17 Maggio 2014, 11.00
Quaderni di Cinema

Solo gli amanti sopravvivono

di Nicola Cargnoni

Nelle sale dal 15 maggio i vampiri buoni di Jarmusch si fanno portatori di valori alti, accompagnando la propria immortalità con quella dell’arte e della letteratura


L’elegante regista Jim Jarmusch, uno dei più interessanti del cinema indipendente americano, torna nelle sale dopo 4 anni dal suo «The limits of control», e lo fa utilizzando un soggetto parecchio inflazionato nel panorama cinematografico degli ultimi anni: i vampiri.
Attenzione però, i vampiri di Jarmusch non mettono in scena un cruento horror o una melensa storia d’amore; i vampiri di Jarmusch incarnano perfettamente l’idea di ribaltamento che il regista pone alla base del proprio film e sono totalmente funzionali al significato della pellicola.

Si chiamano Adam ed Eve, in una logica piuttosto eloquente su quanto i loro nomi rappresentino l’idea di perfezione e di immortalità, considerando anche che vivono da diversi secoli.
Sono buoni, non attaccano gli uomini, amano l’arte, la musica, la letteratura.
Per viaggiare e per vivere usano pseudonimi colti, mai per sfizio, ma sempre per tenere vivo il loro ideale di cultura.

Sono immortali come tutto ciò che rappresentano
E in base a questo, coerentemente con la logica del ribaltamento, per Adam ed Eve gli umani sono “zombie” che stanno distruggendo il pianeta, che disprezzano ciò che hanno, che rovinano tutto ciò con cui hanno a che fare e che nei secoli hanno condannato e rovinato alcuni degli scienziati a cui Adam si ispira.

Insomma, i vampiri di Jarmusch sono totalmente diversi dai “mostri succhiasangue” cui il cinema ci ha da sempre abituati.
Adam ed Eve si fanno testimoni di importanti momenti storici, sono detentori di una grande tradizione culturale, citano opere, compongono musica, leggono, portano avanti teorie scientifiche e si procurano il sangue grazie ad alcuni agganci negli ospedali. Sono fondamentalmente in antitesi con gli esseri umani; il regista sembra riproporre l’antico gioco cinematografico sul “chi è cosa”: chi sono i mostri e chi sono quelli dotati di un certo spessore morale? Chi è diverso e chi è “normale”?

I due, pur essendosi sposati più volte nel corso dei secoli, vivono separati: lui a Detroit e lei a Tangeri, sua città d’origine.
Eve va a trovare Adam in un momento di bisogno e in questo frangente del film i due protagonisti si lasciano andare a lunghe uscite notturne in automobile. L’arredo urbano di Detroit è perfettamente inquadrato, in tutta la sua fatiscenza.
I due vampiri vivono in perfetta armonia, finché la sorella di Eve (il cui nome è Ava) li va a trovare, rompendo gli equilibri. Nel nome così come negli atteggiamenti, Ava è l’esatto opposto di Eve: sufficientemente oca, irresponsabile e incontrollabile, con la sua brevissima presenza riuscirà a far sì che i due protagonisti debbano scappare a Tangeri.

Il film è indubbiamente girato bene, sfruttando l’espediente delle scene in notturna e del buio eterno per ovvie ragioni. Le ambientazioni urbane sono efficaci, spesso lo sfondo è particolarmente adatto e funzionale al carattere e al ritratto dei protagonisti. A livello narrativo scorre abbastanza piacevolmente, e con questo fanno due punti a favore.
Resta da capire quali siano le intenzioni del regista; in questo caso il film potrebbe risultare un po’ troppo citazionista, quasi forzatamente volto alla ricerca di una funzione enciclopedica. Da Tesla a Shakespeare, la carne al fuoco è fin troppa; ne emerge un quadro culturale notevole, ma quasi sempre fine a sé stesso. I vampiri si elevano a custodi della tradizione e della cultura, snobbando e disprezzando gli umani con tutta la loro fallacità.

Che ci sia bisogno di più cultura e che il talento debba essere maggiormente valorizzato è un dato di fatto ed è assai importante che a dirlo sia un regista americano.
La mediocrità e l’appiattimento culturale sono fenomeni negativi che colpiscono trasversalmente tutto il mondo. Ma il film può risultare quasi autoreferenziale, e il distacco che i due vampiri assumono nei confronti delle brutture del mondo sembra voler simboleggiare il bisogno di “buen retiro” del regista, che in un certo senso pare voler far emergere un certo disagio personale.

«L’umiltà non porta da nessuna parte» dice il vecchio Marlowe in punto di morte, mettendo in chiaro il punto di vista secondo cui il talento è un valore da non tenere nascosto; la scena successiva mostra una bravissima cantante che si esibisce in un tugurio di Tangeri, ma secondo Adam è «troppo in gamba per diventare famosa».

Il titolo, evocativo, la dice lunga su ciò che Jarmusch vuole mettere in scena: soltanto chi ama può restare vivo; chi ama e quindi, di conseguenza, chi rispetta sé stesso, il mondo in cui vive, la sua storia, l’arte, la letteratura. L’arte, finta per definizione, si fa portatrice di valori “umani e vivi”, in un lungo viaggio “notturno” e lunare, non soltanto per quanto riguarda le ore del giorno in cui il film è stato girato.
Fino a un finale, dove sopravvivono soltanto coloro che si nutrono del bello.



Commenti:
ID44686 - 17/05/2014 13:13:01 - (nimi) - va comunque visto

è un film che va comunque visto, che si guadagna le sue 3 stelline, ma che effettivamente eccede nell'autoreferenzialità... La realtà è che Jarmusch è un regista di nicchia e in questo film sembra "sfogarsi" contro questa condizione di "recluso". La qualità è ormai roba per pochi e il film corre il rischio di essere uno sfoggio di cultura, un tributo un po' esagerato alla scienza, alla letteratura e all'arte del passato. La regia è comunque ottima, mai banale, mai didascalica e in questo finale di stagione, dove il cinema-spazzatura abbonda, questo film è un'oasi di salvezza. Nicola Cargnoni

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