) - continua

E questo, per chi risponde, è persin banale. "La verità rende liberi" dunque influenza la vita dell'uomo mortale in maniera determinante. Ma veniamo alla considerazione che deriva dall'articolo-saggio: la volontà è errore perché crede di poter trasformare il mondo mentre ciò è impossibile. Perché è impossibile? Perché pensare che le cose in un certo determinato momento possano "non essere", significa pensare l'impossibile. Così la cosa che più diamo per scontata, ossia il trasformarsi quotidiano del mondo e degli oggetti in esso contenuti, quel nostro guardare il vivere e il morire, l'oscillare dal nulla all'essere di ciò che è "altro" dall'essere e "altro" dal nulla, la cosa più banale come il diventar altro delle cose è impossibile. Non è questa una cosa da poco. Qui si gioca la scomunica da parte del mondo, cioè di quelle persone che se anche sono disposte

ID53269 - 01/01/2015 17:22:46 - (Leretico) - continua

ad approfondire filosoficamente, darebbero del pazzo (come appunto fanno) a chiunque mettesse in discussione ciò che ritengono innegabile: che il mondo si trasforma. Eppure il dubbio dovrebbe pur venirgli di fronte alla violazione del principio di non contraddizione che si perpetua pensando che un ente-essente possa in un certo momento non essere più. Per onestà intellettuale, nel momento in cui gli si mostrasse tale violazione, il saggio si fermerebbe almeno a meditare sulla questione. E potrebbe anche fare un ulteriore passaggio, altresì pericoloso. Cioè quello in cui, scoperta la necessità che l'essere è e non può non essere, capisca che l'uomo mortale, nonostante tale consapevolezza, non può smettere di volere, di credere, di avere fede di poter incidere nella trasformazione del mondo.

ID53270 - 01/01/2015 17:30:27 - (Leretico) - continua

Ecco la dicotomia: da un lato la consapevolezza della necessità, dall'altro l'impossibilità di pensare qualcosa al di fuori del circuito della volontà, della scelta, della decisione. E tale dicotomia è anche fonte di ulteriore problematicità, perché se anche si volesse trasformare la propria impostazione, il proprio modo di vedere il mondo basandolo su questa nuova consapevolezza, tale trasformazione sarebbe fittizia, impossibile, proprio per quanto detto prima: perché ogni trasformazione è impossibile, illusoria. Ma l'uomo non resiste, come potrebbe, a fondare, cercare la causa, cercare la verità da cui far dipendere il senso del mondo. E ogni volta che un sistema filosofico promette conoscenza, l'uomo procede per come è capace: fonda, cerca, individua le cause. Non potrebbe fare altrimenti, è condannato a ciò inevitabilmente. E inevitabilmente cade nell'errore.

ID53271 - 01/01/2015 17:39:06 - (Leretico) - continua

Quale errore? L'errore di credere che si possa cambiare qualcosa, che si possa trasformare anche la semplice idea. Non è l'idea che non esiste, ma l'effetto. Ossia il credere di poter cambiare il mondo è una cosa reale, il riuscirci è impossibile. Allora, cosa cambia sapendo? Tutto, o anche nulla. Cambia tutto perché in ultimo si sa che il paradiso della tecnica a cui l'uomo anela è senza fondamento incontrovertibile, ma nulla si può fare perché l'uomo esca da questo tracciato a cui è destinato. E in questo ultimo senso non cambia nulla, tanto che l'uomo continuerà a credere, ad avere fede di poter cambiare quel tracciato. In conclusione, mi sento di ribadire che, così come sostengo da tempo, guai per l'uomo voler far derivare una lezione, un monito morale dal "Ritornare a Parmenide" perché non potrebbe che ricadere sempre e comunque nel sentiero della notte da cui invece dice di volersi liberare.

ID53273 - 01/01/2015 18:33:39 - (Dru) - intanto grazie per il saggio...

dici..."dall'altro l'impossibilità di pensare qualcosa al di fuori del circuito della volontà, della scelta, della decisione", ma dimentichi di dire,ma l'errore è questa dimenticanza, "per l'uomo mortale" in quanto tale, ma in quanto tratto del destino quello che per l'uomo mortale è l'impossibile è possibile, il divenire non nichilistico, il divenire vero esiste eccome. L'uomo mortale tramonta. Ciò che si trasforma non è la verità, impossibile in quanto è l'immutabile, ciò che si trasforma è proprio la consapevolezza su di essa,la segretezza che si fa luce, il sapere trasforma il mondo perché il mondo è pensiero. Se il mondo non è il divenire l'altro da sé ma è l'apparire dell'esser sé dell'essente, il mondo eccome che si trasforma. Non è vero che ogni trasformazione è illusoria e impossibile, illusoria e impossibile è la volontà,

ID53274 - 01/01/2015 18:48:45 - (Dru) -

è il divenire altro da sé. Poi scrivi che un sistema filosofico promette conoscenza, e su questo ti seguo, ogni parola di ogni linguaggio promette questo, ma appunto di ogni parola possiamo essere scettici, ma che la parola sia parola di un linguaggio,qualsiasi esso sia, questo non è un problema,o una possibilità che si può negare, questo appare come indubbio. e chi lo dubita o lo nega dubita e nega dubitando e negando sé medesimo, perché per farlo davvero dovrà pur farlo con parole che son segni di un linguaggio.

