Ma se la cura della verità è un rivolgersi al tutto allora la tesi di Aristotele secondo cui la filosofia all'inizio è semplicemente una fisica non va accettata
sopraggiunga prima o dopo il sopraggiungere di un altro ente? L'apparire dipende dalla fede, dalla volontà. E' la fede che spinge gli enti a sopraggiungere. Ciò che lega l'apparire di un ente all'apparire di quello successivo è dato dalla fede. Dunque l'apparire della morte dipende dalla fede che essa sopraggiunge. Siccome la fede vuole, e non può che volere, l'impossibile, allora la morte è destinata a non apparire più quando la volontà si renderà dapprima conto che il suo volere è un volere impossibile, e poi che il suo volere è destinato a tramontare, come lo sono tutte le forze che si basano sulla volontà. Dov'è l'errore di questo ragionamento? Secondo me è ingnorare l'individualità, il sentire dell'individuo che si perde nel concetto di coscienza trascendentale.
La volontà che la morte appaia sopraggiungendo significa, come per ogni ente,che il suo apparire (come essere) prima non è e poi è, l'individualità è proprio questa volontà portata alla sua radicalità. Direi, al contrario, che gli uomini hanno, nel tempo, dimenticato la trascendentalità della coscienza e non il suo contrario. Questo dimenticare i trascendentale è il motivo fondante le forze che si credono libere, ma questo "credere" è il presupposto di ogni nostra angoscia: liberi di morire, libera la coscienza di "non essere", o essere solo la "mia" coscienza, può smembrare il trascendentale e nutrirsene, farsene potenza. Ma questo squartamento del divino (o apparire), la morte della coscienza trascendentale risulta "vero" o è solo volontà e come tale è violenza ?
Pensare che una cosa, diventando, diviene nulla, cioè diventa ciò che non è, è pensare che una cosa non è. Questo il nichilismo di ogni pensiero dell'uomo mortale. Una cosa, un essere non è è la contraddizione massima impensabile, inimmaginabile, irrealizzabile, ma è l'inconscio di ogni mortale. Noi mortali neghiamo questa sintesi "in quanto signato", nessuno direbbe mai che la legna è cenere, ma se pensiamo al divenire della legna in cenere, "in quanto exercito" non diciamo semplicemente che la "cenere è", ma diciamo che quella legna là è diventata (è) questa cenere qua, poi non ci interroghiamo su questo divenire altro della legna e della cenere stessa, anzi lo nascondiamo, altrimenti si mostrerebbe la follia di questo pensiero.
La discussione dovrebbe essere fatta a livello dell'individuo, perché se la facciamo a livello della coscienza, ossia dell'apparire trascendentale, allora li tutto sembra funzionare logicamente. Se l'eterno individuo che è in vita, nello scomparire, perde o non perde la vita. Se scomparire signignificasse perdere la vita allora, a cosa serve sapere che l'eterno che prima appariva adesso scompare? A nulla. La metto in un altro modo: se morire fosse solo uno scomparire senza sapere esattamente cosa ne sia della vita, allora che differenza ci sarebbe tra morte e scomparsa? Nessuna. Allora, dal punto di vista dell'individuo la sua eternità che compare e poi scompare, la differenza di cui sopra non gli fa cambiare l'angoscia. Il suo non poter altro che essere un "volente" lo condanna all'angoscia e a dolore eterno. Possiamo uscire da questo meccanismo? No, perché sarebbe di nuovo un volere impossibile. Cosa allora deve fare l'uomo?
Deve allearsi con il Dio? Ossia deve allearsi con chi gli garantisce la potenza massima? E visto che gli immutabili come Dio sono morti non gli rimane che allearsi con la Tecnica, l'unica che gli può garantire il massimo dell'eticità. Se quindi l'uomo non può che volere allora è massimamente etico se si allea con il massimo della potenza, anche se questa potenza travolge alcune vite per poter esprimersi. Non ti sembra allora che in un discorso del genere l'alleanza distrugga la vita dell'individuo? Se la vita in quanto appare può essere sacrificata in nome del massino della potenza, come può essere etico tutto questo? Certamente è potenza ma non è massimo di eticità perché prescinde dall'individuo.
