07 Marzo 2012, 09.00
L'intervista

Massimo Pirotta, l’uomo che portò i Nirvana in Italia

di Davide Vedovelli

Ha collaborato con alcune radio libere, organizzato concerti e incontri con musicisti, scrittori, registi, ha ideato rassegne musicali e tuttora collabora con riveste del settore.

La prima volta che incontro Massimo Pirotta è a Sanremo. Sono le otto di sera, io e gli amici del Graffio stiamo consegnando le chiavi delle nostre stanze prima di andare al Teatro Ariston per la prima serata del Premio Tenco. Davanti a noi, che rallenta la fila, un uomo piccolino dai capelli grigi. Sarà il solito pensionato che passa l'inverno in riviera penso tra me e me. Noi cominciamo a scommettere a voce alta su chi aprirà la serata. “Battiato” - dico io. L'omino si volta e mi dice “no..Battiato era a Milano questo pomeriggio, Battiato è nella seconda parte” e sorride. Così ho conosciuto Massimo Pirotta. Scopriamo poi che è un giornalista musicale, collabora con il Mucchio Selvaggio, e ha un sacco di progetti e di storie da raccontare. Ci prendiamo subito, come si dice, e nei tre giorni della rassegna ci conosciamo. Lo invitiamo poi a Musica da Bere come giurato e oltre ad un grandissimo esperto guadagniamo un amico sincero, sempre pronto a darti una mano, sorridente e furbacchione. Fa parte anche lui di quella grande famiglia che si è formata e si chiama Musica da Bere, e non vedo l'ora di rivederlo davanti a me con un bicchiere di vino in mano che mi prende per il culo come solo lui sa fare.

Massimo Pirotta ha collaborato con alcune radio libere, organizzato concerti e incontri con musicisti, scrittori, registi, ha ideato rassegne “Canzone scritta su un muro”). E’ stato, con Davide Sapienza, produttore artistico de “I Disertori”, disco-tributo a Ivano Fossati. Ha collaborato con diverse testate giornalistiche (“Fire/U2 World Service”, “Buscadero”, “Duel”, “Feedback”, “Tutto Musica”, “Series”). Attualmente scrive su “Il Mucchio Selvaggio” ed è consulente editoriale della VoloLibero Edizioni. Nel corso degli anni ha fatto parte di numerose giurie di festival e rassegne.

D. Hai portato per primo i Nirvana in Italia. Perchè? Chi porteresti via dall'Italia oggi?
M - Non è proprio esatto. A contattarli per il loro primo tour italiana fu Daniela Giombini della Subway Production di Roma, con la quale avevamo, noi del Bloom, sinceri rapporti di stima, di lavoro e di amicizia. Noi avevamo il ruolo di local promoter. I Nirvana si esibirono due volte nel rock-club di Mezzago. La prima volta nel novembre ’89, facendo da spalla ai Tad. Incredibile, ma vero. Successe anche che il cantante dei Tad si sentì male e dovemmo accompagnarlo in ospedale. E Kurt Cobain lo sostituì, dando una mano alla band amica. La seconda volta fu nel novembre ’91. Era appena uscito “Nevermind”, il loro capolavoro, e inaspettatamente scalò le classifiche negli Stati Uniti e non solo. Ci trovammo così, ad organizzare un concerto, con 600 persone dentro pigiate come sardine, e qualche migliaia fuori che non riuscirono ad entrare. Fu una serata entusiasmante quanto faticosa. Gli stessi Nirvana, nelle interviste rilasciate negli anni seguenti, la ricordano come una delle più riuscite della loro carriera. Questi due concerti non vanno considerati come un caso a sé. Fanno parte di un lavoro di ricerca che al Bloom facevamo (e fanno ancora) sulle realtà musicali internazionali ed italiane. Ci piaceva e ci piace dare spazio ad artisti e a band che pensiamo abbiano qualcosa da dire di realmente consistente. Il Bloom, quest’anno compie 25 anni di attività (musica, cinema, teatro, presentazioni di libri). Per festeggiarlo, a maggio, uscirà il libro “Sviluppi incontrollati” curato da me e da Aldo Castelli. Oltre 400 pagine per raccontare in modo anche ironico e sicuramente non autoreferenziale le varie stagioni succedutesi. La prefazione è a cura di Manuel Agnelli (Afterhours) e ci sono 90 contributi di artisti, operatori di settore, giornalisti, di chi ha fatto il Bloom e lo sta facendo. Diversi punti di vista per diverse emozioni.

