Partendo dagli articoli scritti negli ultimi mesi e prendendo come esempio anche la visione dei film, il giovane filosofo Alberto Cartella prospetta una lunga e dettagliata analisi sulla capacità di un testo di sedimentare conoscenze, sganciandosi spesso dall'immediatezza
Quando lei dice che "non si può comprendere tutto", cosa vuole dirci con questo giudizio, che lei invece si ? poiché se di questo giudizio così radicale e perentorio dovessimo dar conto, ecco che si può comprendere tutto e cioè che non si può comprendere tutto. Vede che come quel buco nero o faglia che vuole essere assolutamente indeterminata, al dunque ciò che appare è verità e cioè che le cose sono l'esser sè di se stesse e il loro non esser altro ? Il tutto che non si potrebbe secondo lei comprendere invece è comprensibilissimo, lo è come "tutto". Il non volerlo comprendere è nichilismo come il volere mettere in sintesi essere (= tutto) e nulla (= nihil absolutum) e cioè voler che una cosa, il tutto infatti, sia un'altra cosa, questo si che è impossibile.
Non si tratta di un'alternativa, si tratta di ciò che è costitutivo della nostra soggettività . La realtà è una costruzione che fa parte di noi anch'essa. Per quanto mi riguarda non mi interessa l'essere liberi da, ma della libertà di esitare. Per quanto riguarda il significato, come le ho già scritto altre volte, esso è ciò che manca la cosa. A me interessa il resto, ciò che sfugge nella catena dei significanti, non dando per scontata la soggettività . Come ho scritto all'inizio dell'articolo l'errore è un'apertura.
"Non si pu comprendere tutto" vuol dire che anche in ci che crediamo di aver abbracciato con la mente c' qualcosa che non riducibile alla realizzazione del nostro giudizio. I giudizi ci sono e non si tratta di rinunciare ai giudizi, ma vi differenza fra chi giudica indifferentemente e risolve ci che ha di fronte in una coincidenza con il proprio giudizio; e chi invece esita nel proprio giudizio, constatando quella non totale coincidenza con il proprio giudizio. Non si tratta, come ho scritto nell'articolo di rinunciare alla volont di comprendere. Vi qualcosa che sta insieme a questo. Occhi, sguardo e conoscenza stanno insieme ma si elidono.
"Qualche cosa" che non é "qualche cosa" é contraddittorio e come tale impossibile se "qualche cosa non é riducibile al nostro giudizio" allora é "qualche cosa non riducibile al nostro giudizio" e come tale non lo potremo mai ridurre, in quanto questo significa dire che "non é riducibile", il suo tratto essenziale, il suo contrario é che "é riducibile", non conviene con me? Ora, chi riduce ciò che gli si para di fronte con il proprio giudizio é perché "vuole" il realizzarsi dell'irrealizzabile e come tale é fede che vuole appunto l'impossibile come é per tutte le fedi che vogliono rendere incontrovertibile ciò che in ultimo non riesce a tenersi fermo, il controvertibile, questo il 'giudizio" sulle "cose" ma é sempre "qualche cosa"; è come il realizzarsi che vuole il realizzato come compimento del suo realizzarsi.Crede nell'incontrovertibilitá di ció che é
invece controvertibile e quel credere é un voler realizzato ció che appunto non é che il realizzarsi.
Non fa altro che "desiderare" che é un "volere" de-potenziato é un volere più dubitante poiché non crede così fermamente come colui che vuole ma ha di per se la stessa natura che é quella di ridurre la verità a certezza nel migliore dei casi e a incertezza nel caso del desiderio, comunque forme più o meno potenti di fede.
Cosa intende dire quando dice che occhi, sguardo e conoscenza stanno insieme ma si elidono? poiché se intende dire che ogni strumento come tale é inadeguato rispetto l'apparire della veritá come volontá che conduce l'essere nell'apparire allora testimonia il pensiero che si libera dal nichilismo dell'uomo che crede (fede) di poter creare e distruggere l'essere come il "creatore", altrimenti si inscrive in questo orizzonte.
Vedo che lei rimasto al principio di non-contaddizione di Aristotele, in ci che scrive ogni volta lo richiama. Si tratta proprio della costruzione della realt di cui le parlavo. Secondo il principio di non contraddizione impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo. Dato che non sto facendo riferimento n al tempo ridotto al tempo cronologico n all'oggetto, il principio di non-contraddizione in questo momento non mi interessa. Si tratta di un principio linguistico; le ripeto che il riferimento che mi interessa l'immagine in quanto tale; la passione ripetizione.
E' proprio questo che implicitamente le voglio indicare, e cioè che lei può anche volere che una cosa non esista, ma non per questo quella cosa non esiste, altrimenti contraddirebbe al principio di non contraddizione appunto e dire che il principio di non contraddizione è un principio linguistico oltre a essere riduttivo del significato che è posto dal suddetto principio per l'ontologia(=realtà) tutta e non per il linguaggio solamente è anche errore perché non si avvede che ogni "cosa" presuppone tale principio.
Il desiderio non la volont e nemmeno la volont depotenziata. Il desiderio non desiderio di un oggetto; sarebbe qualcosa di molto astratto. Il desiderio qualcosa che ci attraversa e che non dell'orine della volont. Si tratta di un concatenamento. Il desiderio un luogo vuoto che ci orienta; si tratta di ci che sentiamo come vero, che non riusciamo a dire e che orienta i nostri tentativi di significazione. Il dubbio le ripeto che non c'entra nulla, l'esitazione, la quale non l'incertezza. Non essere o non essere, si tratta del non realizzato, il quale preontologico. Come ho scritto nell'articolo che lei ha letto forse distrattamente, linguisticamente non si pu fare altro che inserire riferimenti temporali, ma ci a cui sto facendo riferimento una faglia, un vuoto che legato al visivo, all'immagine in quanto tale. Si tratta del punto cieco delle immagine. Ci che non riconducibile ad un senso. Se riduco le immagini ad un senso, non le sto pi guardando.
Non si tratta di volere che qualcosa non esiste, mi dica pure dove ha trovato questo riferimento nei miei scritti. Lei inventa continuamente cose che non ho scritto, le chiedo per favore di essere pi preciso. Lei continua a parlare di esistenza; per dire che qualcosa esiste bisogna saper anche trovare dov' questa esistenza. Oltre al principio di non contraddizione, lei si richiama al principio di realt. Cos' la realt, chi stabilisce che cos' o qual' la realt. La realt una costruzione e con questo non dico che questa costruzione non ci debba essere e che non faccia parte di noi. A me interessa per il reale, il quale un punto che non c', non realizzato.
"Ci che (...) chiamiamo realt e che diamo per scontato una presa immaginaria. I fatti sono dellordine dellimmaginario. Sono ci che facile. Chi crede che il dato di fatto coincide con la verit pensa anche che limmagine allo specchio coincida con noi stessi.Lontologia una visione filosofica, mentre far riferimento al metodo, alla forma e non a un contenuto che ci dice come stanno le cose la filosofia nel modo politico, legato al costituirsi della soggettivit. Questo non vuol dire che il contenuto non ci sia o che sia secondario (non si tratta del primario e del secondario) e non sto dicendo nemmeno che non abbia anchio la mia ontologia. Anche il discorso che sto facendo qui una costruzione con un contenuto, ma una costruzione consapevole che confida che ci che si sta dicendo qui faccia sedimentare quel vago senso di perdita che ci accompagna e che non va risolto. Questo senso di perdita siamo stati formati a risolverlo (articolo Ancora sul concetto di verit)
Quando dico che sguardo, occhi e conoscenza stanno insieme ma si elidono vuol dire che l'uno non riducibile all'altro e che vi una schisi fra occhi e sguardo. Il sapere detta l'immagine ed per questo che importante la constatazione che ci che crediamo di vedere e che non possiamo far altro che descrivere non coincide con il dato a vedere. C' qualcosa che riveviamo nel nostro guardare. Sono cose che ho gi scritto e che ripeto con piacere. Si tratta della passione, della ripetizione.
C' chi invece vuole sempre andare a tutti i costi oltre la descrizione e vuole sempre interpretare andando a livelli di astrazione sempre pi alti e pericolosi. Per questo la nevrosi dell'interpretazione.
Con tutta la sua buona volontà non riesce ad uscire dal principio di realtà e benché adoperi l'immaginario dell'immaginario con il massimo dell'astrazione possibile l'impossibile non può realizzarlo causa quel principio.poi dice che la realtà è una costruzione, ma dicendo questo cosa intende, forse che noi non possiamo interagire allora con qualche altro tipo di realtà che non sia costruzione? A parte il fatto che tutto esiste come esistenza e essenza così un sasso come per un triangolo, non è d'accordo Cartella ? Cioè cosa la disturba ? Lei forse crede che il triangolo non è in relatà un triangolo o meglio lei crede forse che l'immagine rispecchiata di noi in uno specchio non sia reale? allora è nell'errore.
se lei continua a cercare l'inesistente fa una grandissima fatica ma non troverà nulla.
Le chiedo allora ha l'unicorno proprietà di esistere ?
Sarà mica un poco influenzato dal kantismo e dall'empirismo. Questo il titolo corretto.
