28 Marzo 2007, 00.00
Valsabbia - C
Strade ferrate

Da Brescia a Vestone: ferrovia o tram? /2

di Sergio Re

Oggi pubblichiamo il secondo di tre capitoli che costituiscono una sintesi degli eventi che portarono la nostra provincia a possedere una strada ferrata, che arrivň poi anche a Idro.

Oggi pubblichiamo il secondo di tre capitoli che costituiscono una sintesi degli eventi che portarono la nostra provincia a possedere una strada ferrata, che arrivò poi anche a Idro.
Riguarda soprattutto le discussioni che sorsero quando si decise di dotare di "guidovia" anche il centro della cittĂ .


2. La battaglia municipale, cavallo di Troia della cittĂ .
La richiesta avanzata dalle due compagnie che avevano l’appalto dei trasporti provinciali di stendere a sud – fuori dal baluardo delle mura venete ancora esistenti lungo il perimetro della città – un reticolo di binari per l’interconnessione delle reti tranviarie appena realizzate, offrì alla municipalità cittadina l’occasione per riprendersi quella centralità nell’ambito provinciale che in antico regime non le era mai venuta meno. Il responso del Municipio fu immediatamente favorevole, ma subordinato alla condizione di far entrare il tram nel centro della città. Anzi, secondo un primo progetto piuttosto miope a onor del vero, tutta la rete avrebbe dovuto far capo ad uno Chalet da costruire in Piazza Duomo dove, oltre alla funzione di biglietteria, si sarebbe dovuto accentrare il coordinamento dell’intero traffico merci e passeggeri.

La questione non era di poco conto. Le vie cittadine erano anguste, fatte su misura per un traffico limitato a piccole carrozze trainate da cavalli, ma le due concessionarie non avevano intenzione di scontentare la municipalità, dalla quale si aspettavano la concessione per la posa della nuova rete di raccordo. Entrambe si limitarono quindi ad avanzare timidamente remore tecniche, suggerendo di spostare il centro di coordinamento presso la stazione ferroviaria, da dove poteva partire un omni-bus trainato da cavalli, per servire il centro cittadino. Le autorità però s’impuntarono e vennero allora redatti alcuni progetti dettagliati, seguendo diverse vie di accesso e secondo diverse soluzioni tecniche. Ma il programma restava arduo sia che si trattasse di tram a cavalli, sia che si puntasse sulla più avveniristica, ma per molti aspetti disagevole trazione a vapore, contro la quale deponevano le anguste vie cittadine, i ridotti raggi di curvatura dei binari da posare nelle svolte e soprattutto l’eccessiva velocità di servizio delle vetture.

Su queste basi i consigli comunali che si susseguirono tumultuosamente divennero infuocati, tra progressisti e conservatori si venne alle ingiurie (un vezzo democratico – come si vede – praticato da lungo tempo), furono scambiate accuse di ignoranza, di incompetenza e di oscurantismo. Insomma nessuno voleva cedere e si arrivò a proporre l’improponibile. I fautori della trazione meccanica, abbarbicati al loro obiettivo, proposero addirittura di far avanzare le vetture a passo d’uomo e di farle precedere da un guardiano incaricato di richiamare l’attenzione della popolazione. La soluzione evidentemente non avrebbe fatto onore agli ingenti investimenti del tram a vapore, mortificato in sede operativa da una velocità che si poteva ottenere con spese molto minori.

Dopo alcuni mesi di litigi, il Consiglio Comunale arrivò ad un accomodamento e – ripreso l’originale progetto della ditta concessionaria – votò (16 voti contro 6) la realizzazione di una guidovia a cavalli per il collegamento della stazione ferroviaria con Piazza Duomo. Il servizio incominciò regolarmente il 2 giugno del 1882, con sedici corse giornaliere distribuite tra le 6 e 30 del mattino e le 19 e 30. Partendo dalla stazione ferroviaria la vettura trainata da un solo cavallo attraversava (i nomi delle vie sono ovviamente quelli odierni) Piazzale Roma, Corso Martiri della Libertà, Corso Palestro, Corso Zanardelli, Via Mazzini e Via Cardinal Querini, per giungere al capolinea in Piazza Duomo e quindi ritornare alla stazione lungo lo stesso percorso.
I punti dolenti del servizio erano però due: il costo del biglietto (15 centesimi in prima classe e 10 in seconda), che praticamente escludeva dall’utilizzo le classi popolari, e la ridottissima velocità (20 minuti per l’andata e 20 per il ritorno). Il servizio risultò insomma deludente, gli entusiasmi si smorzarono rapidamente tanto che le entrate non coprivano nemmeno le spese di gestione.

La società concessionaria chiese allora di sopprimere il tratto tra il Teatro Grande e Piazza Duomo, dove la salita del Dosso faceva veramente sudare il cavallo e la stretta curva di accesso alla piazza creava continui problemi al servizio. Ma ne approfittò contemporaneamente per caldeggiare il suo progetto originale, riproponendo di prolungare la linea dal Teatro Grande fino a Porta Venezia, realizzando così finalmente la saldatura con la sua linea Vobarno/Salò. Contemporaneamente suggerì l’opportunità di realizzare un nuovo collegamento tra Canton Stoppini e l’attuale Piazza Garibaldi.
Il consiglio Comunale finalmente si convinse della ragionevolezza di questo progetto e giĂ  il 4 novembre dello stesso anno la nuova linea entrava in servizio mentre, nel gennaio del 1883, venne realizzato il collegamento tra Piazza Garibaldi e Borgo San Giovanni.

A questo punto la città si poteva dir servita egregiamente da due linee; la prima collegava la stazione ferroviaria con Porta Venezia e la seconda raccordava Porta Venezia con Borgo San Giovanni fuori dalla Porta Milanese. Unico nodo irrisolto, per difficoltà oggettive a districare il servizio nel dedalo di viuzze a nord della città, era quello di Porta Trento – dove si trovava il capolinea della tratta verso Gardone Valtrompia – che restava isolato da tutto il resto della rete cittadina.
Come si chiamarono le due linee? Con numeri o lettere, 1 e 2 o A e B? Né l’uno, né l’altro, perché l’alto tasso di analfabetismo aveva consigliato (come le metropolitane moderne!) di distinguere le due tratte con i colori: un disco rosso per le vetture che coprivano la tratta Stazione – Porta Venezia e un disco verde per quelle che raccordavano Porta Venezia con Borgo San Giovanni.

(Continua)


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