ID53275 - 01/01/2015 18:55:35 - (Dru) - credere che si possa cambiare qualcosa

Credere che si possam cambiare qualcosa è fede o volontà, è la fiducia in quel q

ID53276 - 01/01/2015 19:01:42 - (Dru) - scusate debbo aver pigiato un tasto sbagliato

dicevo... credere che si possa cambiare qualcosa è fede o volontà, è la fiducia e con la fiducia si aprono infiniti corollari. Ma pensare che qualcosa cambi non per come cambia nel nichilismo, questo non è credere, questo è appunto pensare. Però l'uomo nella fede deve compiere ogni passo del suo apparire, senza il compimento del tramontante nessun tramonto è possibile. in q

ID53277 - 01/01/2015 19:10:26 - (Dru) - accade nuovamente e nuovamente mi scuso

dicevo... In quanto uomo di fede non ti avvedi che quanto scrivi è l'astratto del possibile, considerando impossibile proprio quello che è possibile, la trasformazione non nichilistica dell'apparire di ogni essente. Quando scrivi:"E in questo ultimo senso non cambia nulla, tanto che l'uomo continuerà a credere, ad avere fede di poter cambiare quel tracciato." Se analizzi il contesto delle parole che scrivi, quando fosse il soggetto che le pronuncia il destino, allora quello riconosce dell'uomo mortale questa essenza e in quanto tale, in quanto mortale non può essere che mortale quell'essente, altrimenti appunto cadremmo nell'errore che sottolineiamo, mentre se a parlare è l'uomo mortale, come in questo caso specifico è evidente che sia, allora non cambia nulla, tanto che l'uomo continuerà a credere, ad avere fede di poter cambiare quel tracciato...

ID53278 - 01/01/2015 19:21:59 - (Dru) - infine quando scrivi...

"In conclusione, mi sento di ribadire che, così come sostengo da tempo, guai per l'uomo voler far derivare una lezione, un monito morale dal "Ritornare a Parmenide" perché non potrebbe che ricadere sempre e comunque nel sentiero della notte da cui invece dice di volersi liberare." qui dissento intanto dal fatto che il destino è un voler liberarsi di qualcosa, ma infine dissento soprattutto perché ogni filosofia è un trasformare il mondo e il mondo è ciò senza di cui non vi sarebbe alcuna morale, la morale essendo il riparo dal mondo che vuole opprimerci prima ed annientarci poi. Quindi è vero che il destino non ha bisogno di alcuna morale, come la realtà per costituirsi non ha bisogno di alcun sogno, ma d'altra parte la morale ha bisogno del destino, come il sogno per costituirsi ha bisogno della realtà.

ID53279 - 01/01/2015 22:46:33 - (Dru) - essendo qui "destino"

Non il destino nichilistico, o quel significato che include il tempo, per cui è destino o fato quel percorso obbligato, anche se indipendente dal nostro volere, all'interno del divenire di ogni essente e quindi all'interno comunque di un volere più grande di noi, no, questo è il destino che si oppone al caso sempre e comunque nel tempo, quel percorso libero, anche se indipendente dal nostro volere, all'interno del divenire di ogni essente e quindi all'interno comunque di un volere più grande di noi. Il destino della necessità è fuori dal tempo in quanto è lo stare di ogni cosa per come è, senza alcun tempo e volontà che la possa determinare.

ID53280 - 01/01/2015 23:24:14 - (Dru) - Quindi del destino del mortale che si contrappone alla libertà

"Per il fatalismo l’oscillazione è un percorso inevitabile; per chi crede nella libertà è un percorso che c’è ma sarebbe potuto essere diversamente. Entrambi però appartengono alla stessa dimensione. Sia il destino, sia la liberazione hanno alla radice la follia estrema che pensando che le cose oscillino tra il nulla e l’essere pensano le cose come nulla e quindi perpetrano l’omicidio nel suo significato più originario."

ID53281 - 01/01/2015 23:25:02 - (Dru) - Un’altra verità.