Poichè lo scarto che lei indica é lo stesso scarto che vi é fra ogni cosa, per esempio, lo scarto fra A e B, poiché A é A e diverso da B e B é B e diverso da A, o anche A é nulla di B e B é nulla di A. Ecco che se allora le interessa questo fa metafisica se dice quello che le ho indicato altrimenti si porta nell'orizzonte del mio o fede se preferisce. quindi lo scarto che esiste fra il visivo e lo sguardo é ciò che differenzia appunto il visivo dallo sguardo e rende uguale al visivo il visivo e allo sguardo lo sguardo.La loro essenza che li rende distinti e differenti ma uniti come predicati del tutto
davvero lei pensa che il triangolo sia qualcosa di trascendente e indipendente, staccato magari in un altro mondo, per esempio nel mondo delle idee? Per lei i triangoli che disegnamo sono triangoli o sono rappresentazioni? Le ripeto che non si tratta di realizzare l'impossibile, non si tratta della possibilità o dell'impossibilità; si tratta del costituirsi della nostra soggettività, della constatazione di quel punto, di quel dramma (non tragedia) che ci riporta a quella non
coincidenza, a quella schisi fra occhi e sguardo. Schisi non vuol dire differenza; vuol dire che si tratta di una diacronia nella sincronia. la realtà è una costruzione (termine né negativo né positivo) come le ripeto vuol dire che la realtà non è come stanno le cose, perché le cose non sono dell'ordine del linguaggio. Il principio di realtà è legato alla definizione della realtà, la quale avviene attraverso il linguaggio. Chi impone il proprio principio di realtà, che deriva a sua volta dal sapere che viene trasmesso. A me non interessa il principio di realtà e la trasmissione del sapere, ma il punto di crisi di tutto questo. Ciò che non sta alla realizzazione di un sapere o di una conoscenza. Mi interessa quel dramma costitutivo della soggettività che sta alla base anche della possibilità di cambiare. Le persone coerenti con se stesse, con la propria costruzione di sé,
sono pericolose. A me interessa la fedeltà a se stessi, né metafisica né mitologia, ma filosofia. La filosofia è un residuo dell'evento nell'evento. Essa si occupa dell'evento in quanto tale non riducibile alla realizzazione e alla concettualizzazione. Si tratta di un puro accadimento. Su un evento che ci è accaduto a posteriori possiamo rifletterci su, ma questo a posteriori c'è fin dall'inizio nella forma del non realizzato, ciò che ci riporta alla nostra soggettività. Si tratta di un rispecchiamento, il quale non è un riconoscimento. L'esitazione riguarda questo. Chi non esita giudica indifferentemente e a volte punisce indifferentemente, senza constatare quella non coincidenza fra il nostro giudizio e quel corpo che ci sta di fronte. é il punto di crisi della logica della decisione.
il non realizzato o scarto è proprio quel mondo che lei cerca ma che non trova, ma già nel temine "cerca" vi è l'essenza del "non trovato", non crede ? E' proprio questo quello che continuo , ma vedo inutilmente, a ripeterle e questo le dice il principio di non contraddizione o di realtà: pensando il triangolo ( = che è l’essenza, ‘essentia’ ), non sappiamo se a esso convenga l’esistenza concreta, ‘an esse habeant in rerum natura’, cioè l’essere ( = ‘esse’ ), l’ ‘esse in rerum natura’, ma siamo sicuri del suo apparire come essenza e quindi esiste, quindi il "non realizzato" come ciò che ancora non ci appare è sicuro che apparirà sicuro significa "necessario", per il completamento del "tutto" e il risolvimento della sua contraddizione.
altrimenti, con tutta la sua buona volontà, non è in filosofia ma in mitologia o fede, fede appunto che vuole incontrovertibile il controvertibile e che vuole l'esitazione non esitante, poiché il cercare di risolvere l'irrisolvibile significa credere l'essere del nulla. O di poter pensare che esista la verità in luogo di non verità come fa lei, anche un poco facendomi sorridere, quando mi minaccia tutte le volte che mi punta un dito tacciandomi di essere un mistificatore che anela al possesso della verità. No io sono testimone vivente come lei dell'apparire della verità ma che il linguaggio e le parole che noi esprimiamo tutti i giorni non siano la verità, come è ovvio perchè calati nel tempo e nella parte , ciò non significa affatto che essa non esista o appaia evidente come sola parte del tutto ma già in origine con il significato che gli compete.
"attenzione per ciò che sta in luce" e ciò che è lontano da essa è mitologia o fede.
Mi dica pure in che passaggi le ho puntato il dito. Non le ho mai dato del mistificatore, lei continua a inventare e mi dispiace. Il riferimento al non realizzato non ha proprio nulla a che vedere con ciò che si cerca o con la volontà, ma ha a che fare con il costituirsi della soggettività. Il principio di non-contraddizione come le ripeto è un principio riguardante il logos; a me interessa ciò che non sta al logos nel logos stesso, si tratta dell'evento. Lei parla di sicurezza, siamo sicuri, invece il riferimento che mi riguarda è la crisi. Il non realizzato inoltre non è ciò che ancora non ci appare, in un movimento cronologico di attesa, ma riguarda ciò che non è mai stato e che eppure ho visto. Mi rendo conto della difficoltà ma come le ripeto non si tratta di un ragionamento ma di un punto. Lei parla di essenza, ovvero ciò che fa di una cosa quella cosa e non un'altra cosa; l'essenza non è
altro che una supposizione. Essa ha a che fare con l'astrazione, la quale è un'estrazione di ciò che riteniamo importante della cosa di cui viene predicata l'essenza. In questo momento questa estrazione non mi interessa, preferisco il concetto di funzione e di simbolo, i quali non pretendono di dire come stanno le cose, ma sono degli esercizi per non risolvere l'inquietudine che ci accompagna. La luce è molto importante perché ci riporta al visivo e all'immagine in quanto tale e non a un discorso.
L'inquietudine non è la tragedia, non riguarda ciò che potevo fare e che non ho fatto, ma in ciò che ho fatto c'è qualcosa che non sta alla realizzazione dell'azione che ho compito. Questo glielo può presentare un bambino quando fa qualche marachella e risponde al rimprovero di suo padre con un "non è colpa mia". Non lo fa per giustificarsi, semplicemente si tratta della constatazione che lui non coincide con l'azione giudicata colpevole da suo padre. Le cose più semplici sono le più difficili. Vi è differenza fra un padre che giudica esitando e un padre che giudica indifferentemente il figlio.
Non c'é bisogno di essere sempre espliciti, ma é questo che lei ha cercato di portare a galla per distinguersi da me, in una sorta di verstand hegeleiano,ma appunto ciò é sciocco per un filosofo, un filosofo deve sapere che non vi sono persone più vere o cose più vere, vi sono persone e vi sono cose infine la veritá che non può non risultare, appunto tutte cose queste distinte, ma cose. Certo la parola "mistificatore" é mia e lei non l'ha mai proferita, ma quando mi domanda se io credo di essere in possesso della verità cosa intimamente vuole esprimere se non che io appunto, tracotante e prevaricante (hybris) , pretenda di esserne in possesso ? Allora proseguirò cercando di porle delle domande e lei cerchi con me quella faglia di cui si preoccupa... Lei dice della vista e dello sguardo intendendo come vista appunto l'oggetto visto e come
sguardo l'elaborazione di questi oggetti, una sorta di aberrazione, l'uno accanto all'altro che configurano un altro " visto" che è in questo un visto soggettivo, e per questo diverso nella elaborazione mentale di ognuno, poi però non contento inserisce quel termine, la "possibilità", che fa di questo nuovo oggetto, lo sguardo appunto, un realizzato che poteva essere qualcosa d'altro a seconda del soggetto, sto andando bene? Ecco a lei interessa quel qualcosa d'altro, giusto? Il non realizzato, vero? Bene, cosa le fa credere che vi sia un "possibile"? Quale struttura o intima "essenza" , senza la quale non potremmo nemmeno parlare, e che lei chiama "astrazione", ma che è l'estrazione o relazione che non ha possibilità di essere negata in quanto la negazione è auto negazione, dicevo quale struttura può definire quel "possibile"?
Mi dia la sua risposta e se mi risponderà che non lo sa ed è solo inquietudine esistenziale, allora le risponderò che si tratta solamente di "inquietudine esistenziale".
Sono tutte cose che dice lei; parla di portarsi a galla per distinguersi da lei, proprio qualcosa che non mi interessa minimamente. Non si tratta dell'uguale o del diverso, si tratta magari della discussione, ma per la discussione importante la disposizione all'ascolto. Le ripeto ancora che non si tratta della possibilit. Non si tratta di ci che potevo fare e non ho fatto, ma in ci che ho fatto c' qualcosa che non coincide con ci che ho fatto. Questo nel costituirsi della soggettivit. Lei continua ad inventare, persone vere e persone false, mi dica pure i riferimenti, sia pi preciso. La differenza fra le cose gi un'idea. lei scrive "la verit che non pu non risultare, appunto tutte cose queste distinte, ma cose"; forse la domanda che lei dice che le ho posto era riferita ad affermazioni come questa.
"Lei dice della vista e dello sguardo intendendo come vista appunto l'oggetto visto e come sguardo l'elaborazione di questi oggetti".Non ho mai scritto una cosa del genere, questo l'ha scritto lei. Non si tratta dell'andar bene e dell'andar male, si tratta della disposizione all'ascolto e alla lettura."una sorta di aberrazione, l'uno accanto all'altro che configurano un altro " visto" che in questo un visto soggettivo, e per questo diverso nella elaborazione mentale di ognuno". Anche questo l'ha inserito lei ed un riferimento al ragionamento, all'interpretazione, all'elaborazione. A me in questo momento non interessa l'interpretazione del visto, mi interessa l'immagine in quanto tale. Non si tratta di dare delle definizioni, il voler dare a tutti i costi delle definizioni proprio quello che le ho scritto riguardo al giudizio. Quela che interessa a me la controtendenza rispetto a questo movimento. Si tratta della crisi della logica della decisione e del giudizio.
Inoltre non ho mai negato la capacit di mettere in relazione, la quale fa parte di noi. Sto solo facendo riferimento al non ridursi a questa capacit. C' qualcosa che non riguarda la nostra capacit.
Rigardo all'oggetto e agli oggetti, le ripeto anche che non si tratta del dispositivo soggetto-oggetto. Il riferimento non a un soggetto che si trova di fronte a degli oggetti e cerca di elaborarli e interpretarli. Questo pu essere un passaggio successivo che riguarda l'astrazione, che in questo momento non mi interessa. Quando dico che non mi interessa non la sto negando. In questo momento mi interessa quel punto che non sta all'elaborazione e all'interpretazione e si tratta della crisi del dispositivo soggetto-oggetto. La soggettivit non il soggetto.
Quando scrivo qualcosa non pensi che lo sto scrivendo contro di lei o per distinguermi da lei. Come le ripeto si tratta anche del punto di crisi di questa dialettica oppositiva; affermazione-negazione, qualcosa che non mi interessa, preferisco la discussione, discutere insieme. Comunque grazie per le domande, credo sia bello farsi delle domande.
