Anche due di Sal, uno di Volciano e uno di Bione fra i Mille che con Garibaldi salparono da Quarto fra il 5 e 6 maggio 1860 alla volta della Sicilia.
Notte stellata, «bella, tranquilla, solenne, di quella solennità che fa palpitare l’anime generose che si lanciano all’emancipazione degli schiavi!». Così Garibaldi ricorda le ore tra il 5 e il 6 maggio 1860, quando ha inizio l'avventurosa spedizione dei Mille. Nino Bixio e una quarantina di volontari a Genova salgono piratescamente a bordo dei vapori Piemonte e Lombardo, ordinano di accendere le caldaie e di salpare alla volta di Quarto «per imbarcare la gente che aspettava». Garibaldi era ospite dell’amico Augusto Vecchi alla Villa Spinola che da giorni era il quartier generale dell’impresa. Vi si fanno piani, vi si studiano le carte, vi si pensa alle armi raccolte con la sottoscrizione per Un milione di fucili: ma che non arrivano perchè sequestrate a Milano dal Governatore Massimo D'Azeglio; i nervi sono a fior di pelle e l'ansia pervade tutti.
La spiaggia di Quarto è un andare e venire di amici, compagni di lotta, messaggeri furtivi e messaggi cifrati inviati col prezioso telegrafo elettrico (vedi telegramma inviato dal capo dell'intendenza Acerbi a Benedetto Cairoli comandante della settima compagnia quella degli studenti pavesi).
Così lo storico Odorici racconta quei momenti: «La notte del 5 maggio, mentre un alto silenzio occupava la ligure città, sulle rive di Quarto e della Foce era un trepido apprestarsi d’uomini e d’armi a qualche gran fatto; una lieta faccenda, un accorrere come di chiamati ad un ritrovo, ad una festa comune. Eppur sapevano che il loro sangue era votato alla patria indipendenza. Solcando l’acque tranquille, e solitarie, alcune barche approdavano quete. Il più bel raggio di luna brillava intanto sulla tremula marina, e d’una blanda luce largamente diffusa rideva intorno l’ampia curva dei coli genovesi. Non alito di vento, non murmure di flutti, come se l’angelo della nostra libertà nella calma del cielo e della terra benedicesse a quell’istante solenne. Dalle ripide vie della città scendeva al mare tutta lieta, ma guardinga, un’eletta di giovani italiani: poi staccandosi dall’amplesso di pochi, ma fidati amici, si gittava nelle scialuppe, che tacite vogando pigliavano il largo».
Le navi ormeggiano con le macchine sotto pressione al largo della stretta spiaggia e degli scogli di Quarto. Garibaldi «attraversò la strada – è il ricordo di un volontario d’eccezione, il ventiduenne Giuseppe Cesare Abba — e per un vano del muricciolo rimpetto al cancello della villa, seguìto da pochi, discese franco giù per gli scogli». Numerosi barconi portano i volontari nei pressi dei piroscafi sbuffanti. Garibaldi sale sul Piemonte, Bixio guiderà il Lombardo.
Si parte, dunque: rotta a sud. Il numero dei volontari, che diventerà per la storia dei Mille, venne ufficialmente fissato in 1.089 solo nel 1878. Di sicuro c'era una sola donna, la moglie di Crispi, Rosalia. Andavano in Sicilia ma non sapevano ancora in quale parte dell’isola sbarcare. I diretti interessati, i siciliani, a bordo erano in quarantacinque, più di novecento erano lombardi (63 i bresciani), veneti, liguri e toscani. In gran parte professionisti e intellettuali (avvocati, medici, farmacisti, studenti, artisti). Molti erano i combattenti e i patrioti del ’48 e un gran numero di Cacciatori delle Alpi, reduci dalle recenti battaglie vittoriose della seconda guerra d’indipendenza.
I meglio organizzati e armati erano un gruppo di carabinieri (perchè dotati di carabine ultimo modello) genovesi guidati da Antonio Mosto.
I volontari, pur consapevoli del pericolo, erano permeati di sentimenti euforici fin dalle prime ore di navigazione; sentimenti che aleggeranno sempre, infondendo fiducia e ottimismo nei combattenti, anche nei momenti più difficili dell’impresa. Era questo lo spirito garibaldino. Le prime impressioni sui garibaldini sono di Abba, a bordo del Lombardo: «Si odono tutti i dialetti dell’alta Italia, però i Genovesi e i Lombardi devono essere i più. All’aspetto, ai modi e anche ai discorsi la maggior parte sono gente colta».
Fra i 63 bresciani, come non ricordare Enrico Richiedei e Giovanni Botticella di Salò, morti nella presa di Palermo; Achille Tonni Bazza di Volciano, ferito nella battaglia di Calatafimi e morto tre anni più tardi a seguito della ferita; Battista Calzoni di Bione, ferito nella battaglia del Volturno.
Antonio Tantari
La battaglia di Calatafimi Con la battaglia di Calatafimi del 15 maggio 1860 i Mille aprirono la strada verso Palermo. Fra i feriti anche il volcianese Achille Tonni Bazza.
Due valsabbini tra i Mille salpati da Quarto Achille Tonni Bazza e Secondo Giovanni Calzoni rappresentano il tributo della Valsabbia all’Italia Unita e all’impresa dei Mille a fianco di Garibaldi.
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