09 Marzo 2007, 00.00
Valsabbia - C
Crac Italcase

I retroscena del colossale buco finanziario

Una voragine finanziaria di oltre 500 milioni di euro, più di mille miliardi di vecchie lire, collegata al Gruppo Italcase. Ed al nome di Mario Bertelli. Con il coinvolgimento di alcuni dei nomi più noti della finanza italiana.

È la radiografia del «crac». Una voragine finanziaria di oltre 500 milioni di euro, più di mille miliardi di vecchie lire, collegata al Gruppo Italcase. Ed al nome di Mario Bertelli. Con il coinvolgimento di alcuni dei nomi più noti della finanza italiana.

Un’irresistibile ascesa, quella dello sconosciuto geometra valsabbino, fino alla vorticosa caduta, alle manette. Dai prefabbricati alle società immobiliari proprietarie di prestigiosi alberghi e di complessi residenziali e turistici in località esclusive.

Dalla Sardegna, a Madonna di Campiglio, da Chamonix a Venezia a Santo Domingo. Dedalo di società: Giardini di Porto Cervo, Country Village, Paradiso, Limoni, Cala del Faro. Un lungo elenco.

I retroscena del colossale «buco» finanziario - caratterizzato da frodi fiscali, false fatturazioni e da un ampio corollario di altri reati, ritenuti dai giudici sussistenti - sono ricostruiti nelle 781 pagine che motivano la sentenza di condanna a 13 anni per Mario Bertelli, letta il 7 dicembre scorso dal presidente della 1ª Sezione penale del Tribunale, Enrico Fischetti, a conclusione del processo iniziato il 22 novembre del 2004.

Sessanta i condannati: 214 anni e sei mesi di carcere il complesso delle pene irrogate. Un verdetto che è andato ben oltre i 174 anni e 2 mesi chiesti per gli imputati dal pubblico ministero Silvia Bonardi. Fra i condannati, il fratello di Bertelli, Giancarlo (4 anni e 6 mesi) e personaggi di primo piano negli ambienti finanziari e bancari: Roberto Colaninno, Steno Marcegaglia, Ettore Lonati (4 anni e 1 mese ciascuno). Ancora, Cesare Geronzi, patron di Capitalia; Divo Gronchi, amministratore delegato di Bpi e Ivano Sacchetti, ex numero due di Unipol: 1 anno e otto mesi ciascuno.

Il giudice estensore, Paola Borio, ha dedicato tre mesi di scrupoloso, attento e puntuale lavoro alla ricostruzione del vorticoso «affaire Italcase». Lavoro che non può essere oggetto di frettolosa operazione di sintesi giornalistica per il rispetto che si deve in primo luogo alle sentenze, ai lettori, ai giudici e agli imputati stessi.

Motivo per cui è di tutta evidenza necessario rimandare, per non incorrere in spiacevoli omissioni, ai prossimi giorni la lettura del voluminoso fascicolo delle motivazioni per trarne una sintesi consapevole e informata.

Una prima «fotografia» della ricostruzione è comunque possibile ripercorrendo l’introduzione del documento che parte dal gruppo «Italcase Bertelli», descritto come «realtà aziendale di spicco nell’ambito del contesto economico bresciano degli anni 1980-1990, composta da 19 società tutte dichiarate fallite fra il marzo del 2000 e il dicembre del 2001.

Schematizzando, il giudice estensore osserva poi che «le contestazioni mosse dall’accusa e sottoposte all’analisi del Collegio attengono a due diversi versanti».
Da un lato, i numerosi illeciti di natura economica e finanziaria che si sono sviluppati dal 1994 al 2001. Tre i diversi gruppi di reati: massiccia fatturazione fittizia, iniziata nel 1994 e protratta fino al 2000; predisposizione nel bilancio consolidato 1999 e nei bilanci di esercizio 1999 di due consociate di false appostazioni volte ad occultare sostanziose perdite che il gruppo e le singole consociate andavano accumulando; condotte distrattive volte, in tesi accusatoria, a sottrarre risorse e attività a favore di altre consociate operanti o di altri soggetti solo apparentemente estranei al gruppo.

«Il secondo versante riguarda invece l’attività di finanziamento svolta in favore del gruppo da parte del pool di banche Banca Agricola Mantovana (ora Mps), Banco di Roma (ora Capitalia) e Banca Nazionale dell’Agricoltura (ora Antonveneta) a partire dal marzo 1998, nella misura di 40 miliardi di lire, e protrattasi fino al dicembre 2000 - scrive il giudice Paola Borio - con ulteriori mutui ed aperture di credito».

Erogazione concessa a seguito del piano di ristrutturazione finanziaria predisposto da un advisor, che il pm ha ritenuto solo apparente e «caratterizzata dall’apposizione in favore delle banche di garanzie reali su beni immobili e su quote societarie». Mettendo in atto cioè un meccanismo volto, secondo l’accusa, a sanare posizioni debitorie con ulteriori esposizioni. L’effetto fu l’indebitamento vertiginoso del gruppo e, dunque, l’aggravio del dissesto finanziario con ritardo nella declaratoria di fallimento.

Poi, nelle motivazioni, vi è spazio per l’avvio dell’inchiesta, con i primi accertamenti della Guardia di Finanza. Il capitolo delle frodi fiscali, delle fatturazioni fittizie. Per arrivare al ruolo - non certo di secondo piano, secondo i giudici - avuto dagli istituti bancari nella storia del «crac». Una radiografia che va letta con attenzione. Si avrà modo di riparlarne.

Enzo Gallotta
Da Giornale di Brescia


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