Lei insiste a dirmi di cosa "non si tratta", ma io insisto a chiederle di "cosa si tratta", perché se la sua ricerca è oltre il logico reale io voglio mostrarle che entra in un terreno impossibile nel senso di contraddittorio.A parte questo, tutto ciò che ha scritto in precedenza ha senso in quanto è distinto o altro rispetto ha ciò che non ha detto o ho detto io... ad esempio quando dice, a me interessa...ecc...
" Io non voglio distinguere" è una frase impossibile e lei dovrebbe saperlo bene in quanto nel averla posta "vuole distinguere" quindi è frase contraddittoria. Quindi nel momento che lei insiste a differenziarsi da me specificando che non è questo che vuole fare, beh mostra una contraddizione, contraddizione che si mostra a prescindere da ogni sua volontà. Questa è veritå che si mostra contro volontà.
Vede lei insiste sul contraddittorio, lei sostiene che la mia ricerca cerca di andare oltre il logico reale, le ripeto che si tratta del reale nel logico, ma che non riducibile al logico stesso. Si tratta (non non si tratta) del non realizzato. Comunque anche rispetto alla contraddizione si tratta di saper trovare dov' questa contraddizione. Ora vado a mangiare, poi continuo.
Ripeto: il reale che nel logico irriducibile al logico stesso. Non ho mai scritto "io non voglio distinguere", una frase che ha inserito lei, non serve metterla tra virgolette. Davvero per lei quello che qualcuno pu scrivere lo scrive per differenziarsi da lei?. Davvero per lei io sono volont e lei e verit?Pensa davvero queste cose? lei sempre contro qualcuno? Magari c' un complotto contro di lei?
e quando lo fa si differenzia. Con questa realtà io lei e chiunque altro non possiamo farci nullaper modificarle, nel momento in cui vogliamo farlo è il momento di non-verità.
boia l'ipod.
Per dato che non siamo fra quelli che vogliono farlo, siamo salvi. Grazie ancora per la discussione.
"Quando scrivo qualcosa non pensi che lo sto scrivendo contro di lei o per distinguermi da lei." l'ha scritta lei questa ? Beh, le ripeto , che anche con tutta la sua "buona volontà", la verità vuole, poiché anche la verità ha volontà, l'apparire dell'incontrovertibile, e l'incontrovertibile è l'esser sé dell'essente (il suo scrivere e il suo scritto) e il non essere l'altro da sé ( il mio scrivere e il mio scritto).
e la franchezza con cui si è esposto e imposto.
"Quando scrivo qualcosa non pensi che lo sto scrivendo contro di lei o per distinguermi da lei." Non vuol dire che quello che ho scritto non si differenzia da quello che ha scritto lei, ho solo detto che non l'ho scritto con l'intenzione di differenziarmi da lei e tanto meno contro di lei. Come le ho scritto una delle prime volte che ci siamo scritti parliamo semplicemente di cose diverse, questo non vuol dire che le scriviamo per differenziarci l'uno dall'altro, non una competizione. La competizione non mi interessa, preferisco la discussione. Non si tratta di imporre ma di presentare.
Sta scrivendo la sua parte di verità e come tale, come "parte" della verità, è volontà che vuole l'apparire di quella parte, ma quella parte vive grazie al fatto che vi sono le altre parti, senza quelle, come potrebbe il realizzarsi del tutto comune (verità)? Ma ancora di più, come potrebbe il suo realizzarsi, il realizzarsi della parte (sua).Come il "bene" senza il "male", ma in qualche maniera, che in questa sede sarebbe faticoso l'esporre, senza io e lei e questo mezzo di comunicazione e l'albero e la casa ecc... la sua parte non si costituirebbe.Che lei lo faccia o meno, che lei abbia l'intenzione o non l'abbia, lei è un distinto da me perché è l'apparire dell'essere uguale a sé e altro dal suo altro e in questo testimone vivente della verità del tutto eterno, sia in volontà alienante che in volontà che vuole verità.
L'opposizione dialettica fra bene-male e il linguaggio come comunicazione. Mi interessa il punto di crisi di queste due cose. Il linguaggio non solo comunicazione. Si tratta della musicalit, del suono. Non ho mai negato che sono distinto da lei. Il tutto eterno una supposizione ed qualcosa di molto astratto. E poi bisognerebbe intendersi su questo tutto eterno. Per il tutto eterno qualcosa che riguarda la metafisica e la riduzione al logos. A me interessa la filosofia e ci che nel logos irriducibile al logos stesso, il non realizzato. Anche il dualismo apparenza-non apparenza qualcosa di legato alla dialettica. Le ripeto che non mi interessa questa dialettica, mi interessa il suo punto di cedimento.
Si fonda sul principio appena esposto e cioé che ogni essere è sè stante e il non essere l'altro da sé, questo è il destino, il destino è l'apparire di questo essere, destino appunto che è lo-stare, lo stare che è incontrovertibile e cioè verità, verità che ogni essere appunto è in destino di necessità, poichè essendo se stesso e non potendo essere l'altro è per forza eterno,se la storia del mondo è Ontologia e cioè la storia dell'essere e come potrebbe l'essere infatti in questo contesto diventare nulla? Cioè il suo altro? Contraddittorio o se preferisce impossibile.
È al contrario molto concreto, astratto ė il suo contrario, astratto è l'astrarre ciò che non è possibile che sia astratto. Pensare che le cose vengano dal nulla e vi ritornino e cioè che non siano appunto eterne è la massima delle astrazioni, astrazione che è contraddizione e il suo contenuto non esiste. Lo so che per un nichilista come lei e come lo sono anche inconsciamente la maggior parte degli uomini, il solo sostenere un pensiero dell'eterno è arduo, proprio perché fin dall'origine di metafisica si è oscurato il tratto essenziale dell'essere che è l'opposto del nulla e non può andare con lui in sintesi pena l'annullamento di tutto, contraddittorio.
Si tratta proprio di un principio, un bel principio esplicativo. "Lo stare incontrovertibile e quindi verit" ed ecco che allora lei ci enuncia la verit. "Ogni essere in destino di necessit", e chi lo dice, lei? Lei parla di ogni essere e mi dice che non astratto. L'eternit il non poter essere altro? Ma davvero pensa questo? La storia del mondo ontologia? E chi lo dice? La storia racconto costruzione che serve a noi nel presente, una ricostruzione del passato funzionale al presente. In questo momento la storia non mi interessa, mi interessa la memoria. La storia dell'essere una sua supposizione. Tutto-niente, c' qualcosa che non sta a questa dialettica, questo non vuol dire che la superi. Pensare che le cose vengano dal nulla e vi ritornino forse lo pensa lei, non ho mai scritto una cosa del genere. Lei continua ad inventare, sia pi preciso. Nichilista chi sostiene che ci che abbiamo in comune la morte. A me interessa la nascita.
Lei parla della maggior parte degli uomini e poi mi dice che non astratto. lei pretende addirittura di dire come la pensa la magior parte degli uomini, che magari pensano delle cose contro di lei. C' un complotto. Le ripeto che la metafisica in questo momento non mi interessa, mi interessa la filosofia. Lascio pure a lei sostenere il pensiero dell'eterno.
Se per i contraddittorio noi pensiamo ciò che sta e non può essere smentito da nulla e da nessuno. Se non fosse lo stare incontrovertibile allora al suo posto sarebbe il divenir controvertibile, pensa lei che possa esistere tra questi due termini una medietà ? Ci rifletta. Se ho una penna può esister qualche cosa che sta tra la penna e la non-penna? Se no allora ho ragione del principio, e io so di aver ragione. La non-penna è la casa, io , lei, il mercato europeo, la luce riflessa di una goccia di rugiada, ecc... Ecco che non esiste alcun scarto o aberrazione che non sia scarto o aberrazione. Io, come lei, sono testimone e parte in gioco della verità non la enunciò diversamente da lei.
Con tutti gli sforzi che fa per astrarsi da me in verità può solo distinguersi, ma non astrarsi, l'astrazione è azione nichilista che pensa all'essere come qualcosa che può essere come non essere, in questo assolutamente libero, sciolto da legami, contraddittorio appunto.nel suo caso lei pensa continuamente che io voglia prevaricare annunciando qualcosa della verità, ma lei, che mi contraddice, ci rifletta, lo fa pensando del suo di dire qualche cosa di vero o lo fa in nome del nulla?
Quando annuncia l'interesse per qualcosa ci prende in realtà in giro o pensa ad un interesse vero?
Allora se sarà sincero con se stesso e non vorrà negarlo, come auto negazione, converrà con me su verità.
È l'affermazione che nega ciò che afferma.
Poiché mi nasce il dubbio che parliamo linguaggi diversi eppure lei è un filosofo, vero?
io non sono, come è possibile solo l'evidenza mostra la contraddizione, o è dire il rosso è non-rosso, o la casa è la casa e il quadro, o la contraddizione suprema, l'essere è il nulla o il non-essere.Che poi siamo nel tempo del nichilismo non sono io a dirlo ma le vette del pensiero contemporaneo da Gentile a Heidegger e il rigore con cui estendono l concetto a tutto il pensiero occidentale è di un rigore che è difficile da smentire, e sicuramente non lo può lei qui in due parole, sarebbe appunto contraddittorio e cioè affermerebbe così negando cuò che afferma, e il contenuto di ciò che allora volesse affermare quello si che si negherebbe.
Heidegger dice... Solo un Dio può salvarci... e secondo lei perché lo dice? Lo dice perché per un essere che va nel nulla (nichilismo) l'unica possibilità di salvezza è un Dio (l'eterno), ma l'essere che va nel nulla è un discorso che è il contraddittorio, ma consciamente o inconsciamente, questo è quello che più o meno appunto viene pensato dalla maggior parte degli uomini.
Lei mi chiede chi lo dice io le chiedo chi lo può negare, chi lo fa è ancora in contraddizione.
...invece è discorso Controvertibile che può essere benissimo smentito dal suo opposto senza per questo essere insieme auto contraddittorio, negare sé stesso,, in questo si io sono un pocho più rigoroso di lei, ma questo è dovuto ad una esperienza che lei ancora non ha.
