12 Dicembre 2012, 09.00
Pillole di psicologia

La diversità ci rende ricchi

di Sandra Vincenzi

Il tema della diversit ci fa capire molte cose, di noi e della nostra civilt; e pu costituire un'importante bussola per riorientare l'agire individuale e collettivo.

 
Nei contributi precedenti abbiamo parlato dell'integrazione scolastica dei bambini disabili nella scuola di tutti, risultato di una battaglia sociale (Rinforziamo le radici 8-11-12) che ha portato ad un'evoluzione della nostra scuola (Progresso ed evoluzione 23-11-12).
 
Tuttavia le novità di questa svolta, di questo cambiamento, coinvolgono non solo la scuola, ma tutto il tessuto sociale. La diversità infatti non riguarda solo qualcuno, ma ci riguarda tutti: perché la diversità rimanda all'individualità, all'unicità di ciascuno, al suo diritto di esistere come persona e al diritto che la società faccia i conti con lui/lei.
 
Le radici di questi diritti stanno negli anni '60 e '70, dove i concetti di normalità ed anormalità furono messi in forte discussione, dal momento che creavano le condizioni per l'esclusione sociale e per operare un controllo sociale che prevaricava sulla persona.
Il dibattito proseguì in Italia per molti anni, investendo: da un lato la psichiatria e le strutture manicomiali; dall'altro l'educazione e l'abolizione delle scuole speciali per minori disabili, in favore dell'integrazione nella scuola normale.
 
Siamo figli di queste radici, di queste idee, e dentro di noi quel dibattito si è tradotto nella conquista dell'unicità come matrice di diritto, e della diversità come coniugazione dell'individualità.
 
Oggi ci rendiamo conto che il diritto non è sufficiente a garantire il rispetto delle persone: ci vuole un ambiente sociale che non abbia paura delle diversità.
 
Perché la diversità fa paura? Perché la facciamo coincidere con distanza: ovvero mettiamo distanza tra noi e quel qualcosa di cui abbiamo paura, che minaccia il nostro equilibrio, le sicurezze incontrastate e il quieto vivere.
La diversità vissuta come distanza non è solo un fatto sociale che genera chiusure, incomprensioni, indifferenza, insofferenza ed intolleranza; ma è anche un fatto individuale che ha a che fare con il modo in cui funziona la nostra mente.
Quando qualcosa di qualcun altro ci dà fastidio, è perché rappresenta qualcosa anche di nostro che vorremmo evitare, che non vorremmo incontrare; così tendiamo ad espellerlo, a proiettarlo sugli altri (in psicologia si parla di proiezioni e dell'identificazione proiettiva come difesa della mente), nel tentativo di allontanarlo da noi, di distanziarlo, di difenderci.
 
Prendete a questo punto carta e penna e, d'acchito, provate a buttar giù nero su bianco cosa non vi piace, non sopportate, non volete incontrare negli altri.....
 
Adesso che l'avete scritto nero su bianco provate a stare nel disagio di chi cerca di rivestire i panni sporchi degli altri e a chiedervi “cos'ha a che fare quella cosa con me?”.
Questo esercizio può essere l'inizio di un tentativo di dare dimora allo straniero che non vogliamo incontrare, al diverso di cui abbiamo paura.
 
Vivere la diversità non come distanza, ma come differenza, implica l'opportunità di scegliere di immedesimarsi, e quindi il libero arbitrio. Tante volte, negli studi professionali degli psicologi, si accoglie, oltre al malessere, una richiesta di fondo dei pazienti: “aiutami a diventare me stesso!”. 
Perché tra  chi siamo e chi diventiamo spesso si intromettono filtri culturali, emotivi, stati mentali, malattie (depressioni, attacchi di panico, crisi d'ansia) che ci disorientano: ci ritroviamo smarriti nel bosco, come i personaggi delle fiabe, a chiederci dov'è la strada che ci riporta a casa, o al castello.
 
Il percorso di individuazione non finisce mai: comincia quando nasciamo e continua ad approfondirsi, perfezionarsi, perché diventiamo sempre più unici e speciali.
 
Aiutare l'uomo e costruire una società più matura, oggi lo si fa sviluppando la comprensione di sé stessi, affinché ognuno possa celebrare la propria individualità.
 
Quindi stiamo celebrando anche una società individualista? In un certo senso sì, perché l'individualità è un punto di non ritorno per la costruzione di un pensiero critico e per la costruzione di un reale interesse sociale: è un cammino iniziato già dal secolo scorso che ha un suo senso ed un suo fine.
 
Il senso è quello di arrivare a pensare con la propria testa, di costruirsi un pensiero indipendente, di riscoprire il primato della coscienza: Rudolf Steiner parlerebbe di formazione dell'anima cosciente  (R. Steiner, Come superare l'angoscia animica del presente, Edizioni Arcobaleno, 1992) che precisamente è quella particolare attitudine dell'uomo che gli dà il “carattere di separarsi” dal resto dell'umanità, che gli permette di vivere una vita isolata, che gli dà la possibilità di aprire strade nuove dove nessuno era ancora passato, sapendo di avere contro il resto dell'umanità.
 
Questo è il senso della celebrazione dell'individualità: quella che rende ogni individuo via e guida anche per gli altri individui. Quella che rende ciascuno di noi competente in qualcosa di speciale, una perla preziosa nella collana dell'umanità.
 
L'individualità, oltre a vantaggi, comporta tuttavia anche delle difficoltà: oggi si incontrano maggiori difficoltà a familiarizzare, a diventare amici, prima di imparare a conoscersi occorre molto tempo.
Spontaneamente l'individualità produce solo separazione, isolamento dei singoli, una tendenza che può anche generare regressioni, tensioni, intolleranze. Per ovviare a queste è necessario sviluppare l'altra esigenza fondamentale: il senso sociale.
Ma non un senso sociale che derivi dall'opportunità di alleanze per convenienze e tornaconti individuali; bensì un senso sociale fondato su di un interesse che riguarda tutti e che si può tradurre in “ognuno deve essere preso per ciò che è, per trarre ciò che è il meglio”. Su questa base è possibile costruire un nuovo senso sociale che coniughi individuo e società.
Da questi presupposti può scaturire una dialettica, un dialogo tra queste due esigenze fondamentali della società: individualità e senso sociale, in un colloquio che dà equilibrio al sistema e alle persone.
 
Dott.ssa Sandra Vincenzi
PSICOLOGA PEDAGOGISTA
www.vincenzisandra.com
 



Commenti:
ID25800 - 12/12/2012 10:59:24 - (sonia.c) - bellissimo articolo!

conosci tè stesso....meno conosciamo noi stessi ,meno possiamo "riconoscere" e riconoscerci negli altri..e non abbiamo molte scuse..la disabilità ,ancora una volta ,ci mostra i falsi limiti che ci poniamo noi normodotati..!se persino un autistico psicotico può arrivare ad una presa di coscienza e autocritica..noi nò??

ID25801 - 12/12/2012 11:07:48 - (sonia.c) - ps . l'autocritica in questo caso ..

si riferisce ad una piccola -grande frase: certo che..sono proprio disordinato!...sarebbe un buon punto di partenza anche per molti "normodotati"....

ID25802 - 12/12/2012 11:09:35 - (sonia.c) - azzzzz!

compresa la sottoscritta...azzzzzzz! beccata...

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