Se Anassimandro già aveva intercettato il discorso dell'infinito dolore, dell'infinito a cui il finito per giustizia deve ritornare, aveva anche capito che è l'uomo in quanto individuo che si trova di fronte a questo mirabile e orribile significato. Dove e come scompare l'individuo? Abbiamo dunque risposto a questa domanda fondamentale, oppure ci siamo girati attorno?
È nuovamente discorso nichilista poichè la Vita non è l'Individuo Empirico che vive e l'Individuo Empirico che muore. Vivere e Morire sono due eterni.Vivere, Morire e Individuo Empirico sono tre eterni. "L'eterno individuo", come lo chiami tu, l'unica cosa che non può è diventare altro da sé.Dici da nichilista " cosa ne sia della vita", ma della vita ne è la vita mentre tu nichilista (noi nichilisti) dici "che ne sia", nascondendo, ma nemmeno troppo, che possa non essere, che esista un tempo in cui non sia.
Anassimandro è ciò che scriverà lo Hegel sulla dialettica. Nella dialettica hegeliana la determinazione finita è già, come tale contraddizione. "Tutte le cose sono in se stesse contraddittorie". Ma tutto ciò che é contraddittorio ("contraddicentesi in se stesso") è il "finito" ( logica II), cioè il "manchevole" (logica III): manchevole di tutto ciò che è altro da esso, ossia del suo "negativo". Ciò che produce l'angoscia è proprio questo "cominciamento" del divenire: poiché l'essenza del finito è di "togliere se stesso" (Enciclopedia par. 81).
..il tutto, la coscienza trascendentale, lo spirito assoluto è l'Apparire. Con il che l'infinito in cui le parti che "ingiustamente" ( che si mostra senza autorità. "Che" sono le parti, "mostra" è l'apparire dell'apparire, autorità è l'apparire) configgono e gli configgono e "giustamente" (che si mostra con autorità) gli convengono.
Ma se l'Autorità manca ? Se manca il criterio "la verità", che Mostra ciò che è giusto ( cioè ciò che si mostra con autorità) Perché non uccidere ?
La verità non esiste significa ( essere, essenza, è) ogni criterio che limita la potenza non esiste : esso, il cominciamento, lo smembramento del divino o del tutto non esiste è solo limite alla potenza, è limite all'incominciamento che deve divenire il risultato.Ogni limite, ogni finito, non è in quanto tale non perché, come presuppone Hegel, diventa il tutto mancante, ma perché, come pensato é niente, se il divenire altro da sé vuole esistere.
Significa (essere,essenza,è)che le cose stanno diventando altro da sé e ogni episteme o verità che le vuole limitare, ogni potenza, teoria, sapere che non è "vera potenza, che la "vera" potenza è appunto il diventare altro delle cose, non esiste, questo e il significato ( essere, essenza, è) del concetto "Dio è morto".
Ma la "vera" potenza dovrebbe farvi scorgere comunque l'apparire. Senza apparire ogni discorso non esiste, nemmeno quello sulla "vera" potenza o come il pensiero analitico o la scienza moderna vedono il mondo delle cose che non hanno verità.
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ID41908 - 21/02/2014 11:12:39 - (Leretico) - La filosofia nasce grande
La filosofia nasce grande perché da subito mette in questione i fondamenti. La prima cosa di cui discute è la morte. I Greci antichi pensavano che dopo la morte l'uomo andasse nel nulla. Il terrore per il nulla genera l'angoscia da cui l'uomo cerca, invano, di sfuggire. Il terrore per la morte è tale perché essa, la morte, "appare" senza tema di essere smentita. Se dunque la morte appare essa è. E intendo dire che è un essente. Perché dunque la morte appare? Appare perché non potrebbe non apparire. Appare perché non potrebbe esserci la vita senza l'apparire della morte, come non potrebbe esserci il bene senza l'apparire del male. Apparendo la morte si rende unitaria alla vita. La vita non può respingerla perché da sempre essa è dentro la morte come la morte è dentro la vita. Allora se gli essenti che appiaiono sono necessari, cosa detrmina il loro sopraggiungere? Cosa fa sì che la morte