È tutt'altro che esaltante per la mia persona che in questo essere esperienziale è si più completo e concreto, ma appunto meno giovane.
Ecco Nascita è un termine nichilista, come lo è creazione se per nascita e creazione si pensa al venire dal nulla, questo ad esempio è il pensiero scientifico, pensi al Big Bang, l'universo che si forma dal nulla . L'eternità invece racconta dell'apparire delle cose e del loro tramontare in un divenire incontrovertibile e non controvertibile, in un divenire che non è possibilità ma bensì necessità, necessità che appaia il contenuto della verità.
...sarà d'accordo con me vero che la scienza moderna è fede tale e quale la fede cristiana vero?
Abbiamo onorato il titolo del suo intervento.
"Ci rifletta. Se ho una penna pu esister qualche cosa che sta tra la penna e la non-penna? Se no allora ho ragione del principio, e io so di aver ragione". Lei continua a parlarmi di un principio del quale dice di aver ragione. Questo principio non l'ho mai negato. E sull'aver ragione, faccia pure. A me per interessa ci che irriducibile a questa ragione, qualcosa che ha a che vedere con il punto cieco delle immagini, che non razionalizzabile, ma che nel costituirsi della soggettivit, il non realizzato. Si tratta del visivo e non del linguistico. Scarto e aberrazione, sono termini che usa lei. Non so di cosa sta parlando, lei molto impreciso. La filosofia precisione. Ma lei fa metafisica, e in metafisica si pu raccontare la storia dell'orso. Pi che del prendere in giro si tratta di un girare attorno al vuoto, di una descrizione intorno al vuoto.
"Non lo penso io lo dice l'incontraddittoriet". Me la presenti, bionda? Dove abita?
Sulla giovent e la vecchiaia, io sono giovane, lei no, allora lei sa e io non so. tutto riducibile al sapere e al non-sapere?. L'immagine di un corpo riducibile alla mia concettualizzazione? Davvero lei pensa queste cose? Per lei tutto un dualismo oppositivo? Bene-male, apparenza-verit, affermazione-negazione, e non c' alcun punto di crisi? Punto di crisi non vuol dire negazione. Si rende conto della pericolosit di questa riduzione? A me interessa quel punto irriducibile alla categorizzazione bene-male, la quale una categorizzazione e una definizione sempre portata avanti da qualcuno per i propri interessi. Male ci che intralcia il proprio interesse. A me interessa quel punto, che di l dal bene e dal male, ma non li supera in una sintesi.
Nelle ultime due frasi la parola interesse riguarda la prima volta l'interesse rispetto all'utilit, la seconda volta l'interesse legato al desiderio, il quale qualcosa che ci attraversa e non dell'ordine della volont. Non si sarebbe potuta dire qualsiasi altra cosa, si chiamati a dirla, per niente.
La nascita non la creazione e nemmeno il momento uterino. La nascita la festa, la quale non ha contenuto. La festa legittima e si tratta di una legittimit immanente e non trascendente, non un principio e nemmeno una formula.
Quando dico "a me interessa" qualcosa di legato al desiderio, che non la volont.
ma è lei che omette di inserire il verbo essere coscientemente o è questo un baco del programma che sta sotto e incidentalmente le toglie tutti gli "è" dal discorso ? Per il resto, siccome mi reputo mediamente comprensivo la pregherei di non insistere sul dualismo e sulla contrapposizione personale, ora e solo ora, dopo interminabili stoccate che mi porta glie lo dico e le rispondo anche su questo , e glie lo dico proprio perché questa parte, che reputo meno che insignificante, non può essere elusa poiché è ineludibile. Sulla gioventù e sulla vecchiaia io sono vecchio e lei è giovane o vuole anche qui essere contraddittorio, si accomodi allora lei è vecchio e io sono giovane, ma vedrà , che come per il resto d'altronde, con tutta la volontà che ci metterà, la verità verrà a galla e cioè che infine la volontà e impossibile, nel senso che è contraddittoria
la verità invece è possibile, nel senso che "appare", già da sempre come origine (l'immediato). Mi risponda, cosa intende lei per "crisi" ? Poichè vedo che è lei al contrario che vorrebbe uscire dal linguaggio, cioè appunto astrarre fino all'impossibile: crisi deriva da crisis, latino e Krisis, greco che tiene a Krino "separo" e figurativo "decido" vedi "cernere", allora vediamo cosa la sapienza del linguaggio ci dice... Il divenire nichilistico, ossia l’uscire e il ritornare nel nulla, implica una diversità infinita tra l’ente e il nulla, perché infinita è la distanza tra l’essere e il nulla, altrettanto infinita è la violenza che vuole realizzare tale identificazione. La volontà che vuole far diventare qualcosa altro da sé è volontà di potenza, tale volontà è quella che denota la civiltà occidentale, perfino quando pone l’importanza della
salvezza, della tolleranza, dell’amore, anche qui si tratta di violenza infinita. Per quanto amore e odio, tolleranza e intolleranza siano diversi, hanno entrambi lo stesso fondamento: violenza infinita.Se da una parte il diventare altro di un ente è impossibile, dall’altra il diventare altro, come la volontà di potenza o l’impossibile sono enti, e quindi anch’essi eterni. Con il divenire appaiono gli eterni spettacoli della violenza, ma tale volontà non appare come qualcosa di ottenuto da sé, è il destino che invia gli eterni che corrispondono e corrispondono alla violenza della volontà.L’uomo occidentale ha da sempre ricercato la salvezza: dal mito, religione, scienza e oggi la tecnica. Ciò che vuole la salvezza è evitare la propria distruzione. Dalla fede nella distruzione scaturisce l’angoscia. Anzi la stessa forma che l’angoscia storicamente assume è determinata dalla forma
tipica dell’angoscia: l’angoscia per il proprio annullamento.L’Occidente ha evocato il niente, possiamo anzi dire che l’Occidente è l’evocazione del niente; mentre Dio e la Tecnica sono i due modi fondamentali in cui esso crede di salvarsi dal niente: l’Occidente ha, per così dire, prodotto sia la malattia sia il farmaco.Se, infatti, la tecnica oggi rappresenta la forma più potente per salvarsi dall’annientamento, allo stesso tempo è l’apparato che può annientare l’intera razza umana.Si teme la propria distruzione, perché si crede che il mondo cambi in continuazione: la distruzione sopraggiunge con i cambiamenti del mondo. Ma questi infiniti cambiamenti del mondo sono una fede, ossia l’interpretazione per cui l’ente sopraggiunge dal niente e vi ritorna: l’ente è ni-ente. Tale identità degli opposti nasce con il pensiero greco,
non a caso prima della cultura greca la distruzione non era intesa come annientamento, e le cose distrutte potevano ritornare, nascita e morte avevano un carattere ciclico. Ma quando la distruzione diviene annientamento le cose distrutte non possono più ritornare. Tale convinzione accade nella tragedia greca: angoscia e annientamento. Ma è nella stessa tragedia greca e poi nel pensiero filosofico e quindi occidentale, che si crede nell’esistenza di un “rimedio” per l’angoscia suscitata dal divenire nichilistico. Il rimedio è la “previsione” (Pro-meteo). Possiamo con ciò affermare che la contemplazione della verità greca è il modello di previsione scientifica. La verità greca salva perché sta a fondamento di ogni cambiamento del mondo, e tale fondamento è inalterato ed eterno. La verità greca è epi-stéme, ossia ciò che “sta sopra” fermo, imponendosi
La verità greca è la manifestazione del Tutto, e poiché il Tutto comprende anche il futuro, la verità lo anticipa, lo pre-vede.Tutte le forme di stabilità che l’Occidente ha costruito nell’ambito religioso, economico, giuridico, morale, politico ed estetico sono pensate e costruite alla luce della stabilità epistemica.La volontà di vivere è volontà di potenza, ossia volontà di dominare ciò che minaccia la vita: volontà di salvezza. La potenza si presenta come salvezza dall’annientamento, dal niente. Essa si articola oggi come dominio delle forze che strappano le cose dal niente. A sua volta, la volontà di potenza presuppone che le cose mutino, nascano, muoiano, incomincino e finiscano, si alterino, si diversifichino, si corrompano, scorrano, divengano. In breve a fondamento della volontà di potenza vi è la fede nel divenire. Ma il divenire come l’uscire e il
ritornare nel nulla presuppone l’isolamento dell’ente rispetto al Tutto. Se, da una parte, la volontà di potenza vuole salvarsi dal nulla, dall’altra essa nasce e si fonda sulla fede nel nulla: ciò sta a fondamento dell’angoscia.L’epoca attuale, conforme al concetto greco di divenire, abbandona l’apparato teologico-epistemico, il quale contraddice il divenire, ponendo come suo fondamento l’apparato tecnologico-scientifico, il quale produce verità ipotetiche e non epistemiche. Il carattere ipotetico si presenta come più funzionale di quello epistemico, esso riesce meglio a prevedere il futuro perché è in grado di adeguarsi meglio ai cambiamenti. La previsione ipotetica adotta il carattere della quantità, mentre quello epistemico quello della qualità.
Il suo carattere quantitativo porta ad una riduzione progressiva dell’annientamento, questo è il rimedio contro l’angoscia nell’età della tecnica. La tecnica salva l’uomo dall’annientamento perché, a differenza dell’apparato teologico-epistemico, non ha verità. Salva perché è ipotesi che funziona. In essa la potenza cresce indefinitamente e funziona senza verità. Ciò significa che la felicità raggiunta, la salvezza dall’angoscia, in quanto basata sull’ipotesi può essere sempre perduta: se la verità non esiste ogni stato del mondo è un caso. Ma proprio questo non fa altro che portare al culmine il senso dell’angoscia.La tecnica è il culmine «perché più si è felici più si vuole conservare ciò che si è, cioè salvarlo dal niente; ma se la verità non esiste, che la felicità sia
salva dal niente non può essere una verità, e quindi la volontà di conservare la felicità si trasforma nel timore di perderla – tanto maggiore quanto più la felicità è grande. La tecnica può liberare l’uomo dalla morte, ma l’immortalità raggiunta è minacciata dalla possibilità dal suo annientamento. Il paradiso della Tecnica è il luogo dove l’angoscia diventa estrema».I due grandi rimedi contro l’annientamento preparati dalla volontà di potenza falliscono. In primo luogo fallisce il concetto stesso di “rimedio” e di «strumento preparato (ad-paratum) per la guarigione», e fallisce perché si alimenta della stessa malattia: tali rimedi costruiscono «nidi sospesi sull’abisso».A fondamento della tecnica vi è anche la decisione.
