16 Ottobre 2012, 07.00
Vestone Valsabbia
Ricorsi della storia

Arrivano i Francesi!

di Leretico

Nel 1797 arrivarono i Francesi a misero a ferro e fuoco la Valle Sabbia. Ora tocca ai Cinesi e agli Indiani. E la Valle cosa fa? Paralleo interessante quello proposto da Leretico

 
All'alba del 3 maggio 1797, una spedizione punitiva di 5000 soldati francesi e della repubblica bresciana, quelli francesi comandati dal generale di brigata Chevalier, entrarono in Vestone e la misero a ferro e fuoco.
Spogliarono la chiesa parrocchiale, ne rubarono l'argenteria e la incendiarono insieme ad altre settantaquattro case del paese.
Non si fermarono a Vestone, bruciarono anche Lavenone, Nozza e Barghe per punire la loro resistenza alla repubblica bresciana nata dalla presa del potere il 18 marzo 1797 a Brescia, da parte di alcuni notabili filo-francesi ai danni della Repubblica di Venezia.
 
Di questo fatto ne parlò Felice Mazzi sul giornale El Vistù nel 1985, riportato nel 2009 in un articolo di fine settembre di Vallesabbianews.
Anche Giancarlo Marchesi (Quei laboriosi valligiani - 2003) cita questo fatto, raccontato nelle memorie del dottor Pietro Riccobelli (1773-1859). La Vallesabbia non era né allora né adesso al di fuori della storia e qui ci interessa far notare alcune analogie con le vicende attuali della valle.
 
Alla domanda sulla motivazione che spinse i valsabbini a schierarsi con l'allora perdente Repubblica di Venezia risponde bene Marchesi raccontando che Venezia era sempre stata molto favorevole all'autonomia delle varie zone sotto il suo dominio, tanto che permise statuti particolari anche alle zone dell'alta Vallesabbia, la quale si organizzò, dal punto di vista produttivo, intorno ai forni fusori di proprietà di alcune famiglie politicamente influenti e ricche.
I valsabbini temevano di perdere quei privilegi che in tanti anni Venezia aveva loro garantito e furono i meno flessibili, delle valli bresciane, di fronte al cambiamento in arrivo dalla città, spinto delle conquiste militari napoleoniche. Insomma il nuovo che avanzava li spaventava, non si fidavano di ciò che giungeva dalla pianura.
 
Questo atteggiamento diffidente creava anche un altro problema: la chiusura alle innovazioni che potevano giungere dall'esterno.
Conseguenza: i produttori metallurgici valsabbini furono superati facilmente da quelli gardesani, più aperti e attenti al mondo che li circondava.
L'unica innovazione che i valligiani introdussero fu la ventilazione dei forni fusori con trombe idroeoliche.
Essa si diffuse nel distretto delle tre valli bresciane per un arco di centocinquant'anni ma fu l'unica e peraltro anche molto criticata non solo perché  consumava una maggiore quantità di carbone, ma anche perché il maggior bisogno di questa risorsa energetica spingeva all'utilizzo, per la sua maggiore produzione, di legna troppo giovane e meno efficiente, a detrimento delle risorse forestali locali.

Dopo più di due secoli da quegli avvenimenti la Vallesabbia è cambiata ma forse non del tutto.
Mantiene ancora la mentalità difensiva per le proprie produzioni e non si è accorta che un esercito, stavolta cinese e indiano, è quasi arrivato per incendiare metaforicamente aziende e rubare ricchezze.
Chevalier portò via l'argento e i preziosi paramenti dal cuore valsabbino, i cinesi e gli indiani porteranno via definitivamente i volumi di produzione che fanno stare in piedi economicamente le attività della valle.
 
Lo schema doloroso è già stato visto ma la lezione della storia sembra non essere servita.
Se alla fine del Settecento i nostri valsabbini avessero permesso, molto prima che il dominio veneziano finisse, che le innovazioni produttive venissero adottate, se avessero permesso ai "forestieri" di possedere i mezzi di produzione, se avessero insomma permesso alle informazioni di circolare dentro e fuori il sistema socio-politico valsabbino, forse avrebbero evitato la distruzione dei propri paesi per mano di un esercito invasore.
 
Così esattamente due secoli dopo, se i valsabbini avessero compreso la potenziale pericolosità delle produzioni del far-east avrebbero potuto cercare, in tempi di maggiore liquidità, diversificazioni e valore aggiunto maggiore in altre produzioni.
Non tutto è perduto, ma per ottenere qualche risultato non si può sperare nella intraprendenza del singolo imprenditore, c'è bisogno di risorse finanziare e intellettuali da impiegare intelligentemente e in maniera mirata sul territorio.
C'è bisogno di azione coordinata e integrata di tutte le forze presenti.
 
