24 Settembre 2009, 12.06
Vestone
Dall'archivio Mazzi

Sacerdoti, Parroci a Vestone nel XIX e XX secolo

Riportiamo un articolo scritto per El Vistù da Felice Mazzi, il compianto farmacista scomparso dieci anni fa.

 
Il dott. Pietro Riccobelli (1773-1859) accennando nelle sue “Memorie storiche†alla spedizione punitiva delle truppe napoleoniche in Valle Sabbia avvenuta fra il 3 e il 6 maggio 1797, scriveva: «Entrata tutta quella gente (i soldati francesi al comando del generale Chevalier) in Vestone, cominciò a furia il più orrendo saccheggio, non lasciando illesa alcuna abitazione.
Spogliando la chiesa parrocchiale di tutte le argenterie, lampade calici, croci di tutti i preziosi sacri arredi che trovarono, di un ricco baldacchino di stoffa in oro; poi col più barbaro vandalismo la incendiarono, così dalle fiamme restando consunti sette gran quadri del Palma che tanto abbellivano la rotonda del coro, tutte le suppellettili ed ornamenti di legno, tre altari, le più alte vetrate, l’organo stesso che tutto andò liquefatto.
Le pareti e la volta ne restarono tanto affumicate e nere, quanto quelle di una fornace. Indi si diedero con le candele incendiarie ad appiccare il fuoco ai tetti delle case, per cui ne rimasero distrutte settantaquattro».
 
In quei giorni era parroco di Vestone don Girolamo Orsini di Lavenone (a Vestone dal 1795 fino alla morte 1822) e toccò a lui assistere al saccheggio del paese e della bella chiesa parrocchiale.
Fu il quell’occasione che il suo curato – il vestonese don Carlo Calcari (1771-1846) – riuscì a portare le ostie consacrate in Gorgone e nasconderle in un fienile della sua famiglia. Dopo il saccheggio cominciarono a trascorrere anni duri, travagliati.
Svanita la protezione della Serenissima repubblica di Venezia, la valle cadde in balia delle truppe francesi e austriache.
Vestone, specialmente per la sua strategica posizione di centro valle, subì soprusi e angherie di ogni genere.
 
Nel 1822 a don Orsini succedette don Giacomo Cosi di Bagolino. Rimase così a Vestone solo otto anni e svolse l’attività pastorale in un ambiente frustrato e sfiduciato.
Il risveglio, naturalmente dopo ogni catastrofe, avvenne più tardi in concomitanza con la diffusione delle idee risorgimentali. Era parroco don Giulio Decò di Bione (a Vestone dal 1830 fino alla morte 1866). Uomo molto colto e di idee liberali assistette alla nascita e all’espandersi dell’ideale risorgimentale. Quel periodo, per tanti vestonesi, rappresentò il massimo dell’insofferenza verso ogni dominazione straniera ed anche il potere temporale del Papa era visto come un grosso ostacolo all’Unità d’Italia.
 
Da qui l’accanito anticlericalismo dei risorgimentali, dei garibaldini in contrapposizione dell’altrettanto accanito clericalismo dei papisti a scapito delle convinzioni religiose degli uni, degli altri e di tutta la popolazione.
In questo quadro si inserisce l’incidente che don Decò ebbe nell’espletamento della sua attività pastorale. Alla festa dello statuto del 1862 credette opportuno celebrare una messa solenne con il canto del “Te Deum†alla presenza delle autorità civili e della guardia nazionale, ma il vescovo di Brescia, monsignor Verzieri, non lo approvò e lo rimosse dall’incarico di vicario foraneo.
 
Gli succedette don Domenico Guccini di Brescia (a Vestone dal 1866 al 1870). Un anno dopo il suo ingresso il sindaco Cominotti invitò don Guccini a celebrare una messa solenne in occasione dell’annuale festa dello statut, ma si rifiutò.
Ebbe l’approvazione del vescovo, ma si inimicò il sindaco e parte della popolazione.
Dopo la parentesi di don Guccini venne nominato parroco don Domenico Mutti di Provaglio d’Iseo (a Vestone dal 1871 fino alla morte 1915). A lui toccò in eredità un periodo altrettanto difficile.
 