D. Un ricordo che ti porti dentro ed un episodio divertente legato al Bloom.
M - Più che un episodio divertente (ce ne sono stati molti), preferisco ricordare l’emozionante incontro con la scrittrice Fernanda Pivano. Avvenne nel ’96. Catturò una platea straboccante, composta in maggioranza da giovanissimi. Le argomentazioni, le storie vissute, il carisma. Dialogò col pubblico diverse ore. Quest’ultimo le si strinse tutto attorno, seduti per terra e catturati dalla sua dolcezza e sincerità. Firmò dediche ed autografi per oltre un’ora.

D. Tema: Musica italiana. (10 righe a disposizione)
D. Fai parte della giurai di Musica da Bere. Da cosa intuisci se l'artista ha talento o se è solo un buon artigiano?
(decide di rispondere contemporaneamente a queste 2 domande)
M - Un’artista talentuoso è un soggetto in continua evoluzione. Non è certo da tutti. Adoro i buoni artigiani. Vado sul sicuro, cerco di non cadere nei tranelli di certe roboanti produzioni che dopo qualche anno svaniscono nel nulla. Non condivido vedere ancora oggi la musica suddivisa in generi musicali. Lo vedo come un ostacolo al miglioramento generale. Le stesse definizioni di musica d’autore o ancora peggio quella di world music le giudico fuorvianti. Ad esempio, il modo di presentarsi dei cantautori è molto cambiato a quello delle stagioni precedenti (i ’70 in particolare). Talvolta la sola chitarra a tracolla è riduttiva. Scarnifica l’idea. Ma vedo con piacere giovani artisti porre lo sguardo altrove. Commistioni con gestualità teatrali, portamento da cinemusiche, immaginari che fuori/escono dal solito perimetro. Il panorama indie italiano è migliorato ed è di ottimo livello, anche se fatica a staccarsi dall’essere derivativo. Attualmente, trovo aspetti molto interessanti nelle performance degli artisti di strada. Comunque, quello che conta veramente per un musicista, è il feeling che sa instaurare con il suo pubblico.

D. Un aggettivo per ognuno dei seguenti artisti:
M.
Fabrizio De Andrè : poetica della sostanza e viceversa
Peter Gabriel: generoso, curioso, sempre alla ricerca di se stesso
Lou Reed: subway e overground. Leggenda. Storia.
Jim Morrison: sciamano tra il blues, l’inquietudine e il peregrinare
Francesco De Gregori: onirico e concreto
Franco Battiato: ne esistono almeno tre (lo sperimentatore, l’autore pop, quello che si trova altrove)
Giovanni Lindo Ferretti: non si è mai definito un cantante, ma un militante della parola declamata. Passionale, sia nel suo periodo “filosovietico” che in quello odierno ancora tutto da decifrare

D. come tradizione l'ultima domanda puoi farla tu a me.
M. Ti piacerebbe invitare a “Musica da bere” qualche songwriter o storyteller dall’estero? Che ne so Elliott Murphy, Ani Di Franco, Billy Bragg…
D. Sarò sincero. Mio grande difetto, al quale mi riprometto sempre di porre rimedio, è di non conoscere la musica straniera, e quindi sono sempre concentrato sugli italiani, ma diciamo che a Leonard Cohen la Targa Musica da Bere gliela consegnerei volentieri. Però, il sogno che non so se riuscirò a realizzare, è di consegnarla ad un tuo concittadino, che all'anagrafe fa Enzo Jannacci. Grazie di tutto e sopratutto grazie di quest'amicizia. Ci vediamo a presto.



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