L'attore pubblico è quindi interessato al processo, perché scuola e risorse pubbliche sono una fonte imprescindibile per la creazione delle condizioni territoriali minime per sperare nell'emergere di nuove realtà che siano in grado di affrontare efficacemente il futuro.
Peccato che la scolarizzazione in valle sia molto, troppo, al di sotto della media italiana.
Peccato che i laureati, quei pochi che ci sono, se ne vanno a lavorare in città perché la valle non offre né reddito né soddisfazioni mediamente adeguate, tranne in rari casi.
 
Peccato che le risorse destinate allo sviluppo locale siano spese e non investite, tanto da non generare neanche lontanamente né attrattività per nuovi investimenti né terreno fertile per la nascita di nuove imprese.
Si sta alla finestra ad aspettare che arrivino i francesi (cinesi-indiani) a incendiare e portar via quello che si è costruito in tanti anni di lavoro.
 
Eppure questa grande dedizione al lavoro dei valsabbini dovrebbe costituire uno sprono per le forze politiche per capire come progettare il futuro.
La sacralità che la nostra valle riserva alle attività produttive e che è stata la fortuna di molte imprese tuttora esistenti, dovrebbe muovere gli animi per la ricerca di soluzioni condivise in cui pubblico e privato lavorano veramente insieme con questa visione, di emergenza sì, ma creativa.
 
Sono le risorse locali, le persone, le intelligenze dei valsabbini che devono essere messe alla prova, che devono essere stimolate a crescere.
Finché si chiameranno esperti esterni per farci insegnare quale è la strada e non proveremo noi a sceglierla e a percorrerla, ogni sforzo sarà vano, ogni euro speso sarà solo un altro euro buttato, ogni esperto si riempirà le tasche con le nostre risorse e lascerà il vuoto dietro di sé.
 
Finché si cercherà di tutelare le produzioni impossibili da difendere, si potrà solo attendere l'ineluttabile distruzione che dall'esterno arriverà, puntuale come la morte e le tasse.
I mezzi e le risorse non sono ancora finiti, speriamo che i tempi duri del passato ci insegnino a superare i tempi duri del presente e del prossimo futuro.

Leretico
 


Commenti:
ID23905 - 16/10/2012 11:18:56 - (novelloimu2012) -

Torneremo con Venezia. i Veneti sono piu' avanti di noi Lombardi in fatto di autonomia; per questo li ammiro.Per essere competitivi dobbiamo togliere lo Stato opprimente di tasse e balzelli, ci devono lasciar lavorare altrimenti le aziende se ne vanno (tante se ne sono gia' andate) altrove dove ci sono meno lacci.

ID23913 - 16/10/2012 15:54:31 - (bob63) -

Sacrosante parole, ma la cresciata sociale di un paese deve essere accompagnata da una serie di fattori che non dipendono direttamente dagli imprenditori, verissimo che i tempi corrono talmente veloci che in un decennio si sono visti sgretolare settori interi della nostra valle, altrettanto vero che gli imprenditori nel periodo d'oro non sono stati lungimiranti nell'investire in nuovi settori o tecnologie, ma e' altrettanto vero che l'ingresso nel WTO di paesi low costsenza nessuna limitazione o vincolo e' stato una mazzata che non si aspettava nessuno, non dimentichiamoci che la lontananza della politica dalla nuda realta non ha aiutato nessuno, le tasse sempre piu' alte, il costo alto della manodopera ( con busta paga leggera ) la burocrazia con relativo costo, nonche il difficile accesso al credito non aiutano certo la ripresa. Ma la cosa peggiore e' la perdita di fiducia nel sistema e nel futuro, solo uno stato serio e efficente puo' creare l'inversione di tendenza, ma dove e'??

ID24027 - 20/10/2012 15:56:18 - (Leretico) - Assente irresponsabile, ma presente interessato

Per noi lo stato sono le istituzioni locali. Dov'è allora questo stato? Non c'è dove dovrebbe esserci mentre ce n'è troppo nel posto in cui meno dovrebbe. Lo stato traduce i suoi atti attraverso le decisioni politiche dei partiti sul territorio. Spende dove non serve al territorio. Lo fa dove il politico guadagna il consenso (e speriamo non altro). Non investe invece dove dovrebbe farlo sia quando il consenso potrebbe arrivare troppo il là nel tempo, sia perché gli investimenti non sono nell'ordine del suo livello di comprensione (capiscono, per comodità, solo le spese non gli investimenti). In pratica non si fanno favori senza un ritorno pratico e soprattutto non si fanno investimenti di cui potrebbe godere politicamente la parte avversaria. Ai politici mimetizzati da istituzioni, soprattutto locali, non rimane che spendere con ritorni solo per loro, non per la comunità. In questo scenario sperare che il pubblico si muova veramente

ID24029 - 20/10/2012 16:03:42 - (Leretico) - continua

a favore del territorio e non a favore della continuità politica di chi lo regge in quel momento, è appunto solo una speranza. Come di quello che innamorato della prostituta pensa di redimerla, e magari per qualche tempo ci riesce. Lei invece, di fronte al vil denaro mostratogli, alla prima occasione farà presto a tornare al vecchio mestiere, in barba a tutti gli ideali spesi fino a quel momento da chi gli prefigurava un futuro migliore.

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