11 Aprile 2007, 00.00
Barghe
Anniversario

Maria, testimone di una guerra

Oggi a Barghe si celebra un compleanno illustre: gli 81 anni della staffetta partigiana Maria Boschi; testimone diretta di un’epoca terribile.

Oggi a Barghe si celebra un compleanno illustre: gli 81 anni della staffetta partigiana Maria Boschi; testimone diretta di un’epoca terribile.

La donna coltiva la memoria dalla fucilazione dei 10 partigiani della Brigata «Matteotti», avvenuta il 5 marzo del ’45, e soprattutto il dolore per la morte del fratello, il combattente «Ferro», avvenuta il 23 dello stesso mese.

Lei è nata a Barghe l’11 aprile del ‘26, e oggi vive sempre in paese con la sorella Nunzia, in via Ippolito Boschi. Il loro fratello era un partigiano della Brigata «Perlasca» delle Fiamme verdi, e nella primavera del ’45 riportò ferite mortali durante una azione militare organizzata per liberare il comandante «Renato» che, ferito e prigioniero a Salò, doveva essere fucilato. Per questo sacrificio, Ferro ricevette la medaglia d’argento al valor militare.

«L’11 aprile del 1940 iniziai il lavoro nel calzificio Moraschi di Sabbio Chiese - racconta Maria Boschi -. E dopo la guerra andai in Svizzera a fare qualche stagione in un albergo. Mi raggiunse anche Nunzia. Poi, tornata a casa, ho lavorato negli alberghi di Salò, ma anche in fabbrica, al Ponte Re. Fino alla pensione nell’81».

Oggi si occupa dell’orto nella sua cascina sopra Barghe, nella quale vive d’estate. «Ho sempre avuto passione per studio e lettura, ma ho solo la quinta elementare. Ai tempi ho frequentato anche la prima commerciale, ma ero stata bocciata dal professore perchè non andavo al sabato fascista».

Questo perchè Maria e gli altri 5 fratelli avevano sempre respirato l’antifascismo in casa: «Papà Angelo non ha mai avuto la tessera, e Ferro iniziò coi partigiani nel 1940. Prima dava una mano da casa, poi, nel settembre del ’44 salendo in montagna. E io iniziai a fare la staffetta, portando messaggi da Salò».

«L’ho visto l’ultima volta il 20 marzo ’45, dandogli un maglione che aveva fatto io, e il 22 andai a Brescia col tram a prendere delle armi da portare in valle. Il mattino dopo tornai. Era l’alba, e dissi ai miei compagni di viaggio: "Che strano color rosso sangue ha il sole". Alle 4 di quella mattina, senza che lo sapessi, Ferro moriva a Salò».

La staffetta seppe del dramma solo il 4 maggio: «Incontrai il comandante Toni in auto a Barghe, e gli chiesi di nuovo dov’era. Lui mi rivelò la verità: "Taci, è morto da eroe"».
Ancora oggi, Maria conserva e stringe a sé il cuscino sul quale Ferro spirò: «Il corpo rimase a Salò, in una cassapanca, avvolto da un lenzuolo ricamato e murato nel sottoscala. Il funerale si tenne con tutti gli onori solo l’8 maggio del ’45».

Qualche settimana prima, lunedì 5 marzo, la partigiana stava salendo verso Provaglio Valsabbia quando venne a sapere della fucilazione dei partigiani della «Matteotti». «Salii a Cedessano, in chiesa, e chiesi al parroco di aprire la stanza in cui erano i corpi: entrai con una ciotola d’acqua e col mio fazzoletto e iniziai a pulire i cadaveri da sangue e fango».
Quel fazzoletto insanguinato venne diviso in 10 pezzi: la parte centrale è nel Museo della Resistenza di Pertica Bassa. Gli altri sono stati donati ai parenti dei partigiani trucidati.

Massimo Pasinetti
Da Bresciaoggi


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