Esaurita la carica delle guerre risorgimentali, il potere locale (liberale zanardelliano) aveva rivolto la propria attenzione alla costituzione di una società operaia di mutuo soccorso per poter tenere ancora unita la popolazione sotto la propria egida.
I “cattolici†di Vestone costituirono la loro, allargandola a tutta la valle, ma ne seguirono polemiche e odiosi attacchi personali. Il 31 ottobre 1914 faceva l suo ingresso in Vestone don Luigi Turla di Siviano (a Vestone dal 1914 al 1939).
I tempi lentamente mutavano. Le leve giovanili premevano e chiedevano il rispetto per le convinzioni religiose e il miglioramento sociale al di là della vuota retorica e delle lapidi commemorative.
 
Nel 1922, sotto la pressione dei giovani, don Turla e una ventina di capi famiglia sottoscrissero un impegno finanziario per la costruzione di un ricreatorio giovanile.
Il nuovo edificio – l’attuale oratorio – venne inaugurato il 26 luglio 1923. il piazzale antistante porta il suo nome. Don Turla lasciò manoscritti tre volumi comprendenti notizie storiche riguardanti la parrocchia di Vestone.
Secondo don Luigi Bresciani, attuale parroco di Levrange, don Turla avrebbe compilato anche un diario che copriva l’intero arco del suo parrocchiano: diario scomparso probabilmente, a suo avviso, prima del 1953. Considerati i periodi storici inerenti (prima guerra mondiale, primo dopoguerra, fascismo) sarebbe interessante rintracciarli, quei diari, per capire meglio il volgere della vita in Vestone durante anni ancora in discussione.
 
A don Turla successe don Prezioso Milani di Idro (a Vestone dal 1939 al 1945). Resse la parrocchia durante la seconda guerra mondiale.
Ebbe giovani, quasi tutti militari, sparsi nel mondo; suo compito fu quello di tenere una fitta corrispondenza con tutti e assistere la famiglie quando dai fronti di guerra giungevano ferali notizie. E purtroppo non erano rare.
Dopo don Milani, la cura della parrocchia passò a don Francesco Venturelli di Salò (a Vestone dal 1945 fino alla morte 1953).
Don Venturelli si prese a cuore l’avvenire dell’oratorio e fece stendere un progetto ambizioso da risolvere a gradi.
 
Dal suo testamento si intuiscono alcune incomprensioni che ebbe durante l’attività pastorale: “…Desidero essere rinchiuso in una bara di legno usuale e senza decorazioni; seppellito in terra in mezzo ai poveri che meglio mi hanno capito e seguitoâ€. Chiese anche che sulla tomba fosse scritto: “Ultimo fra i sacerdoti di Cristiâ€.
E così fu fatto.
 
Il 26 luglio 1953, i vestonesi accoglievano in piazzale Perlasca un giovane prete asciutto e allampanato: don Angelo Pozzi di Treviso Bresciano.
Nel suo biglietto da visita c’era scritto: “Piccolo figlio della Valle divengo Padre delle vostre anime. Vogliatemi bene come io amo voi, per annunziarvi il vangelo della grazia e dell’amoreâ€.
Il 10 novembre 1984, il vescovo di Brescia, monsignor Foresti, comunicava alla popolazione di Vestone di aver accettato le dimissioni dello stesso monsignore Angelo Pozzi: il primo monsignore nella storia di Vestone (don Turla e don Milani vennero nominati monsignori dopo il loro trasferimento dalla parrocchia di Vestone).
 
Il titolo onorifico gli venne concesso per i molteplici interventi nella vita civile oltre che per l’attività pastorale, ma i suoi meriti vanno ben oltre e ancor tutti da elencare.
Essendo vivente in quest’anno di grazia 1985, meglio lasciar perdere… Il 12 gennaio 1985 farà il suo ingresso in Vestone il nuovo pastore don Gabriele Facchi di Bagnolo Mella.
È reduce da un’intensa attività missionaria in terra d’Africa. Lo costringeremo a fare un amaro confronto fra il cristianesimo degli africani e il nostro?
 
El Vistù, numero speciale, 1985


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