. Vi è infatti un’intima connessione tra il decidere e la specializzazione scientifica. La specializzazione è il rivolgersi alla species, che significa aspetto, apparenza, figura. Il verbo latino specere significa appunto vedere. Al verbo spec-ere corrisponde il verbo grecosképt-ein; a sua volta la spec-ies corrisponde al greco skop-όs, che significa “meta”, “scopo”, ciò verso cui si osserva e si fonda. La visibilità della species è ciò che permette di essere osservata, controllata, misurata, desiderata e temuta. In più la species è tanto più visibile quanto più essa può essere isolata, distinta, separata. Questo è uno dei fattori essenziale che ha permesso di abbandonare il mondo mitico, simbolico, in cui una cosa poteva significare tante cose. L’uomo non si fa più guidare dal mito quando comincia a sentirsi un centro di azione, capace quindi di
di decidere.La parola decido significa prima di tutto “taglio”. Decido equivale a de-caedo, che significa “colpito, in modo da separare il colpito da ciò a cui era unito” appunto per questo, caedo significa anche “uccido”, che deriva dal latino oc-cido, che daccapo significa ob-caedo (ob- indica ciò contro cui il caedere si effettua).
Quella del vecchio e del giovane l'ha tirata fuori lei. lei che parla della mia inesperienza e della mia giovent, come se con questo avesse detto qualcosa. Il verbo essere lo omette il programma, come le avevo gi detto, ma inizia a non dispiacermi. Purtroppo lei che insiste sul dualismo e la contrapposizione personale, la questione del giovane e dell'inesperienza ne un esempio, ma ne potrei fare molti altri. Quello che interessa il punto di crisi di questo dualismo oppositivo, si tratta dello spazio della discussione. Il linguaggio non l'etimologia. Non vi un'univocit del linguaggio. Il significato manca la cosa, il significato dato dall'uso, dalla catena dei significanti. Non si tratta di qualcosa di astratto che sta al di l del linguaggio, si tratta di effetti di significato. L'etimologia molto interessante ed legata alla storia di un termine, ma in questo momento non mi interessa, le ripeto che mi interessa la memoria.
Perch mi deve per forza interessare quello che interessa a lei? Comunque punto di crisi vuol dire punto di cedimento, l'irriducibilit. Nella catena dei significanti vi qualcosa che sfugge a questa catena, ma che non la supera. Non si tratta di un uscita dal linguaggio, il linguaggio tutto ci che abbiamo, ma non tutto. Non si tratta dell'iconologico contro il linguistico. Si tratta di qualcosa che nel logos non sta al logos stesso, il non realizzato
Previsione, vedere una cosa prima ancora che accada, questo s che davvero molto astratto, non la seguo.
e l'ho fatto apposta per provocarla , provocare il suo ego, e ci sono riuscito, come già prevedevo prima di scrivere del vecchio e del giovane, d'altronde io sono più vecchio di lei.Poi dice..." come se con questo avesse detto qualcosa". Con questo ho detto quello che ho detto e lei ha risposto quello che ha risposto, ma la sua risposta tradisce che non è l'argomento solamente che deve "difendere" dagli assalti del "nemico", ma anche la propria persona, e facendo così la sua azione risulterà "depotenziata, proprio per il concetto espresso sopra del "decidere" che è "recidere" e lo scopo della sua azione difensiva diventano due scopi, e la sua persona e l'argomento, ma le armi a disposizioni rimangono quelle.allora si decida, vuole difendere le sue argomentazioni dall'assalto, o vuole difendere la sua persona ?
ecco che rispetto a me che ho solo come scopo l'argomento, lei ora è in un momento di crisi. Forse era questo che voleva spiegare in queste sue lunghe giornate passate assieme ?
che le donne siano più indecise degli uomini , almeno in potenza, proprio per questo concetto espresso sopra : le donne hanno da difendere e loro e la prole e in questo si fanno in due, depotenziandosi. Il mondo alienato, il mondo isolato, è il mondo degli uomini che è mondo di volontà di potenza.
il mondo alienato, quello della tecnica, è il mondo della continua crisi, crisi che si fonda sull'erroneo "senso" che si dà delle cose che sono, per questo mondo, l'origine di tutte le guerre, parafrasando Eraclito, che però inverte gli oggetti del contendere.
Prima dice che ha scritto quella del vecchio e del giovane per provocarmi e poi dice che il suo scopo l'argomento. Mi sa che si allontanato molto dall'argomento e continua a metterla sul personale, le ripeto che non mi interessa la competizione ma la discussione, se lei non disposto alla discussione continui pure per la sua strada. Vede per lei c' sempre un nemico da cui difendersi, per me invece si tratta della discussione, che qualcosa di comune e non di oppositivo. La crisi, l'inquietudine qualcosa di costitutivo della soggettivit, chi cerca di risolverla pu diventare anche molto aggressivo. Le ripeto che per quanto mi riguarda non scrivo per uno scopo ma scrivo per niente.
per il resto non posso difendermi dalla sua "accusa" di un mio "io" che la mette sul personale, poichè è evidente che a lei appare questo e io non ho argomenti sufficienti (al di là che potenti) per controbattere incontrovertibilmente, è il suo sguardo sulla verità rispetto al mio,e il volerlo oscurare sarebbe da parte mia hybris, prevaricazione.
Se lei scrive per niente, allora scrive per qualcosa, almeno quel niente che così fortemente l'attira. Contraddittorio è che lei scrivesse per l'assolutamente niente, l'incontrovertibilmente niente,l'infinitamente niente, poiché allora non scriverebbe per "qualcosa" che fosse anche il niente. Principio di non contraddizione.
e che scopo per l'errore che vuole l'essere uguale al niente.
poiché che l'essere è e il non-essere non è, è fin dall'"origine"(=l'immediato)(vedere anche Parmenide); che l'essere è uguale al niente è il "volere" oscurare questa origine , una volontà che per questo è impossibile, cioè contraddittoria (vedere anche Aristotele).
Ecco un'altra etichetta; io sono un nichilista. Nichilista chi dice che ci che abbiamo in comune la morte, a me interessa la nascita. La nascita non la creazione e nemmeno il momento uterino. Nell'azione c' qualcosa che non coincide con la realizzazione di quella azione e che rimane nella sua inizialit e che non rivolto verso uno scopo, si tratta del non realizzato. Non si tratta di qualcosa di sostanziale, ma di un virtuale che fa parte del reale. Ha a che fare con l'immagine in quanto tale, l'immagine non riducibile ad un contenuto di sapere che cerca di ridurla ad un senso. Si tratta del punto cieco delle immagini. Si tratta del visivo e non del linguistico. Questo non vuol dire rinunciare a parlare o a scrive, ma si confida che quello che si dice faccia sedimentare quel vago senso di perdita che ci accompagna.
Chi cerca di risolvere questo vago senso di perdita non fa altro che giudicare; e cerca risolverlo riducendosi ad appiccicare etichette. Esistenzialismo, scienza moderna, nichilista come se con queste etichette si fosse detto qualcosa. Il "fin dall'origine" una supposizione. Previsione (per il fututo) e "fin dal'origine" per il passato. A me interessa il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro. Scrivo per niente non vuol dire che non ci siano scopi, si tratta della non riducibilit a questi scopi.
...è il senso (=significato) della sua frase " io non scrivo per uno scopo io scrivo per niente": direi che qui ha superato e di gran lunga Leopardi nel suo nichilismo, almeno per Leopardi lo scrivere è una pausa , un'illusione, un rapimento che fa divergere, nell'attimo in cui si scrive l'essere dal niente che, così nel fare, nel poetare, inganna, per il tempo dello scrivere, il niente.Direi che lei, almeno in quello che ha scritto, non concede nemmeno questa pausa al nichilismo dell'essere sul niente.
Vede che non si può scrivere per niente ? come non si può essere niente. Poi il fatto che si tratta della non riducibilità debbo insistere con lei , anche per aiutarci a raggiungere infine uno scopo, cosa intende ? Poiché se intende che ad ogni cosa non si può dare un senso, perché questo non è riducibile alla "cosa" ( e per cosa intendo ogni cosa anche DIo), beh ritorniamo a voler combattere il PdnC e allora come negazione del suo affermarsi è autonegazione, pioiché per volerlo negare è costretto ad affermarlo.
E dove l'ha trovato il senso e il significato della mia frase? Nell'iperuranio? Non vi un'univocit del linguaggio. Il significato manca la cosa, il significato dato dall'uso, dalla catena dei significanti. Non si tratta di qualcosa di astratto che sta al di l del linguaggio, si tratta di effetti di significato. Scrivere per niente vuol dire che si scrive perch c' qualcosa che sentiamo come vero che orienta i nostri tentativi di significazione, ma che non riducibile a questi. Ora una pausa me la concedo. A risentirci.
anche questo indico per origine o immediato. Poi concordo con lei sull'ultimo significare di quello che dice:"Il significato manca la cosa, il significato dato dall'uso, dalla catena dei significanti." infatti io le ho detto che il destino (=lo-stare) è l'apparire dell'essere sé dell'essente e il non essere il suo altro e che in parole sue è quello che ha appena scritto e cioè che il significato (= l'apparire dell'essere sé dell'essente) manca la cosa (=manca il tutto,la verità ma altresì la testimonia(l'apparire appunto e non l'essere dell'essere) poiché è impossibile che sia il suo altro, il nulla appunto) e infine l'apparire della verità dell'essere è proprio quel vedere che dice lei.
il linguaggio legato al suo funzionamento. Il significante non si riferisce a nulla se non a un discorso, cio a un modo di funzionamento. Non c nessuna realt prediscorsiva e ogni realt si fonda e si definisce in base a un discorso. Il significato non quel che si intende, ma quel che si intende il significante. Il significato leffetto del significante e gli effetti non sono totalmente controllabili dalla volont. Ci vuol dire che non si pu dire tutto.
