Il Cavaliere invita gli italiani a consumare di piů? Detto fatto, al Senato consumano e chiedono un aumento della dotazione pari all'1,5%
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Per le stanze della presidenza a Palazzo Giustiniani, ad esempio, hanno appena comprato 50 asciugamani deluxe. A 88 euro l’uno. Pari a tre giorni di cassa integrazione di un operaio metalmeccanico. Totale: 4.400 euro.
Giorgio Napolitano, che giovedì aveva spronato tutti dicendo che «le istituzioni devono dare l’esempio» ha avuto la sua risposta.
Vi chiederete: ma di che materiale soÂno mai fatte, queste salviette per le maÂni, per costare una cifra che all’italiano medio appare spropositata?
Sono di liÂno. E ricamate.
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Direte allora che sul sito e-bay.it si possono comprare asciugaÂmani di lino e ricamati al prezzo di 29,99 per una confezione da sei e cioè a cinque euro l’uno, venti volte di meno. Per non parlare di quelle di spugna.
CoÂnosciamo l’obiezione: il decoro delle toilette di palazzo Giustiniani esige ben altro.
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Esattamente come le cucine presiÂdenziali: non meritano forse una qualiÂtĂ adeguata al livello dell’istituzione per essere all’altezza delle raffinate paÂpille gustative di Renato Schifani e dei suoi ospiti?
Ecco allora una spesa assoÂlutamente in-dis-pen-sa-bi-le: un coÂstoso corso di perfezionamento fatto seÂguire presso la scuola culinaria del Gambero Rosso ai 9 (nove) cuochi inÂterni.
Così che possano poi scodellare sui prestigiosi deschi quei piatti griffati che, con innata modestia, vengono defiÂniti «divine creazioni»: bauletti con riÂcotta e pistacchi con bottarga di tonno e sedano, intrighi con stracotto d’oca e burro al ginepro, quadrelli di cacao con scorzette d’arancia ai due ori…
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Per caritĂ , negare che nella scia delle polemiche sui costi della politica, qualÂche taglio sia stato fatto pure a Palazzo Madama sarebbe ingiusto. Le famose agendine 2009 di Nazareno Gabrielli coÂstate la bellezza di 260 mila euro (piĂą deÂgli stipendi annuali dei governatori del Colorado, dell’Arkansas, del Tennessee e del Maine messi insieme) sono state ad esempio sforbiciate, per il 2010, del 20%.
Un sacrificio doloroso ma necessaÂrio.
Come ancora piĂą dolorosi e necessaÂri sono stati il blocco delle indennitĂ , il giro di vite ai contributi dei gruppi parÂlamentari e altro ancora...
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Eppure, pare impossibile, nonostanÂte i tagli palazzo Madama si appresteÂrebbe a battere ancora cassa. Ancora poÂchi giorni e il 30 settembre scade il terÂmine entro il quale gli organi costituzioÂnali devono presentare al Tesoro le riÂchieste per la dotazione finanziaria del 2010.
Una data importante, tanto piĂą dopo gli ultimi appelli lanciati, alla vigiÂlia di un autunno che potrebbe essere critico, non solo del capo dello Stato ma anche del cardinale Angelo BagnaÂsco: misura e sobrietĂ .
Fino a due o tre anni fa gli stanziaÂmenti degli organi costituzionali veniÂvano adeguati con il giochetto del coÂsiddetto «pil nominale». Si prendeva cioè a riferimento la crescita economiÂca prevista, che di norma era piĂą o meÂno il doppio dell’inflazione, e ogni anÂno la dotazione cresceva di quel tot. In seguito, sull’onda delle polemiche, le pretese si ridimensionarono al «sempliÂce » recupero dell’inflazione programÂmata.
Come è stato fatto l’ultima volta.
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Poi la crisi economica ha cominciato a mordere davvero, al punto che se si fosÂse applicato stavolta il vecchio criterio del «pil nominale», gli stanziamenti saÂrebbero crollati del 5%. Una batosta inÂsopportabile.