La nostra civiltà si sta avviando verso la civiltà della tecnica; la civiltà della tecnica è il modo più radicale in cui la liberazione degli immutabili è destinata a realizzarsi; ma la civiltà della tecnica è anche una civilità che ripristinando in certo modo il mito, cioè la volontà che le cose siano, è inevitabile che ad un certo momento lasci esplodere quel dubbio che ebbe ad esplodere quando nacque la filosofia, il dubbio intorno alla validità del mito. Abbiamo davanti a noi, dopo che si saranno in qualche modo composte le conflittualità tra popoli ricchi e popoli poveri, abbiamo di fronte la possibilità che i bisogni fondamentali dell’uomo siano risolti dalla tecnica. Ma la tecnica che sarà a sua volta liberata dalla filosofia che le dice: “Guarda che tu non hai limiti, guarda che non esiste un Eterno..“.

ID53282 - 01/01/2015 23:26:13 - (Dru) - da "Emanuele Severino, Fato e libertà." che trovate come articolo gustosissimo in Internet.

La tecnica non potrà rivendicare quel carattere di verità che dà la sicurezza alla felicità. Noi lo sperimentiamo: quanto più siamo felici, tanto più temiamo di perdere la felicità. Se da un lato dunque l’età della tecnica è il tempo dell’esplosione massima della follia che identifica il nulla e l’essere, dall’altro lato è anche il tempo in cui non un èlite come noi questa sera ma i popoli si chiederanno intorno al senso della sicurezza della loro felicità perché sarà la felicità maggiore mai raggiunta da razza umana su questa terra. Ma una felicità senza verità che però non potrà essere la verità dell’episteme. Dovrà essere un’altra verità: su quest’altro senso della verità il pensiero è chiamato primariamente a lavorare.

ID53289 - 04/01/2015 11:54:01 - (Leretico) - L'elogio dell'immoralità è del mortale

Sullo stesso sito dov'è pubblicato il pezzo "Fato e libertà" compare anche un'intervista fatta da due laureandi in filosofia in visita a casa Severino (menu Dialoghi - Colloquio con Emanuele Severino). Leggendo l'intervista i due giovani pongono al professore una domanda cruciale: "A questo punto, stando il legame indissolubile fra la condizione umana e l’errore, qual è il ruolo dell’etica?" A questa domanda Severino risponde: "Dopo Destino della necessità ho scritto La gloria, Oltrepassare e La morte e la terra, dove in sostanza si mostra che è necessario uscire da questa situazione, non nel senso che sia una cosa buona e auspicabile, ma necessità nel senso dell’accadimento necessario. Siamo destinati ad uscire da questa situazione dove si comincia a balbettare il linguaggio del destino, ma le opere della follia sono ancora qui davanti incombenti". Noterai che Severino afferma che è necessario uscire da questa

ID53290 - 04/01/2015 12:01:56 - (Leretico) - continua

situazione. Qui intende dire, leggendo anche le risposte alle domande precedenti, che è necessario che l'uomo superi la sua condizione di errore. Ossia che, nonostante l'uomo mortale si dibatta nella condizione di errore, nonostante pensi che vincere ad ogni costo sia il suo destino, questo errore, questo pensare che l'immoralità sia vincente perché rende più potenti e superiori, sia in ogni caso destinato ad essere superato. Infatti alla precisa domada sull'etica Severino replica dicendo che i problemi dell'etica sono riservati alla fede, all'errore, a quell'ambito della volontà che necessariamente sarà superato. Mai risponde, si contraddirebbe, che la volontà o l'errore siano fondati sul destino della necessità. E' il nostro volere dunque che errando potrebbe fare questo ragionamento: se è tutto necessario allora è necessario che la tecnica, l'immoralità, la disumanità prevalgano. Questa deduzione

ID53291 - 04/01/2015 12:06:56 - (Leretico) - continua

è errata perché presuppone una volontà, non una necessità. Presuppone che la volontà che usa l'immoralità, la disumanità come strumenti, possa far pendere l'ago della bilancia verso il dominio. Ma se ciò fosse vero cadrebbe lo statuto di necessità su cui si è voluto fondare il discorso. Se sono mortale, allora scegliere per l'immoralità o la moralità conta. Certo la scelta conta nell'ambito dell'errore, ma quale altro ambito è riservato al mortale? L'etica sarà oltrepassata, come errore. Ma finché l'uomo, i popoli, crederanno di poter scegliere, la scelta li definirà come uomini.