Era gi l da sempre una supposizione e l'immediatezza una seconda immediatezza perch frutto di un processo di apprendimento. Il significato non l'apparire. La cosa ci che non emerge a livello di linguaggio. L'apparire della verit dell'essere non legato al visivo, ma al discorsivo. Non si tratta dell'apparire ma del virtuale che fa parte del reale, non la realt. Questo residuo il non realizzato, il momento esitante; esso caratterizzato dalla virtualit, anche se non dellordine del possibile ma del reale. Esso un virtuale che fa parte del reale pur non essendo nella categoria della realizzabilit.
Non si tratta di opporsi al linguaggio della metafisica, ma del punto di crisi di questo linguaggio. Grazie per la discussione.
Per avermi ascoltato ed avermi aiutato a comprendere.
Concordo con Cartella su un punto: il linguaggio nella sua catena di significanti non trasmette il significato. Il significato manca la cosa. Questo accade perché si fa una scelta, cioè il linguaggio non può che essere scelta e per questo non riesce a cogliere la realtà con il significato. Poiché è scelta non può esimersi dal PdnC, perché su esso si fonda. L'esitazione di cui ci parla Cartella, però, è un tentativo di esprimere ciò che con il linguaggio non si può esprimere senza cadere in contraddizione. Proprio perché il linguaggio esiste solo perché si pone il PdnC. Così capisco l'insistere di Dru e il fondamento della sua argomentazione che troverebbe sicura sponda in me se non fosse che il discorso di Cartella è su un altro piano, inaccettabile solo se si fa coincidere il linguaggio e la sua struttura con la verità. Il linguaggio crea la realtà, come dice
Cartella, e sceglie i significanti per descriverla. Nel momento in cui "sceglie" i significanti perde il significato, quando "divide" il reale decidendo come descriverlo con il linguaggio, pone un confine che nel reale non esiste. In quel "non esistere" determinato dalla scelta del linguaggio sta quello che Cartella dice che non si può cogliere. Se però tenta di spiegarcelo non può che cadere inesorabilmente nella contraddizione che Dru gli contesta. Non è quindi dichiarando che la questione sta nel visivo che si può risolvere il problema. Sta nel rapporto che si vuole fondare tra certezza (dell'uomo) e verità. Se prima decidete come intendete questo rapporto potete forse avvicinare i piani di discussione che avete impostato e che per ora divergono quasi totalmente. Ho già con interesse seguito alcuni suoi articoli, Cartella, e ho trovato questa concordanza ma anche questa contraddizione.
...è un altro modo di intendere da nichilista... no, il linguaggio testimonia l'evolversi della realtà, tutt'altro che il crearla se per crearla si intende che nasca e vada nel nulla e i significati sono il senso delle cose, lo sguardo intorno ad esse e come tale è uno sguardo che testimonia la verità, è il primo tassello che indica che c'è una cosa poi c'è il suo predicato ( il linguaggio) che non è astratto ma bensì distinto e unito al suo significante, poiché se fosse astratto, separato, allora per predicare il senso della cosa di cui il significato è significante , sì che dovrei darti ragione e dire che non vi è relazione che possa dirimere certezza con verità poiché infinitamente distanti e quindi inconciliabili.
. E' qui che non ci capiamo , il principio di non contraddizione non è solo un principio logico , ma è un principio ontologico che attiene all'origine che è lo stare, l'immediato e non il mediato e ci dice ci racconta, e nel suo raccontare è già errore poiché mediato dal dire, che se il destino è l’apparire dell’esser sé dell’essente e non il suo esser l’altro allora lo è per ogni parola che appunto non è ciò che la parola indica, che è il suo esser l’altro, ma che per il suo apparire insieme distinti sono parte del tutto coimplicandosi.
Intanto grazie anche a Leretico per il suo contributo. Non si tratta di una spiegazione, di spiegare, ma di dispiegare, una descrizione, legata al guardare. Come guardare un immagine, non una questione di sapere. Non la questione del visivo e non c' un problema da risolvere. Ci che mi interessa il vago senso di perdita che ci accompagna quando non possiamo far altro che descrivere anche mentalmente quell'immagine che abbiamo di fronte, da non risolvere. Risolvendolo non si fa altro che giudicare e ridurre alle nostre etichette quel corpo che ci sta di fronte. Questo non vuol dire negare le etichette o opporsi alle etichette. Anche gli articoli che ho scritto sono delle costruzioni, ma sono delle costruzioni che confidano che ci che si dice faccia sedimentare quel vago senso di perdita.
lei dice che non si tratta dell'essere (=etichetta) ma dell'altro (=l'altra etichetta), il fatto è Cartella che l'altro(=l'altra etichetta) è un'altro essere(= è un'altra etichetta) e se non lo è(= non è un'altra etichetta) è un altro dell'altro essere(= è un altra dell'altra etichetta) ed a finfinito ma mai il non-essere, mai qualcosa che non sia quell’essere(=quell’etichetta), lei in definitiva cerca ciò che è impossibile trovare cioè cerca di uscire dal principio di non contraddizione, cioè negarlo , ma per farlo dovrà sempre utilizzarlo e infine quindi impossibile per lei riuscire in questo intento. Ecco Cartella, per altro intendo proprio l'altro , l'estraneo , ciò che non è dell'essere (=etichetta)e gli è eccentrico. Spero che mi abbiate capito se lo avete fatto davvero , allora capirete anche che il mio è un discorso sì rigoroso che non può
essere scalfito e se compreso da lei e poi da Leretico così sarà anche il vostro discorso, ma che lo sia o che non lo sia ( di essere compreso da voi adesso e da me prima), questo è il discorso, discorso che dice che se lei ragiona in questi termini allora è un nichilista, allora è in filosofia contemporanea, filosofia che non si è ancora alienata dal discorso di metafisica, metafisica che ha introdotto il termine essere e la sua verità ma che allo stesso modo poi ha percorso la via del nascondimento di quello che in origine è e non può non-essere.
http://www.youtube.com/watch?v=-T9-siNYEp8
"lei dice che non si tratta dell'essere (=etichetta) ma dell'altro (=l'altra etichetta), il fatto Cartella che l'altro(=l'altra etichetta) un'altro essere(= un'altra etichetta)" lei sempre pi impreciso, non ho mai detto una cosa del genere. Se c' qualcosa che fonda l'essere, indubbiamente il corpo. Il corpo non sono i contenuti che noi diamo al corpo, questa lanima, ovvero i presunti meccanismi su cui si sostiene il corpo. Lanima ci che noi pensiamo sul corpo. Il corpo qui non una costruzione immaginaria ma la non coincidenza fra pensiero ed essere. Io non sono l dove penso, ma il mio essere trascende il mio pensiero, lessere del soggetto solamente l dove il pensiero della ragione egoica si eclissa. Si tratta di una trascendenza immanente e di un corpo senza organi.
"lei in definitiva cerca ci che impossibile trovare cio cerca di uscire dal principio di non contraddizione, cio negarlo , ma per farlo dovr sempre utilizzarlo e infine quindi impossibile per lei riuscire in questo intento". Non so di che cosa sta parlando, non si tratta del possibile-impossibile o dell'essere-non-essere, ma del non realizzato. Inoltre non si tratta di cercare, ma di una descrizione.
"Spero che mi abbiate capito se lo avete fatto davvero , allora capirete anche che il mio un discorso s rigoroso che non pu essere scalfito e se compreso da lei e poi da Leretico cos sar anche il vostro discorso, ma che lo sia o che non lo sia ( di essere compreso da voi adesso e da me prima)". Le ripeto che non mi interessa scalfire il suo discorso, parliamo di cose diverse, come le avevo gi scritto all'inizio. "questo il discorso, discorso che dice che se lei ragiona in questi termini allora un nichilista, allora in filosofia contemporanea, filosofia che non si ancora alienata dal discorso di metafisica, metafisica che ha introdotto il termine essere e la sua verit ma che allo stesso modo poi ha percorso la via del nascondimento di quello che in origine e non pu non-essere". Non credo che lei con questa frase pensi di aver detto qualcosa, bisognerebbe intendersi. La filosofia solo contemporanea. Anche Aristotele contemporaneo.
Ma mi legge attentamente lei o rimane sordo alla lettura. Ma lei ha studiato Anassimandro, Parmenide, Eraclito, ecc ecc fin giù ad Aristotele? A mai sentito parlare di cosa significhi e cosa sia l'Ontologia? Ha mai inteso l'apeiron e dell'archè, o di Metafisica e intendo il libro quarto di Metafisica? Ma davvero mi sta criticando sul significato di essere nei termini in cui la critica l'ha portata? Cosa? Se c'è qualcosa che fonda l'essere sicuramente è il corpo. Ma questa è una sua nuova ontologia? Cioè la sta fondando lei ora per caso ? Davvero lei fonderebbe l'essere partendo dal significato di corpo? Sono all'ascolto , se questa è una nuova teoresi sono qui per ascoltarla. Ma torniamo al vero essere, poichè vede Alberto, il vero essere è tutte le parole che abbiamo scritto e sono io e è lei, ma il vero essere è anche il martello che ha in casa lei e si immagini che l'essere è anche il niente e
l'Olimpo, infatti, come di questi termini e del loro pensare e del loro significare il poter dire che non sono? PERCHÉ L'Olimpo non è, il niente non è? No, l'Olimpo e il niente sono due "cose", esseri appunto, l'assolutamente essere e l'assolutamente altro dal suo altro che è per questo innominabile poiché nel momento in cui lo nomino è essere come l'esistente e l'essere come essenza. Lo può negare? Se ci riesce, e non può riuscirci, vedrà che le mostrerò sempre che la sua negazione dell'essere è sempre un essere e in tal caso è una contraddizione come negazione e infine un autonegazione, una contraddizione che nega il suo voler dire. Ecco dove sta a grandi linee l'errore dell'implicito nichilismo che alberga nel suo pensiero.l'anima è essere e anche una pozzanghera.
se non si hanno queste basi allora capisco che non potremo mai capirci.