Ma mentre Quirinale e CaÂmera decidevano di rinunciare per i prossimi tre anni al recupero dell’inflaÂzione programmata, dal Senato non è arrivato alcun segnale. Evidentemente palazzo Madama considera ancora valiÂda la richiesta relativa al 2009, con un aumento della dotazione pari all’1,5% sia per il 2010 sia per i due anni succesÂsivi.
Il Tesoro dovrebbe così versare nelÂle casse della camera alta 527 milioni di euro contro i 519 del 2009. Per salire poi a 535 e 543 milioni nel 2011 e nel 2012.
Qualche goccia nel mare immenÂso del bilancio statale. Ma talvolta baÂsta qualche goccia a far traboccare il vaÂso.
Soprattutto considerando che l’inflaÂzione programmata è almeno il doppio di quella reale.
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Come si giustifica allora l’esigenza di maggiori risorse per otto milioni l’anÂno?
Forse con il progetto di realizzare un nuovo canale televisivo digitale terÂrestre (oltre a quello satellitare giĂ esiÂstente) affidato a un comitato istituito il 29 luglio e coordinato dal questore Benedetto Adragna? O con l’idea, ben piĂą fumosa, di impiantare una struttuÂra medica interna con tanto di sala di rianimazione pur essendo palazzo MaÂdama a un chilometro dall’ospedale Santo Spirito?
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La verità è che l’andazzo seguito per anni è stato tale (nella legislatura 2001-2006 le spese correnti s’impennaÂrono del 39% oltre l’inflazione) che la «macchina» lanciata verso costi semÂpre piĂą folli va avanti per inerzia, a preÂscindere perfino dalla volontĂ di SchifaÂni e dei questori.
Tanto è vero che, non essendo mai stati cambiati sul serio cerÂti automatismi del contratto interno, le retribuzioni e le pensioni dei dipendenÂti (che in molti casi possono ancora anÂdarsene a 50 anni: tre lustri dopo la riÂforma Dini!) seguitano a crescere peÂsando immensamente di piĂą che gli asciugamani.
Dati alla mano: le pensioÂni medie variano dai 122 mila euro lorÂdi l’anno per i commessi ai 325 mila euÂro per i funzionari.
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Una domanda, tuttavia, meriterebbe risposte convincenti. PerchĂ© il Senato continua a chiedere soldi se ha deposiÂtati presso la filiale interna della Bnl, liÂquidi, 108,9 milioni di euro? Avete capiÂto bene: 108,9 milioni.
Da dove arrivaÂno tutti quei quattrini è presto detto: palazzo Madama non spende, nella realÂtĂ pratica, tutti i soldi che ogni anno il Tesoro gli dĂ . Il bilancio si chiude infatÂti regolarmente con avanzi di cassa che non vengono restituiti all’Erario, ma si accumulano in banca.
Lo stesso avvieÂne, e in misura addirittura maggiore, per la Camera dei deputati, che ha giĂ da parte qualcosa come 380 milioni di euro. Il «tesoretto del Parlamento», per usare la definizione data dal Sole24ore lo scorso maggio, avrebbe quindi ragÂgiunto, secondo gli ultimissimi calcoli, circa 490 milioni.
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Il doppio dei fondi ocÂcorrenti per rimettere in piedi le strutÂture universitarie dell’Aquila e pagare le rette di tutti gli studenti.
La Camera si tiene stretti quei soldi con la giustificazione che alla scadenza degli onerosi contratti d’affitto degli ufÂfici per i deputati nei «Palazzi Marini» (una quarantina di milioni l’anno) doÂvrĂ acquistare nuovi immobili.
Ma il SeÂnato, che gli edifici li ha giĂ comprati e ha avuto dal Cipe anche i soldi per riÂstrutturarli? Ci si dirĂ che, con le proceÂdure e le macchinositĂ attuali, è difficiÂle restituirli, i soldi. Sarà …
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Eppure c’è un illustre precedente.
Alla fine degli anÂni Novanta l’Antitrust, all’epoca presieÂduta da Giuseppe Tesauro, rese al TesoÂro l’equivalente di una cinquantina di milioni di euro: erano gli avanzi delle dotazioni annuali che l’autoritĂ non aveÂva speso. E che tornarono così nelle casÂse dello Stato.
Certo, bisogna volerlo...
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Sergio Rizzo Gian Antonio Stella da Corriere.it