ID53302 - 04/01/2015 18:24:36 - (Dru) - Avrai notato

Che io e il professore siamo convergenti, allora, dove noti la divergenza? Non sono io che ti ho parlato di palloncino e di camera ad aghi? Non ti ho detto che il palloncino è pericolosamente nella stanza degli aghi e che per apparire in tutto il suo fulgore la stanza deve, è necessità appunto, non è né cosa buona né auspicabile appunto, che si "allontani, tramonti appunto, in modo che il linguaggio ancora balbuziente si ponga in primo piano si che la lontananza di questi aghi possa permettere al palloncino di definire la stanza degli aghi "oltrepassata"? Infine, ogni errore si fonda sulla verità, come ogni oltrepassato è superato da ciò che lo oltrepassa...

ID53303 - 04/01/2015 18:26:09 - (Dru) - Ma che io è il professore siamo convergenti poco importa

Ciò che importa è che ciò che ci fa convergenti è per sé giusto, e non per "noi".

ID53306 - 04/01/2015 19:11:21 - (Dru) - Il fondato caro Leretico

È ciò che poggia sul fondamento , non c'é fondamento senza fondato. Il fondato è ciò che si mostra e ciò che si mostra si mostra a ciò che, come già posto, o principio, la verità, consente al posto di mostrarsi. Non c'é errore senza verità e non c'è verità senza errore. Che le cose siano necessariamente è fondato sull'impossibilità che siano diversamente, l'impossibilità che le cose divengano altro da sé fonda la necessità che siano sé stesse. L'impossibilità che siano altro da sé é l'errore che si fonda sulla necessità che siano sé medesime.

Aggiungi commento:

Vedi anche
16/04/2014 08:00

L'ultimo dei trovatori 2 di 3 Il giorno dopo, attrezzato di tutto punto, iniziai la faticosa salita. Era una bella giornata di sole, tiepida e luminosa.

31/10/2012 08:18

Alea iacta est La nuova rubrica terza pagina cerca un approccio coi lettori attraverso un'informazione che si accompagna a conoscenza e ragionamento, in un ardito tentativo pedagogico di crescita culturale.

20/11/2014 07:00

I nove comandamenti e il grande assente In questi tempi difficili si avverte il bisogno di un elemento fondamentale per la nostra esistenza. Esso, da qualche tempo, è latitante...

15/04/2014 08:03

L'ultimo dei trovatori 1 di 3 Se non fossi salito sul Monte forse quel giorno non mi sarei trovato lì, su quella panchina del Parco dei Fiori della città di Cantessa...




Altre da Terza Pagina
19/04/2024

L'attesa

Tutti noi abbiamo familiarità con l'attesa. Solitamente non la vediamo di buon occhio e, se fosse possibile accorciare i tempi per ottenere una determinata cosa, immagino che nessuno di noi si tirerebbe indietro. Ma l'attesa non potrebbe avere anche degli aspetti positivi?

17/04/2024

I Carminis Cantores sul podio al Concorso Città di Chiari

Il coro di Puegnago del Garda ha vinto il secondo premio al Concorso Corale Nazionale

15/04/2024

«Foglie al vento», Kaurismaki chiude la quadrilogia sul lavoro

Questo mercoledì, 17 aprile, al Cinema di Vestone la commedia amara del regisa finlandese, chiusura di una quadrilogia iniziata nel lontano 1986

14/04/2024

Gli attrezzi in legno di 4000 anni fa

Inaugurata alla presenza delle autorità la mostra “L’età del Legno. 4000 anni fa al Lucone” presso il Museo archeologico della Valle Sabbia

13/04/2024

La luce di Annalisa Durante

Annalisa Durante, la torcia che diffonde luce dovunque sia raccontata la sua storia

12/04/2024

Testimoni di Geova, la campagna contro le tossicodipendenze

La sezione valsabbina dei Testimoni di Geova è impegnata in un'importante campagna mediatica per combattere un fenomeno che coinvolge ormai circa 300 milioni di persone nel mondo

11/04/2024

«Colore!»

L'associazione culturale salodiana “Il Salòttino” inaugura la nuova stagione di mostre questo sabato, 13 aprile, alle 18 con un vernissage

10/04/2024

Bagolino in corsa per far parte dei Borghi più belli d'Italia

Passa alla fase di “verifica sul campo” il comune valsabbino, che aveva avviato il percorso per ricevere il prestigioso riconoscimento nel 2024

10/04/2024

Testimoni sempre vivi

Questo sabato, 13 aprile, l'Amministrazione comunale e l'Ateneo di Salò ricordano la strage di Piazza Loggia in occasione del 50° anniversario

10/04/2024

In mostra manufatti in legno e tessuti di 4000 anni fa

Sarà inaugurata sabato presso il Museo Archeologico di Gavardo un’importante mostra sui ritrovamenti del sito palafitticolo del Lucone, fra i quali la porta in legno più antica d’Italia