Differenti in che maniera, ha mai potuto verificarlo?
...che sono dentici. Vediamo un po' chi ha ragione (provocazione la mia che svelerò dopo la sua risposta)
Lontologia una visione filosofica, mentre far riferimento al metodo, alla forma e non a un contenuto che ci dice come stanno le cose la filosofia nel modo politico, legato al costituirsi della soggettivit. Questo non vuol dire che il contenuto non ci sia o che sia secondario (non si tratta del primario e del secondario) e non sto dicendo nemmeno che non abbia anchio la mia ontologia. Quante volte le dovr ripetere ancora che non ho mai negato ci che lei sostiene che abbia negato?. La sua imprecisione indicata anche dal suo "a grandi linee". Inoltre le ripeto che in questo momento mi interessa la filosofia, residuo dellevento nellevento. La storia dell'ontologia, la quale molto interessante e importante, in questo momento non mi interessa. La lascio pure a lei. Sostenga lei il pensiero dell'eterno, per me troppo pesante. "Le mostrer sempre che la sua negazione dell'essere sempre un essere e in tal caso una contraddizione come negazione e infine un autonegazione
una contraddizione che nega il suo voler dire". Non so davvero di che cosa sta parlando, lei continua ad inventare. "Poi lei indica come differente il corpo e l'animaDifferenti in che maniera, ha mai potuto verificarlo?""Il corpo non sono i contenuti che noi diamo al corpo, questa l'anima, ovvero i presunti meccanismi su cui si sostiene il corpo. L'anima ci che noi pensiamo sul corpo". Ho detto questo, non che anima e corpo sono differenti come lei sostiene che ho scritto. Lei continua nella sua imprecisione.
su cui si fonda l'anima invece cosa sono, il corpo ? Cartella ora se vuole continuare un discorso almeno apparentemente serio mi deve dire i suoi studi con indirizzi e specializzazioni , lei della filosofia prima, cioè proprio l'Ontologia, sembra lontano e guardi che l'Ontologia non è una visione filosofica , ma il discorso sull'essenza e sulla sostanza dell'essenza, è quindi filosofia prima,come dice Aristotele e non un discorso filosofico, ora capisco perché non mi capisce, non perché non capisce me, ma perché parliamo due linguaggi assolutamente differenti , ma io parlo del linguaggio dell'essenza e l'essenza dell'anima è che, come il corpo, l'anima è un "ente" e non è un ni-ente vede dove l'identità, nel carattere essenziale di queste due determinazioni, come di tutte le altre determinazioni che sono e non possono non-essere...ma non proseguo poiché lei non solo non vuole capirmi,
ma non lo può.Sul fatto che io invento poi è curioso di quanto fin d'ora o cercato di persuaderla e di come lei non è stato all'ascolto, l'invenzione è un termine nichilista posto nei termini in cui lo pone lei.A proposito , la mia frase inventata la trova nella fenomenologia dello spirito di Hegel e in essenza del nichilismo di Emanuele Severino, ma piuttosto che cercare di contrastarmi con parole che dimostrano poco rigore e che ora dicono molto di lei e del suo "scarto" o "descrizione" o "crisi" o "faglia" o "soggettività" o "visione" o "sguardo" o "ecc...", dicono che senza un fondamento anche minimo di cosa "sono", "l'essenza" appunto di determinazioni sempre più a rischio di non-essere in mano sua, veda di ascoltarmi che in ultima significa di ascoltare filosofia che(=poiché)al dunque avevo ragione sul fatto che lei è un nichilista.Adesso però
concludo davvero poiché per discutere bisogna partire da ma piattaforma condivisibile e aspetto che lei mi indichi su quale, in "sostanza" discutere con lei.
Ciò che da per evidente e cioè quando dice "il corpo non sono i contenuti che noi diamo al corpo" perché dovrebbe essere e non potrebbe essere "il corpo sono i contenuti che noi diamo al corpo"? Senza filosofia prima a questa domanda non perverrà mai alcuna risposta di senso. Poi a proposito non ho corretto quel "sono" in "è". Anche quel "sono" denuncia che lei il soggetto lo vuole altro da sé, anche se il discorso nichilista che lei nega gli è implicito.
per i ripetuti errori grammaticali, ma sto scrivendo mentre leggo e telefono e sono convinto pure che certi sono causati da correzioni dell'iPod.
... il compito assegnato dal titolo di questa lunga disputa ? In conclusione " La nevrosi dell'incomprensione è l'interpretazione", essendo appunto il disturbo di personalità di natura la nevrosi è il disturbo dell'essenza in quanto natura di ciò che non è se non interpretato,interpretazione che è ciò che appare ma come apparenza dell'apparire.
...la base del reale ma come negazione nichilista, tanto che la rifiuta come priva di senso.Ho detto che, nel momento in cui cercasse di negare ogni determinazione, anche quel non-realizzato che la interessa, (poiché il non-realizzato è la negazione del realizzato conviene fin qui?) Io le avrei dimostrato che la sua negazione è contraddizione.Le faccio questo esempio stupido ma neanche troppo: ammettiamo che Gianni e Pinotto sono per noi a giocare a tennis, allora mentalmente lei avrà anche costruito un immagine approssimata di loro due che stanno giocando a tennis, poi incontra Maria( sua moglie, si fa per dire) e le dice che Gianni e Pinotto non sono a giocare a tennis. Ecco la negazione del linguaggio, quel " non sono"' provi adesso mentalmente a pensare a Gianni e Pinotto che non giocano a tennis, esiste un'immagine del negativo o negazione? No, non esiste, esiste solo nel linguaggio,
cco la negazione del linguaggio, quel " non sono"' provi adesso mentalmente a pensare a Gianni e Pinotto che non giocano a tennis, esiste un'immagine del negativo o negazione? No, non esiste, esiste solo nel linguaggio, con tutti gli sforzi immaginabili per pensare al negativo il pensiero sostituirà all'immagine dei due che giocano non all'immagine impossibile dei due che non giocano, ma magari all'immagine sostituita dei due che bevono un caffè al bar.Ha capito adesso che ho cercato di semplificare al massimo possibile, snaturando anche un poco un concetto complesso che non può essere troppo ridotto? Allora lei è Maria che crede nel dire che non sono a giocare i due di dire qualche cosa che si può pensare ( e insisto ci provi lei a pensare l'immagine del negativo) io sono quello che cerca di dirle che forse i due sono al bar ( principio di realtà).
L'indicazione che mi hai dato sul video su Youtube me l'avevi data anche in altra sede. L'ho ascoltata più di una volta. In un primo momento Severino stabilisce una connesione tra linguaggio e verità dicendo che il liguaggio rivela un po' alla volta il destino della necessità (ossia la verità). Pone quindi una base di relazione tra verità e linguaggio, affermando che avviene una rivelazione della verità attraverso il linguaggio appunto. Poi in un secondo passaggio dice che tale rivelazione non può essere fatta senza una alterazione della verità (e qui si avvicina al mio discorso). In pratica il divenire del linguaggio, "realtivamente alla struttura (originaria, del destino) che intende indicare, indica via via parti di quella struttura" e illude chi ascolta perché le parole soppraggiungono una dopo l'altra e ciascuna occupa la scena nascondendo la precedente in qualche modo. Questo effetto è un'illusione
Anche il linguaggio non può negare la veritã ma non è la verità.
Non può negarla allora la testimonia.
perché la struttura originaria del destino sottesa al linguaggio si presenta in un modo sbagliato, perché isolato. Ora, da questi passaggi si nota l'impostazione generale del pensiero severiniano, ossia che il divenire è illusione, quindi il linguaggio organizzato secondo lo schema del divenire non può essere che illusione e nichilista. Io accetto, ma ripeto che la mia impostazione è un'altra: non c'è per me relazione tra struttura originaria del destino necessario (Verità) e linguaggio, perché quest'ultimo non è in grado di porre la verità né di supporla. Il linguaggio vuole la "sua" verità e la crea, ma questa non ha relazione alcuna con la Verità, mentre per Severino ne ha. Il linguaggio "vuole" la "sua" verità e la chiama realtà. Essa non può essere Verità necessaria perché è frutto di una scelta (il linguaggio, la parola è scelta), la quale
impedisce qualsiasi collegamento, anche se desiderato. Come puoi capire Severino considera le parole come eterni anch'essi legati alla tutto per necessità. Il linguaggio per Severino non nasce dall'uomo, esso è sempre esistito. Sembra essere vicino al mio pensiero invece quando dice che comunque il linguaggio deforma la verità, perchè esso ha funzione "isolante". Solo che non arriva alla conclusione mia, forse perché dovrebbe spiegare che in ogni sua affermazione usa il linguaggio, e che tutta la sua metafisica e la sua impostazione si reggono sul linguaggio e che per tale motivo anche il discorso sul destino è falsato dall'uso del linguaggio. E bada che anche il pensiero è organizzato sul linguaggio, cosa che limita ancor più la possibilità di dire che esso può cogliere la Verità ma non può esprimerla con il linguaggio alterante. Insomma ti/vi inviterei ancora una volta a riconsiderare questi piani di
discussione per darmi una risposta, se vorrete.
Li c'è un muro dico, e dopo Pinotto dice a Giacomo, guarda che stupido quello lì dice che quella chiesa lí è un muro... Capite che nemmeno io e nemmeno Giacomo e Pinotto che avevamo visto io in prospettiva un muro e loro in una più "cosciente"(=ampia) una chiesa avevamo detto la verità sull'abbazia di Montecassino ma in questo dire cosa si sedimenta? (adopero il linguaggio di Alberto) , ma è ovvio, che qualcosa abbiamo visto, ecco il certo diventa vero, il qualcosa è innegabile, negabile magari il cosa di preciso... Questo per indicare che possiamo sbagliare sul che cosa abbiamo visto ma sicuramente non sul fatto che la cosa esista. Ecco il linguaggio è la vista sulla verità, magari lei Alberto porta gli occhiali con lenti blu io occhiali con lenti rosse ma questo non significa che l'abbazia non esista come l'apparire contemporaneo di quel muro di quella chiesa e di quel noumeno che è l'abbazia appunto per
dirla kantianamente. Quel qualcosa è una parte della verità ma appunto già in origine la testimonia e cosa è la verità ? È appunto destino che dice dell'apparire dell'esser sé dell'essente e del ( ecco qui che il destino cioé lo stare rifiuta il controvertibile del divenire) suo non esser l'altro.
