Serata dedicata alle chiese vobarnesi, quella im programma per venerd 8 nel Teatro Comunale.
L'appuntamento è nel Teatro Comunale Vobarnese per le 20 e 30 e il programma della serata prevede la presentazione del restauro della chiesa parrocchiale, con la vidione di un Dvd, e alcune riflessioni sullo stato della chiesa dei Santi Faustino e Giovita, che si trova "a mezza costa" sulla strada che raggiunge la Rocca.
Alla chiesetta, che muta rappresenta quasi al pari della Rocca l'immagine del paese, il Fai ha dedicato una giornata con visite il 16 di ottobre.
Val la pensa alla vigilia di due appuntamento che mirano alla sua valorizzazione, riportare le note che la riguardano, da una ricerca di Fabrizio Galvagni riportata tempo fa sul bollettino parrocchiale della comunità vobarnese.
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Per salire alla Rocca ci passiamo davanti…
Settembre, andiamo. È tempo di migrare… scriveva D’Annunzio riandando con la memoria ai pastori della sua terra che, dai pascoli alti della Maiella, scendevano al mare.
Settembre, andiamo. È tempo di salire… dovrebbero dire i Vobarnesi; salire al santuario della Madonna della Rocca, naturalmente, visto che la seconda domenica di settembre è appunto la “Festa della Rocca”.
Ma questa volta non è della Rocca che parleremo, bensì di quell’altra chiesetta abbandonata che, salendo al santuario, non possiamo non incontrare.
È vero che spesso l’abitudine ci impedisce di apprezzare il bello - e il bene - per fortuna sempre presenti anche nella vita quotidiana: dalla finestra di casa mia osservo la chiesetta di San Faustino (così comunemente è chiamata poiché di Giovita nessuno si ricorda mai!) e mi accorgo di quanto sia bella, incastonata a mezza costa nel verde, con quelle sue forme sobrie eppure eleganti, raccolte attorno al campanile, muto da chissà quanti anni: sicuramente negli occhi e nel cuore dei Vobarnesi essa pure rappresenta, anche se in maniera meno cosciente rispetto alla Madonna della Rocca, l'immagine del paese, il sentimento di appartenenza alla comunità.
La devozione per i due santi (permettete una nota curiosa: molti, tratti in inganno dal nome che finisce in “a”, sono convinti che Giovita fosse la moglie o la sorella di Faustino!), la devozione per i due santi martiri bresciani, morti nel II secolo, al tempo dell'imperatore Adriano, ha radici profonde nella nostra provincia e si perde nella notte dei tempi.
È noto l’episodio leggendario che li volle a fianco dei bresciani, assediati dalle truppe dei Visconti, respinte, nel dicembre del 1438, grazie al loro intervento: nel forte della pugna, nell’ardore delle credenze e della fede [...] le esaltate fantasie vedevano calarsi dall'alto due luminosi guerrieri, e piantati nel mezzo del campo, respingere i nemici (F. Odorici, Storie Bresciane Compendiate, Brescia, 1882, pago 173).
Storia o leggenda?
Quanto però la loro venerazione fosse profonda anche fra i Vobarnesi, ce lo attesta la tela conservata nella sala consiliare del nostro municipio, opera secondo alcuni di Sante Cattaneo, detto il Santino, secondo altri del Celesti: i due santi dipinti accanto alla Madonna sono proprio loro: Faustino e Giovita.
Questo legame fra la comunità civile e il culto dei due martiri è intelligentemente sotteso anche nella citazione biblica scolpita nel marmo proprio sopra il portale della chiesetta: INITIUM SAPIENTIAE TIMOR DOMINI (Principio della saggezza è il timore del Signore), iscrizione che, soprattutto ai nostri giorni, non ha bisogno di commenti.
In merito alla storia della chiesetta mi è stato possibile spigolare solo qualche notizia qua e là (traendola in particolare da A. Fappani, Santuari nel Bresciano, vol. II, Brescia, 1983, e andando a leggere le fonti a cui l'autore rimanda): il fatto che non se ne conoscano le origini prova, in un certo senso, l'antichità dell’edificio; sembra che la chiesa attuale sia frutto dell’ampliamento di una precedente cappella trecentesca; questa ipotesi – dicono gli esperti – parrebbe suffragata anche dalla struttura della facciata.
Nel sec. XV, secondo quanto si legge negli atti della visita pastorale del Vescovo Bollani prima (1566) e di San Carlo Borromeo poi (1580), lo stato della chiesetta lasciava già alquanto a desiderare: le indicazioni dei due pastori furono probabilmente prese in considerazione: nel 1646 la chiesetta risultava interamente affrescata e possedeva un altare del Comune; pare che anche la sacrestia sia stata costruita in quegli anni; ancora oggi, nonostante il degrado, tra i pochi affreschi rimasti, sopra l’altare si intravvede ancora lo stemma del Comune.
Per avere altre notizie bisogna attendere il 1818: il Vescovo Nava trovò la chiesa in buono stato e decorata con numerosi affreschi illustranti la vita dei santi cui era dedicata.
Don Bartolomeo Bazzani, bagolinese, parroco fino al 1854, poco prima di trasferirsi a Brescia, dove era stato nominato canonico della Cattedrale, ci parla della chiesetta in una sua relazione, comunicando la cessione al Comune, che l’aveva adibita a lazzaretto; tuttavia ancora vi si celebrava a Santo Stefano, per la festa dei Santi Patroni e per gli Ognissanti: ancora si conserva la memoria del grande concorso di gente intorno al santuario, in occasione della festa celebrata fino ai primi anni del secolo scorso.
Poi la chiesa venne definitivamente abbandonata e adibita ora a magazzino, ora ad abitazione di fortuna; poi, per qualche tempo, addirittura a sede di una radio locale.
Probabilmente attorno al 1980 i pregevoli affreschi che ancora la decoravano vennero, come si suol dire, «strappati» da ignoti e portati via: triste testimonianza dello stato in cui versa ancora buona parte del nostro patrimonio artistico.
Ho avuto modo recentemente di visitare la chiesetta (il cui stato – è inutile dirlo – è davvero deplorevole) e di quegli affreschi rimane davvero ben poco.
Ho notizia che qualcosa si sta muovendo e che un comitato di cittadini si sta dando da fare per vedere se qualcosa si possa fare per recuperare il bel monumento, prima che accada l’irreparabile.
Nell’attesa che “qualcosa si muova”, mentre saliamo al santuario, soffermiamoci almeno a dare un’occhiata a questa bella chiesetta che, in un modo o nell’altro, è patrimonio di tutti noi.
Fabrizio Galvagni