Le cose non "ci"( e uso un termine compromettente, dice) parlano da sempre dice Severino. Quindi vedi che il linguaggio non appare da sempre . Poi sei un po' debole nel momento in cui dici che il divenire è illusione per Severino, poi sei un poco debole quando dici che è un discorso di Severino, no questo è discorso di verità, Severino non c'entra nulla, nel senso che al contrario il divenire è realtà come ogni essente e che il linguaggio come quello che pensi dietro il linguaggio come le sensazioni e tutto è un tutti di essenti in correlazione fra loro. La prima parte è comunque ottima, ti invito ad approfondire il concetto di cosa e di significato attraverso i filmati e a questo punto sei pronto per Essenza del nichilismo, buttati a capofitto e la pagina 48-49 rileggila 100 volte fino a comprendere a fondo il principio che fonda l'essere come alterità evidente di per sé dell'assolutamente nulla e come essenza di
tutte le cose.
Ma davvero lei per la discussione ha bisogno di sapere indirizzi e specializzazioni? A me interessa il punto di crisi degli indirizzi e delle specializzazioni, mi interessa la filosofia. La filosofia non specialistica, si interroga su ci che comune, che non il generale. "lei della filosofia prima, cio proprio l'Ontologia, sembra lontano". Questo mi sembra un intervento preciso. Sto continuando a ripeterle che "il discorso sull'essenza e sulla sostanza dell'essenza" non mi interessa in questo momento. Preferisco il concetto di funzione e di funzionamento, il quale in dissonanza con il concetto-genere e con il concetto di sostanza di Aristotele. Il concetto-genere unastrazione (estrazione) dellessenziale dalle cose e in questo astrarre le note particolari delle cose in qualche modo decadono.
Mentre con il concetto di funzione le note particolari non decadono ma vengono presi dei simboli, i quali per non designano le note particolari. Questo si pu vedere per esempio con le variabili X e Y nelle funzioni matematiche. Per esempio nella funzione Y=X2 1 vi una relazione tra X e Y tale che Y in funzione di X. Posso sostituire qualsiasi valore al simbolo X, ma questo simbolo non designa nessuno dei valori che vado a sostituire.
Inoltre il non realizzato non la negazione del realizzato, ma riguarda ci che nel realizzato non coincide con il realizzato stesso. Non coincidiamo con le azioni che di volta in volta compiamo. Vi qualcosa che passa di piano in piano. Si tratta di un'anticamera dell'azione nell'azione stessa. Per esempio se ci si trova davanti a qualcuno che stato giudicato un criminale non si fa altro che dire: Tu sei un criminale, questo un dato di fatto che coincide con il vero. Se cos fosse si penserebbe anche che quel criminale va eliminato, esso irrecuperabile. chiaro che il numero di pensieri impliciti in una tale concezione del mondo propriamente incalcolabile. Si tratta sempre dello sbaglio dellequivalenza fra pensiero e pensato. Questa la radice della violenza: credere che la logica coincida con la verit della soggettivit, credere che la logica esaurisca il soggettivit, la quale non lio.
Il muro e la chiesa sono la stessa cosa da due punti di vista. Sembrerebbe quindi che, anche se ridotto, il concetto di cosa passi e possa essere sufficiente per definire un rapporto di verità tra ciò che sta nel reale e ciò che "chiamo" muro, chiesa o cosa. Ma il punto è che anche chiamare "cosa" il muro o la chiesa prevede una scelta limitante e non solo. Il legame tra ciò che chiamo "cosa" e ciò che c'è nella realtà, nella verità, è pura invenzione. Invenzione necessaria al mio pensiero per ottenere senso. Quindi l'esempio che mi fai non coglie il problema ma cerca di dare conferma al pensiero che vuoi dimostrare senza riuscirci. Il discorso di Cartella invece è più sottile e si avvicina in qualche modo al "ciò che non si può dire", al "ciò che non è realizzato" e che comunque ha un peso e dovrebbe contare. Cerca di cogliere il concetto che per ogni scelta c'è un
prezzo da pagare, ma non vorrei banalizzare. Soprattutto non vorrei interpretare troppo. Una cosa però mi sembra certa: il suo discorso non vuole vertere sulla ontologia ma su un altro piano. Finché non si discuterà di questo "altro" piano non potremo trovare connessioni.
e segui questa lezione http://www.youtube.com/watch?v=7dBRvr98c2o, il ciò che non si può dire infine non è detto.
sei in difesa di Alberto , che ti approvo, ma devi essere intelligente, dire che Alberto è più sottile poiché la "cosa" pur sembrandoti pura invenzione è, e non può non essere, questo il senso dell'essere che sta nella cosa, questo quello che volevo dirti con muro e Chiesa, quindi puoi criticare il senso ma non la sua origine di realtà. Quindi ti approvo se dici che è necessario al mio pensiero per ottenere senso l'invenzione, basta che tu non creda che questa invenzione venga dal nulla, allora ritorniamo da capo. Capisci che è assolutamente più importante per noi sapere che non può esistere il non realizzato rispetto al dubbio che possiamo andare nel nulla, riesci a capirlo ? Però devi avere le basi per comprenderlo, altrimenti continuiamo a parlare a vuoto.a questo punto concedetemi di chiedere aiuto ad un amico, che ha un linguaggio più comprensibile del mio.
Dru, comprendo cosa intedi credimi, e forse il mio è un tentativo di divincolarmi dalle maglie logiche del severinismo più severo. Cartella tocca punti che mi piacciono per polemizzare con te rispetto alla tetragona consistenza del Severino. Non me ne volere. Mi piacerebbe come leggi discutere sui fondamenti per far sorgere qualche dubbio sulla consistenza di cui sopra. Un vezzo? No, solo un cercare basi di vero confronto
Appunto il sottile va poi mostrato .
La sottigliezza sta nel cambio di piano. Se a Cartella l'ontologia non interessa, vuol dire che non vuole giocare su quel piano la sua filosofia anche se usando il linguaggio ne è costretto. E se è su questo sottile cambio di piano che si gioca il discorso allora è su questa sottigliezza che mi sono appoggiato per la polemica sul concetto di scelta e di linguaggio. Ammetto che il linguaggio è scelta e tecnica insieme con tutte le conseguenze filosofiche del caso. Da qui anche l'ammissione del nichilismo insito in questo discorso. Sono costretto anche ad ammettere che esiste una relazione tra linguaggio e Verità ma insisto ad aggiungere che tale relazione è incompleta e necessariamente. Il sottile sta quindi nel voler ragionare su questa incompletezza, su questa necessaria incompletezza contrapposta con la necessaria struttura originaria di Severino.
Vedete che quando dico i"l non realizzato è..." significo contraddizione poiché quel'"è" gli da significato di esistere e di essere come essenza e quindi il non realizzato è già da sempre realizzato. Al contrario qualsiasi cosa che il "non realizzato non è..."è tutto ciò, appunto che non è del realizzato e cosa ? Secondo quanto specificato sopra il nihil absolutum del realizzato appunto che mai si realizzerà e di cui non c'é da preoccuparsi come esorta Parmenide, chi lo fa è nichilista poichè cerca fuori dal senso il senso delle cose, e così facendo realizza è il contraddirsi, contraddirsi chè detto, ciò che non esiste è il contenuto del dire. ( questa ultima parte, che per me è ovvia deve però essere sostenuta dalla lettura di essenza del nichilismo o da questo " contraddizione C youtube Emanuele Severino"
Nel senso appunto di contraddittorio, ma lo hai specificato benissimo come per il resto, sono persuaso che stai giungendo al nocciolo rapidissimamente e di te comincio ad avere paura... :-)
Il linguaggio non uno strumento, non un mezzo, e nemmeno un fine, la casa che abitiamo. Tutto avviene nel linguaggio, il linguaggio ci dice, ci nomina. Ripeto ancora che anche gli articoli che ho scritto sono delle costruzioni linguistiche (anche ci che ho scritto sul non-realizzato), ma sono delle costruzioni che confidano che ci che si dice faccia sedimentare quel vago senso di perdita. Come guardare un'immagine, non si tratta di una questione di sapere. Si tratta del "non c' niente da vedere", dell'immagine in quanto tale, irriducibile ad un contenuto di sapere. Si tratta di un punto irriducibile, di un punto cieco delle immagini, non coincidente con la descrizione. Se ci fosse immediatezza nel guardare un'immagine, non inizieremmo neanche a parlare. Vi rimando al prossimo articolo, in cui insister sui risvolti politici e sul problema della legittimit. Grazie sia a Dru sia a Leretico
Inoltre sul cambiare piano, sull'altro piano. Non si tratta di un altro piano o di cambiare piano perch ci implicherebbe il passaggio da un piano inferiore a uno superiore in un movimento ascensivo o da un piano superiore a uno inferiore in un movimento discensivo. Il preblema del piano un falso problema, a me interessa la caduta, non da un piano superiore ad uno inferire, ma la caduta costitutiva della nostra soggettivit. Grazie ancora. Alla prossima.
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ID27075 - 22/01/2013 15:04:48 - (Dru) - Caro Alberto
Se non fosse per la conclusione, che cerca una via alternativa e altra al principio su cui si basa e si fonda la "realtà", non avrei nulla da eccepire secondo quella linea di discussione che ha così ben tratteggiato dell'interpretazione e sull'intenzione che ci fa così come siamo.Ma a lei, come a Leretico d'altronde, per il suo essere "libero da", chiedo di essere preciso su quale significato vuole dare a questo "vuoto" o "faglia" o "scarto" o "non realizzato", altrimenti questi luoghi sono il "nihil absolutum" e da sé si annullano, e per noi che interesse può sussistere in ciò che vuole non-essere ? un interesse puramente nichilista ? ben venga, ma allora è un interesse per l'errore.